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Non solo Messi e CR7. Come il denaro saudita sta rivoluzionando il mondo dello sport

Questo articolo è apparso su Forbes.com

I più famosi giocatori di calcio e di golf si stanno godendo le ricchezze mediorientali. Ma alcuni temono che i nuovi gruppi di proprietà possano distruggere l’equilibrio competitivo. 

I legami di Lionel Messi con i sauditi gli sono costati il rapporto con il suo club, il Paris Saint-Germain, ma gli stanno anche fruttando parecchio.

Sabato scorso la star del calcio è stata reintegrata nel Psg dopo aver scontato una sospensione di due settimane per aver saltato un allenamento per recarsi in Arabia Saudita. Secondo quanto riferito, il viaggio era un obbligo previsto dal suo contratto multimilionario come ambasciatore turistico del regno, e da allora sono cresciute le indiscrezioni sul fatto che quest’estate potrebbe lasciare la Francia per unirsi al club saudita dell’Al Hilal. Un contratto di questo tipo potrebbe valere centinaia di milioni di dollari all’anno, anche se sia i rappresentanti di Messi che la squadra hanno negato di aver chiuso un accordo.

Messi non è l’unica stella dello sport con legami con il Medio Oriente. Tra i 50 atleti più pagati al mondo ci sono sette golfisti del tour LIV Golf, finanziato dai sauditi, oltre al rivale di Messi, Cristiano Ronaldo, che a gennaio ha lasciato il calcio europeo per passare alla squadra saudita dell’Al Nassr, e al pugile Anthony Joshua, che ad agosto ha combattuto nel Paese contro Oleksandr Usyk. Kylian Mbappé e Neymar giocano al fianco di Messi sotto la proprietà qatariota del Paris Saint-Germain – e Neymar è il testimonial della Qatar Airways – mentre Lewis Hamilton e Max Verstappen della Formula 1 correranno quest’anno in quattro Paesi del Medio Oriente.

Ecco una panoramica su questi grandi investimenti e sui suoi effetti a catena.

Dove spende il Medio Oriente?

Da quando lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan e la sua società di private equity con sede negli Emirati Arabi Uniti hanno acquistato il Manchester City nel 2008, i miliardari mediorientali si sono fiondati sul calcio europeo. Due delle operazioni più importanti sono state la vendita del Paris Saint-Germain nel 2011 al Qatar Sports Investments, una società controllata del fondo sovrano del Paese, e l’acquisizione del Newcastle United nel 2020 da parte del Public Investment Fund dell’Arabia Saudita. Più di recente, lo sceicco del Qatar Jassim Bin Hamad Al Thani è stato tra gli offerenti per il Manchester United e i sauditi starebbero valutando l’acquisto di partecipazioni in altre squadre di calcio europee, tra cui la squadra belga KV Oostende.

Questa spinta verso il calcio ha esordito anche a livello nazionale, quando il Qatar ha ospitato la Coppa del Mondo – ad un costo stimato di 220 miliardi di dollari – e la Saudi Pro League ha attirato Ronaldo negli ultimi mesi. L’altro grande evento dello scorso anno è stato il lancio del LIV Golf Tour, che ha attirato lontano dal PGA Tour stelle come Mickelson e Johnson con pagamenti garantiti che – secondo quanto riferito – ammonterebbero a 200 milioni di dollari, metà dei quali i golfisti in questione avrebbero ricevuto in anticipo.

L’Arabia Saudita ha anche ospitato incontri di pugilato e di arti marziali miste, oltre che eventi Wwe, e insieme al Qatar è entrata a far parte del calendario della Formula 1 nel 2021, insieme al Bahrain (sede di una gara dal 2004) e agli Emirati Arabi Uniti (2009). Nel frattempo, a gennaio gli Emirati Arabi Uniti hanno lanciato e finanziato generosamente un nuovo campionato di cricket e a settembre l’Arabia Saudita ha dichiarato di aver avviato un piano da 38 miliardi di dollari per diventare un polo sportivo entro il 2030. E poi ci sono le sponsorizzazioni sportive: Il Saudi Public Investment Fund ha dichiarato di aver impegnato 2,3 miliardi di dollari nei primi otto mesi del 2022 in sponsorizzazioni calcistiche a lungo termine.

Quanto stanno fruttando questi investimenti agli atleti?

I golfisti hanno avvertito immediatamente l’impatto. Nella stagione inaugurale del LIV Golf dello scorso anno, gli otto eventi del tour hanno avuto un montepremi totale di 255 milioni di dollari, con i vincitori dei singoli tornei che si sono aggiudicati 4 milioni di dollari e Johnson che ha ottenuto 18 milioni di dollari come campione singolo della stagione. Inoltre, il tour utilizza un formato “no-cut”, il che significa che tutti i giocatori che si presentano a un torneo vengono pagati, indipendentemente dal loro scarso rendimento. (Invece, gli eventi del PGA Tour di solito eliminano circa la metà dei giocatori di venerdì, a metà torneo, e i giocatori che vengono eliminati non guadagnano nulla per la loro partecipazione). Secondo le stime di Forbes, i sette golfisti della LIV classificati tra gli atleti più pagati al mondo negli ultimi 12 mesi hanno guadagnato complessivamente 499 milioni di dollari grazie ai bonus di ingaggio e ai premi in denaro.

Peraltro, anche i golfisti che sono rimasti nel PGA Tour ne hanno beneficiato, poiché l’organizzazione ha cercato di stare al passo aumentando i montepremi e i bonus. Jon Rahm ha già stabilito il record della stagione regolare del Tour quest’anno, con 14,5 milioni di dollari di montepremi, con quasi tre mesi ancora da giocare.

Nel mondo del calcio, il contratto di Ronaldo è visto come un caso a sé derivante da circostanze particolari e non si ritiene che possa influenzare granché il mercato più allargato dei giocatori. Un’offerta saudita per Messi – che si vocifera possa arrivare a 440 milioni di dollari all’anno – avrebbe analogamente poco a che fare con le condizioni economiche tradizionali di questo sport. I club con sede in Medio Oriente semplicemente non hanno modo di recuperare direttamente quel denaro. Basta considerare che, secondo Deloitte, nel 2022 la Juventus ha registrato un fatturato totale di 440 milioni di dollari (al tasso di cambio attuale), l’undicesimo più alto di tutto il mondo del calcio.

D’altra parte, si ritiene che i grandi investimenti in Europea da parte dei gruppi mediorientali stiano facendo aumentare in modo trasversale i costi dei giocatori. Nel 2021 il Manchester City ha ingaggiato Jack Grealish per 139 milioni di dollari, un record in Inghilterra in fatto di spese di trasferimento e l’estate successiva lo stesso club ha dato seguito a questo trend con un ingaggio di 63 milioni di dollari per Erling Haaland. Con Messi, Mbappé e Neymar, il Paris Saint-Germain ha in rosa tre dei quattro giocatori più pagati del calcio. Questo tipo di accordi ha fatto impennare il mercato dei giocatori, e allo stesso modo le offerte stellari per le squadre da parte degli investitori mediorientali stanno facendo salire le valutazioni in tutto questo sport.

Ma allora qual è il problema?

Il lato positivo di tutto questo è che il LIV Golf ha steso il tappeto rosso per i suoi giocatori, finanziando le loro trasferte e sistemazioni. I club calcistici europei di proprietà mediorientale hanno investito pesantemente nelle loro strutture, nei loro allenatori e nelle loro organizzazioni. Questo tipo di spesa è stata molto apprezzata, soprattutto dopo le gestioni fallimentari e gli sprechi di denaro causati nell’ultimo decennio dall’arrivo di un’ondata di proprietari cinesi.

La preoccupazione principale è stata l’equilibrio competitivo. Può sembrare che i nuovi proprietari dispongano di capitali illimitati – il Fondo d’investimento pubblico saudita ha un patrimonio gestito di ben 620 miliardi di dollari – e poiché i campionati di calcio europei non prevedono un tetto salariale all’americana, l’unico elemento che impedisce alle squadre dei gruppi petroliferi di acquistare tutti i migliori giocatori è una serie di regole denominate Fair Play Finanziario. Queste regole hanno lo scopo di evitare che le spese dei club superino i loro ricavi.

Tuttavia, molti ritengono che tali regole finiscano per codificare una gerarchia europea anziché garantire la parità di condizioni: Solo un club con buoni giocatori può generare grandi ricavi, ma solo un club che dispone di molto denaro può acquistare buoni giocatori. E si teme che i club possano cercare di aggirare le regole con sponsorizzazioni fasulle per gonfiare artificialmente i loro ricavi. Queste problematiche sono particolarmente gravi con i fondi sovrani: Se un Paese possiede sia una squadra che – ad esempio – una compagnia aerea, perché non trasferire semplicemente del denaro da una all’altra per aggirare le regole?

I rischi dello sportswashing

A dire il vero, non si tratta di nulla di nuovo: si potrebbe dire lo stesso delle spese degli oligarchi russi che dieci o vent’anni fa hanno acquistato diverse squadre di calcio. E regna un certo ottimismo sul fatto che i regolamenti finanziari possano acquistare maggiore efficacia dopo che la Premier League, a febbraio, ha accusato il Manchester City di più di 100 infrazioni. La squadra ha respinto le accuse, ma se venisse giudicata colpevole, la pena potrebbe persino comportare la retrocessione nella seconda divisione del calcio inglese.

Gli osservatori più critici hanno anche sollevato preoccupazioni sulla situazione in materia di diritti umani nei Paesi mediorientali e sul pericolo che gli investimenti di questi grossi gruppi possano integrare gli estremi del sportswashing, ovvero attività di sponsorizzazione di eventi sportivi per migliorare l’immagine pubblica di un governo e distogliere l’attenzione da comportamenti scorretti. Questa circostanza potrebbe avere un certo peso, ma alcuni si chiedono perché, ad esempio, Cina e Russia non abbiano suscitato lo stesso livello di critiche quando hanno ospitato le Olimpiadi negli ultimi anni.

Altri sottolineano che, quando sono coinvolti offerenti estremamente facoltosi, i prezzi delle squadre sono spesso influenzati da fattori che vanno al di là di semplici fattori economici, osservando che l’offerta vincente di Rob Walton per i Denver Broncos dello scorso giugno è stata superiore del 25% rispetto alla valutazione di Forbes della squadra e di almeno 400 milioni di dollari rispetto alla migliore offerta successiva. Fattori strategici e l’ego a volte prevalgono su semplici calcoli finanziari.

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