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Strategia

La corsa all’oro blu: perché il cobalto può definire gli equilibri del prossimo secolo

“Dal confine dell’universo al palmo della tua mano”. Apple, con questo slogan, promuove in Italia il suo nuovo iPhone 15 e ne evidenzia la finitura in titanio. Questo elemento chimico occupa il numero 22 nella tavola periodica degli elementi. Poco più avanti, al numero 27, troviamo il cobalto. Forse meno conosciuto e reclamizzato del titanio, ma più importante per il funzionamento del dispositivo. Il cobalto, infatti, è fondamentale per le batterie degli smartphone (Apple e non) e, in generale, per le batterie di tutti dispositivi elettronici e, soprattutto, delle auto elettriche. Se per alcuni il litio sarà il petrolio del XXI secolo, il  cobalto non è da meno. “Nei prossimi dieci il cobalto sarà tutto”, ha previsto il vicedirettore di Commus Global, una società mineraria congolese posseduta dalla cinese Zijing Mining Group. “Se vuoi essere il re del mondo, devi avere il cobalto”.

L’accordo del secolo

Quasi il 70% del cobalto mondiale si estrae nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), che si ritiene possegga la metà delle riserve conosciute. La Rdc è un paese di oltre 2,3 milioni di chilometri quadrati, con circa 95 milioni di abitanti, ricchissimo di materie prime fondamentali per la transizione ecologica, ma sconvolto da endemiche guerre civili, carestie e povertà. Oltre il 50% dei congolesi vive in povertà assoluta e si calcola che dal 1998 a oggi siano morti più di cinque milioni di persone per via dei conflitti scoppiati nel Paese per il controllo delle materie prime.

La ricchezza del sottosuolo congolese era già nota alla fine del XIX secolo, quando il re del Belgio, Leopoldo II, lo rese un suo possedimento personale prima di trasformarlo, nel 1908, nel Congo Belga, una colonia a tutti gli effetti. Cento anni dopo, nel 2008, la Cina ha siglato un accordo fondamentale a livello economico e geopolitico con l’allora presidente congolese Joseph Kabila, da alcuni definito “l’accordo del secolo”. Pechino ha garantito investimenti infrastrutturali per circa 6 miliardi di dollari e altri 3 miliardi nell’industria mineraria, in cambio di una concessone di 25 anni – di un valore stimato tra i 40 e gli 80 miliardi di dollari – per estrarre dieci milioni di tonnellate di rame e 600mila tonnellate di cobalto.

L’asse Cina-Congo

Da questo accordo è nata la Sicomines, una joint venture partecipata al 68% dalla Cina e al 32% della Rdc. Inoltre, secondo AsiaNews, 15 delle 19 imprese minerarie che operano nel Paese sono cinesi. Tra queste c’è China Molybdenum, secondo produttore globale di cobalto, che nel 2016 ha acquistato dall’americana Freeport-Mcmoran il 56% della più grande miniera al mondo, Tenke Fungurume, per 2,65 miliardi di dollari. Un altro 24%, che era in mano alla canadese Lundin Mining, è stato acquisito da un fondo di investimento di Bhr Partners, società cinese co-fondata da Hunter Biden, figlio del presidente statunitense. Così Pechino ha il controllo del 41% delle forniture globali di cobalto, oltre a detenere il 76% della sua raffinazione.

La domanda di cobalto, anche per via dell’utilizzo sempre maggiore di auto elettriche, è prevista in crescita di 41 volte entro il 2040. Forse anche per questa ragione il presidente congolese, Félix Tshisekedi, è volato in Cina, a maggio, per rinegoziare l’accordo sottoscritto dal predecessore. Tshisekedi, riferisce la Reuters, ha chiesto ulteriori investimenti per 17 miliardi di dollari, oltre ai 3 già previsti, consapevole della dipendenza cinese dall’importazione di cobalto congolese. Xi Jinping, non a caso, ha fatto entrare la Rdc nella sua nuova Via della Seta, diventando il primo partner commerciale del paese africano. Per di più negli ultimi anni Xi ha cancellato oltre 28 milioni di dollari di interessi su prestiti infrastrutturali fatti al governo di Kinshasa.

Che cosa succede nelle miniere di cobalto

La ricerca del cobalto ha causato però, oltre a un notevole inquinamento delle falde acquifere e delle città vicine alle miniere, un preoccupante impiego di manodopera minorile. Secondo stime dell’Unicef, 40mila dei 100mila congolesi che lavorano in miniere ‘artigianali’, ovvero create anche nel giardino di casa, sono bambini o adolescenti. Un’inchiesta del Washington Post ha rivelato che il cobalto estratto in maniera artigianale viene poi rivenduto soprattutto ad aziende cinesi, come la Congo DongFang Mining, controllata da Huayou Cobalt, che fornisce circa il 20% del cobalto utilizzato dalla Apple. Anche Panasonic, principale fornitore di batterie di Tesla, compra cobalto congolese. Le altre due produttrici di batterie per l’azienda di Elon Musk, la sudcoreana Lg Chem e la cinese Catl, non sono da meno. Catl, per esempio, nel 2018 si è assicurata circa un terzo del cobalto congolese prodotto dalla multinazionale Glencore.

Gli Stati Uniti hanno inserito il cobalto nella lista delle ‘risorse da conflitto’, ovvero quelle per il cui controllo si possono scatenare guerre e la cui produzione può causare devastazione, inquinamento e sfruttamento. Non è semplice, però, rinunciare al cobalto della Rdc, anche considerando l’aumento della diffusione di veicoli elettrici. La Cina si è mossa per prima. Se in questo secolo il dominio del mondo passerà per il dominio tecnologico, Pechino, monopolizzando il mercato delle materie prime strategiche, ha un chiaro vantaggio.

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