Skin
Filippine rum
Business

Viaggio nelle Filippine, dove si produce il rum che sta conquistando l’Europa

Nel boom delle economie asiatiche dall’inizio del millennio, accanto al colosso Cina e alle ‘tigri’ Hong Kong, Singapore, Corea del Sud e Taiwan, ci sono altri stati di cui si parla ancora poco, la cui ascesa è però ormai solida.

Si pensi alle Filippine, stato progredito fino ad arrivare a essere la 42esima economia globale. L’immenso arcipelago, situato tra il Giappone e Taiwan con i suoi 100 milioni di abitanti, ha visto il Pil crescere grazie a un progressivo sviluppo e a un costo di manodopera relativamente basso.

L’America Latina nel Sud Est asiatico

Se l’isolamento dovuto al fatto di essere un gruppo di isole ha portato le Filippine a essere meno conosciuto dagli occidentali rispetto ad altri paesi del Sud Est asiatico, il Paese ha una cultura molto più vicina alla nostra, sia a livello di lingua, sia di religione. Infatti, secoli di colonizzazione (spagnola prima e statunitense poi) hanno reso il Paese molto diverso dai suoi vicini geografici, rendendolo per certi versi più assimilabile culturalmente a un paese dell’America Latina, tra cattolicesimo e abitudini socio-culturali. Un esempio: qui si usano quotidianamente le posate a tavola al posto delle bacchette. 

Tra i principali partner commerciali di Manila troviamo al primo posto per legami storici gli Stati Uniti, e a seguire paesi asiatici quali Giappone, Cina, Singapore, Corea del Sud. Da qui si esportano semiconduttori e prodotti elettronici, mezzi di trasporto, abbigliamento, prodotti in rame e petroliferi, olio di cocco e frutti. Il Paese pare anche voler evolvere la propria posizione e la propria percezione nel mercato globale, puntando a rendere le risorse naturalistiche e agricole vettore di sviluppo attraverso la crescita del turismo e la valorizzazione di prodotti premium dell’agroalimentare.

    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco
    Foto Mike Tamasco

Dal turismo al rum

Il Paese sta attraversando da decenni una profonda trasformazione, passando da un’economia basata sull’agricoltura a una fondata sui servizi. Il settore terziario produce infatti il 57% del Pil, contro il 31% dell’industria e il 12% dell’agricoltura, nonostante una forza lavoro dedicata al primario che rimane pari al 32% della popolazione.

A trainare l’evoluzione in questo cambio di paradigma è anche il turismo, fonte di sostentamento per intere isole. Lo splendore dei paesaggi filippini attira molti stranieri (circa 15 milioni nel 2013). Molti piccoli villaggi sono diventati camping o villaggi turistici che offrono strutture e servizi. Ma questo fenomeno riguarda in maniera quasi esclusiva le coste, e le isole maggiori storicamente dedite all’agricoltura devono trovare strade alternative per rivitalizzare la propria offerta. In questo senso un esempio sorprendente è quello dell’isola di Negros, che partendo da una coltivazione storica a bassa marginalità come quella della canna da zucchero in pochi anni ha dato vita a uno dei rum più venduti al mondo, protagonista di un’operazione finanziaria da oltre 400 milioni di euro.

Sugarlandia

Ma andiamo con ordine: Negros Occidentale, l’isola soprannominata ‘Sugarlandia’, è grande grosso modo come la Corsica, ed è da qui che proviene la metà dello zucchero di tutte le Filippine. Qui ci sono haciende fondate nella prima metà del 1800 che continuano a essere tramandate di generazione in generazione e che oggi come allora si dedicano esclusivamente alla coltivazione della canna da zucchero (ricca di minerali, tra cui ferro, potassio, magnesio e sodio), potate e raccolte in tutti i mesi dell’anno, a parte la stagione delle piogge. 

Nonostante questo settore sembri sempre immutato, gli effetti della modernità si fanno sentire anche su quest’isola senza tempo: la mano d’opera da adoperare nei campi comincia a scarseggiare, perché sempre più giovani prendono la strada di Manila o addirittura dell’estero per cercare fortuna e la concorrenza globale rende questo prodotto sempre più sostituibile.

Stephen Carroll e il rum Don Papa

Se il mondo esterno sembra poter sconvolgere equilibri centenari, dall’altro ha portato anche nuove idee e innovazioni. Un esempio su tutti è quello di Stephen Carroll, fondatore di Bleedin-Heart Rum Company, che realizza il rum Don Papa.

Durante una vacanza, l’allora manager di una multinazionale del settore si rese conto che, se c’era così tanta produzione di zucchero, doveva esserci anche la parte di scarto, ovvero la melassa, da cui si poteva distillare il rum. Carroll si mise in contatto con il principale zuccherificio di Negros e si rese conto non solo che la sua intuizione era giusta, ma che la melassa era molto carica di componenti zuccherine, e quindi perfetta per la creazione di un prodotto di qualità.

Nel 2012 nacque così la sua azienda, che mise in commercio un rum prodotto nelle Fillipine. Il distillato, invecchiato in fusti di quercia americana per un periodo non inferiore a sette anni, è molto complesso, perché il clima caldo dell’isola fa evaporare una parte alcolica per circa l’8% all’anno. Il prodotto che ne viene fuori ha 40 gradi.

Il successo globale

Al successo del prodotto hanno contribuito anche le intuizioni per quanto riguarda nome e packaging. Il primo rimanda a una figura leggendaria della storia di Negros, Dionisio Magbueles, conosciuto anche come ‘Papa Isio’, coltivatore di canna da zucchero e protagonista della rivoluzione filippina alla fine del XIX secolo.

Magbueles è raffigurato sull’etichetta della bottiglia con quello che a prima vista sembra un monocolo, ma che a uno sguardo più attento si rivela essere un geco. Sono nascosti nel disegno altri animali, tra i quali anche il più piccolo primate al mondo, il tarsio spettro (originario del sud dell’arcipelago filippino delle Visayas). Grazie all’eleganza dell’etichetta, il rum Don Papa si è in breve guadagnato spazio in bar e ristoranti di tutto il mondo, tra cui Les Justes, John Viande e Le Petit Bain a Parigi, al Galvin at Windows (Hilton Park Lane), all’Oriole e alla Tate Modern di Londra.

La vendita di Don Papa

All’inizio del 2023 la multinazionale Diageo ha annunciato di avere raggiunto un accordo per l’acquisizione di Don Papa Rum, per il corrispettivo iniziale di 260 milioni di euro, con un ulteriore esborso che potrà arrivare fino a 177,5 milioni di euro fino al 2028, a seconda dei risultati.

Qualche osservatore ha definito questa operazione una sorpresa, ma il motivo pare subito evidente per chi vuol leggere i numeri: se il segmento super premium plus della categoria del rum ha avuto un tasso di crescita annuale composto (cagr) del 18% in Europa e del 27% negli Stati Uniti nel periodo 2016-2021, nello stesso periodo Don Papa Rum ha fatto meglio nel mercato europeo, con un cagr del 29%, e oggi è molto richiesto in tutti i 30 paesi dov’è disponibile, con Francia, Germania e Italia quali mercati principali.

Fino a oggi, mai un paese come le Filippine era stato protagonista della cessione di un brand premium per cifre simili. E la vera rivoluzione è che tutto questo nasce da una risorsa naturale disponibile in abbondanza, diventata un simbolo non solo di qualità, ma anche di un immaginario naturalistico. Un vettore sia per il mondo agricolo che per quello turistico. Due settori su cui questo arcipelago punterà nei prossimi anni per consolidarsi nello scenario globale come il nuovo Paese da visitare e, perché no, dove investire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .