Responsibility

Un nuovo umanesimo: la rivoluzione del digitale raccontata dal designer Jeffrey Schnapp

Il dominio digitale prossimo venturo? “Non per sostituire l’essere umano, ma per prolungarne ed estenderne le capacità”. Ed ecco l’umanesimo digitale che ribadisce l’uomo al centro dell’universo, designandolo unico artefice della propria vita. Altro che minaccia dell’intelligenza artificiale. Parola di Jeffrey Schnapp, designer della conoscenza e pioniere delle digital humanities, che definisce le parole chiave della transizione digitale. Punto di osservazione privilegiato di Jeffrey Schnapp è il Metalab di Harvard. Lab e meta, due parole chiave per ‘leggere’ la conoscenza del futuro.

Proviamo a ridefinire il concetto e l’impatto del digitale sui modelli di produzione, disseminazione e trasmissione della cultura.

È in atto uno scontro-convergenza tra i metodi computazionali e le ricerche nel settore umanistico. Un dialogo da cui derivano nuove forme, nuovi modelli di condivisione e formazione che stanno modificando le aree disciplinari base del settore umanistico. Essere uno studioso vuol dire anche avere competenze tecniche. Non si tratta solo di applicare metodi digitali informatici allo studio della storia, della cultura e delle arti, ma anche di ripensare cos’è la cultura, superare il confine tra tecnica e cultura che abbiamo ereditato dal ‘900 e che il digitale ci chiede di ripensare. Perché ogni tecnologia è portatrice di nuove forme culturali.

Il suo punto di osservazione privilegiato è il MetaLab di Harvard. Meta e Lab, due parole chiave per la conoscenza del futuro.

È una piattaforma di sperimentazione di nuove forme e nuove qualità della ricerca. Gestione e collaborazione tra diverse aree di specializzazione: quando si vive alla frontiera, si deve per forza riflettere sul come e il perché di un progetto, analizzare perché scegliere una soluzione, una metodologia, un approccio. Affrontare una sfida è un meccanismo autocritico fondamentale dell’attività che svolgiamo.

Il ruolo dei social. Tutti possono interagire e interferire su tutto. È un bene o un male?

È un bene e un male. Come ogni forma e sistema di comunicazione, ha elementi forti che però, democratizzando la distribuzione e la disseminazione delle informazioni, comportano anche rischi. Basta pensare al sistema dei grandi giornali degli ultimi decenni del ‘900, in cui alcune testate e relativi proprietari erano in grado di gestire buona parte dell’ecosistema delle informazioni. I social media sono una componente della cultura contemporanea che dobbiamo imparare a gestire con responsabilità, ma anche senza paura, senza attribuire loro un ruolo dominante nelle battaglie civili e capendo quali sono i loro limiti e che non sono lo specchio della nostra società, ma di una fascia dell’opinione pubblica, forse quella che è più vistosamente presente nei dibattiti. Dietro i social ci sono realtà che dobbiamo affrontare. È un canale che magari va regolamentato, ma è fondamentale.

Esploriamo alcune sue definizioni. La prima: il digitale è l’aria che si respira.

La tendenza è trattare le nuove tecnologie e il mondo digitale come una novità artificiale che arriva da un altro pianeta. Il digitale, invece, è presente in ogni componente del quotidiano: basta prendere in mano il super computer che abbiamo in tasca e che ci accompagna in ogni azione. Per questo il digitale è l’aria che respiriamo: non c’è una divergenza tra il mondo analogico in cui viviamo e quello digitale.

La virtualità: “Una grande finestra nel mondo reale, nella quotidianità in cui viviamo da millenni”. Definizione rassicurante…

Si è fatto strada il concetto che la virtualità fosse una specie di rivale del mondo in cui viviamo realmente. Una costruzione mentale sbagliata: la virtualità è un’estensione della fisicità, che può fornirci esperienze diverse, ma non è rivale dello spazio dei nostri corpi. Riflettiamo, per esempio, sul fatto che riusciamo a essere presenti a un evento distante migliaia di chilometri: un secolo fa sembrava un miracolo, oggi lo accettiamo come se fosse normale. Perché lo è diventato.

E ancora: knowledge design, il design della conoscenza.

È una formula che ho coniato per descrivere l’attività del mio Metalab. Non partiamo dal presupposto che il frutto di un lavoro di ricerca debba essere un libro. Può assumere la forma di un codice che comunica il sapere con forme che si sono moltiplicate con la tecnologia. Il design riflette un mondo di formati, contenitori, canali e scelte strategiche in funzione delle domande, delle ambizioni che sottostanno a ogni progetto di ricerca. Metalab, per esempio, costruisce esperienze interattive nei musei e sperimenta nuove modalità di design di libri, facendo leva su banche dati e usando strumenti di machine learning per creare e costruire un’esperienza: raccontare la storia dell’arte non parlando di 100 o 200 opere, ma di miliardi di opere nello stesso tempo e traducendo il tutto in una visualizzazione interattiva. Storytelling che vanno oltre i confini di un codice cartaceo che abbiamo superato.

Un’altra definizione: movability, la mobilità slegata dalla velocità a tutti i costi. Non è importante in quanto tempo, ma dove andiamo.

Siamo andati oltre l’epopea della velocità che ha segnato il ‘900. Nel XXI secolo le forme di micromobilità stanno emergendo come protagoniste. Stiamo ripensando anche la qualità del rapporto con i luoghi dove viviamo e lavoriamo.

La rivoluzione digitale è in corso da quasi mezzo secolo. Dove ci porterà? Chi prevarrà fra umano e digitale?

La relazione sempre più intima tra il mondo digitale e la quotidianità continuerà a intensificarsi. Lo abbiamo visto negli ultimi mesi, con l’uso sempre più ampio di sistemi di intelligenza artificiale generativa, estensioni delle nostre capacità che diventeranno parte integrante dell’esperienza umana. Non per sostituire l’essere umano, ma per prolungare ed espandere le nostre capacità. Questo processo si intensificherà rapidamente nei prossimi anni.

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