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Sostenibilità, le imprese familiari consapevoli ma ancora disorientate

Le piccole e medie imprese familiari sono consapevoli del tema sostenibilità, ma faticano a impegnarsi per realizzarlo perché disorientate. Nella maggior parte dei casi, infatti, non è l’ostacolo finanziario quello che le blocca, bensì la mancanza di una bussola, ossia di informazioni e conoscenze univoche.

A frenarle sono, quindi, la mancanza di un quadro regolatorio definitivo e la difficoltà a reperire le competenze sul vasto tema della sostenibilità. Il dato è emerso nel corso del convegno dal titolo Gli Esg e il modello benefit come leva di crescita per le imprese familiari, che si è tenuto lo scorso 23 novembre all’Università La Sapienza di Roma.

Su questo ultimo fronte è stata illuminante la ricerca – ancora in fieri ma già in grado di dare alcune indicazioni di tendenza – commissionata da Fa.b.r.i. con i suoi esperti membri del Comitato tecnico scientifico provenienti dall’Università di Trento e dalla Libera Università di Bolzano – e realizzata su un campione di piccole e medie imprese familiari da parte dei professori Fabio Zona e Alfredo De Massis e presentata a Roma in anteprima.

L’importanza di una formazione interna sulla sostenibilità

Ebbene, se dalle ricerche pregresse, citate da De Massis, ordinario di Imprenditorialità e Family Business Management alla Libera Università di Bolzano, emerge che le imprese familiari fanno più fatica a investire sulla sostenibilità, la nuova ricerca analizza tale aspetto nelle sue cause.

La stragrande maggioranza delle imprese del campione dello studio più recente dichiara infatti di considerare la sostenibilità socio-ambientale come una “priorità strategica”, ha sottolineato Zona, ordinario di Economia aziendale all’Università di Trento.

Solo il 25% dei rispondenti individua nelle limitate possibilità finanziarie un ostacolo ad abbracciare la strada della sostenibilità. Maggiore è la parte del campione che indica nella mancanza di conoscenza un nodo che le blocca in questo ambito.

“Per spingere le imprese familiari a investire maggiormente sulla sostenibilità”, ha chiosato De Massis, “è fondamentale coinvolgere con deleghe specifiche le nuove generazioni di imprenditori e avere un ecosistema di professionisti sempre più specializzati nel campo della sostenibilità che collaborino con le aziende”.

Per Marco Palamidessi, presidente di Fa.b.r.i. “la sostenibilità nei suoi tre pilastri è entrata di diritto nelle imprese di qualsiasi dimensione. È indispensabile in questo senso lavorare sulla formazione interna all’impresa coinvolgendo tutti gli stakeholder con l’obiettivo di incorporare tutti i principi di sostenibilità nell’azienda. Nessuna impresa è un’isola e ognuna è chiamata a dare un contributo al benessere generale”.

Il passaggio a società benefit

Ma, come ha chiarito Domenico Siclari, professore ordinario di Diritto dell’economia e dei mercati finanziari all’Università Sapienza di Roma, uno strumento utile affinché le imprese possano abbracciare la sostenibilità è diventare società benefit. Una dimensione che consente di avere diversi vantaggi, tra cui l’attrazione degli investimenti, l’accesso più agevole al credito.

Molte sono già le imprese familiari che hanno investito nella sostenibilità, come ad esempio quella di Elsa Di Paolo, cfo ed esg manager di Italfluid Geonergy la quale rileva che “Le imprese familiari spesso sono sostenibili e non riescono a comunicarlo al mercato perché non sono preparate a farlo. Le imprese non sanno cosa fare, perché se da un lato si sta arrivando ad una standardizzazione dal punto di vista normativo, la regolamentazione non è completa. Nella nostra azienda abbiamo costituito un comitato molto inclusivo che ha partecipato alla creazione delle idee su come potesse divenire sostenibile e con un percorso a ritroso, abbiamo definito queste idee come Kpi di sostenibilità per l’impresa”.

Un altro esempio virtuoso di azienda familiare che ha interiorizzato il passaggio culturale investendo nell’innovazione per la sostenibilità, è quello di Despe società leader nelle demolizioni, settore tra i più impattanti dal punto di vista della produzione di rifiuti e non solo.

L’investimento in sostenibilità diventa un vantaggio competitivo

Come racconta, però, l’amministratore delegato Stefano Panseri, la ricerca e lo sviluppo hanno consentito loro di rispondere a questa esigenza di cambiamento e, oggi, con il sistema della decostruzione controllata (top-down way) – attraverso una ‘cuffia’ montata in cima alla struttura – sono in grado di demolire un grattacielo dividendo “tutti i codici cer dei rifiuti, riciclando calcestruzzo, ferro, legno e vetro ed arrivando ad un riciclo di oltre il 98% in peso dei materiali (…) senza produrre polvere, rumore, vibrazioni”, con vantaggio anche per i cittadini.

D’altra parte, come sostiene Loredana Reniero, co-founder e business developer di Step Società Benefit, l’investimento in sostenibilità diventa un vantaggio competitivo soprattutto quando si attivano progetti di innovazione:

“Oggi le aziende investono, ad esempio, nell’efficientamento energetico che però non vuol dire solo realizzare pannelli fotovoltaici o comprare energia green, l’innovazione in questo ambito porta con sé sempre risultati economici per l’impresa”.

Il ruolo fondamentale dei professionisti

Centrale è quindi il ruolo dei professionisti e dei consulenti: per Monica Rota, partner di Nexta “è fondamentale riuscire a far comprendere che cos’è la sostenibilità all’imprenditore, fargliene capire l’importanza. Si parte sempre da una valutazione dello stato di fatto e del business aziendale per individuare interventi che portino a un progetto di sostenibilità per l’impresa che vuole trasformarsi in società benefit. Anche perché il rischio greenwashing e benefit washing è dietro l’angolo”.

Andrea Locatelli, founder e managing partner di Locatelli&Partners Family Office, è convinto che i professionisti debbano aiutare le imprese a comprendere anche i rischi: “E’ meglio prevenire che curare quando si parla del rischio di un procedimento penale in ambito ambientale. In questo senso lo strumento a cui attenersi e che riguarda la buona governance, resta il Dl 231/2001. Questo aiuta a prevenire sia i reati che le conseguenti crisi reputazionali”.

Crisi reputazionali che nascono dalla volontà spesso di cavalcare un’onda, di esagerare o mentire rispetto alla propria sostenibilità: “Il greenwashing innesca due tipi di conseguenze: esclusivamente reputazionali oppure legali e reputazionali. Entrambe sono onerose da affrontare e creano una crepa spesso insanabile nelle relazioni con i pubblici dell’organizzazione”, spiega Marianna Valletta, founder e director di Valletta Relazioni Pubbliche.

I risvolti in termini etici

Ma queste non sono le uniche prospettive dalle quali si è affrontata la questione sostenibilità, che ha innegabilmente dei risvolti profondi in termini di etica, tema di cui si è infine discusso con il prorettore per le Scienze Umane e Sociali dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Roberto Mordacci.

Per Mordacci l’etica non deve fungere da “guardiano” stabilendo cosa sia giusto fare o non fare, ma spingerci alla riflessione sul come vivere una “vita buona” che realizzi valore anche in senso economico e mai come oggi, inaspettatamente, si è giunti ad una “convergenza inedita fra il valore di business e i valori etici richiamati dall’Esg, nel senso che operare secondo principi di sostenibilità contribuisce al business. È un’occasione da non perdere”, chiosa il prorettore, sottolineando come per la prima volta aspetti valoriali siano diventati una “entità che le aziende possono mettere a fuoco anche in termini quantitativi” e addirittura misurabili.

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