Articolo tratto dal numero di dicembre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!
Potremmo aprire, come in The Social Dilemma, citando Sofocle, “nulla che sia grande entra nella vita dei mortali senza una maledizione”. Il docufilm, scritto e diretto da Jeff Orlowski, raccontava già nel 2020 come e perché i social network non vengono usati come pensavamo o come a lungo abbiamo voluto credere. Adesso il re è nudo, perché ci ha chiesto di pagare un abbonamento per smettere di pedinarci, di usare le tracce che lasciamo nella nostra vita digitale, di guadagnare entrando nella nostra privacy. Lo ha fatto Meta, che oggi comprende Facebook e Instagram oltre a WhatsApp, dopo X (il Twitter terremotato da Elon Musk), YouTube e altri. Ed è scoppiato il caso.
Forse è proprio questa la maledizione dei social: aver prodotto un cambiamento davvero grande, ma ‘inquinando’, in qualche modo, le nostre vite. E l’ha fatto talmente bene da averci convinti che Facebook & co. siano un servizio pubblico per il quale basta rivendicare il diritto con un proclama – ovviamente condiviso sui social – e nessuno può pretendere un euro, come s’è visto fare con una singolare e ingenua catena circolata sulle bacheche di persone al di sopra di ogni sospetto. Quella richiesta di abbonamento (a partire da 12,99 euro al mese) arrivata a inizio novembre sui nostri smartphone per continuare a usare Facebook e Instagram senza inserzioni pubblicitarie segna l’inizio di una svolta e, forse, di una nuova stagione dei social network.
Rendere il mondo aperto
Tutto, ovviamente, comincia da lui. Chissà a che cosa sta pensando Mark Zuckerberg per rendere indimenticabile il suo (e forse anche il nostro) 2024. L’ex studente intraprendente di Harvard avrà da festeggiare i suoi primi 40 anni, ma anche il primo ventennio di Facebook, la creatura che l’ha reso uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, ma anche quello a cui vengono attribuite tutte le nefandezze di cui è difficile individuare i responsabili (adesso i procuratori generali di 33 stati americani accusano Meta di aver rovinato la vita dei più giovani, rendendoli dipendenti dai social). Ne è trascorso di tempo da quando Mark, insieme ai compagni di stanza di Harvard, ispirandosi agli annuari universitari il 4 febbraio 2004 lanciava Thefacebook. Mise online qualche foto di colleghi tra cui scegliere il più ‘figo’ e funzionò talmente bene da mandare in tilt i server dell’università.
Da allora, Facebook ha rivoluzionato il modo in cui le persone interagiscono con i contenuti online, ha acquisito Instagram e WhatsApp, è diventato una società quotata che ha affrontato numerose controversie, tra cui lo scandalo Cambridge Analytica. Sembra un secolo fa (era il 2007), quando Zuckerberg diceva, dopo aver rifiutato una proposta di acquisto: “Per me e i miei colleghi la cosa più importante era creare un flusso di informazioni per la gente. L’idea che le aziende di media siano possedute da conglomerati è assolutamente priva di ogni attrattiva per me”. E qualche tempo dopo: “L’unica cosa che realmente mi interessa è la mia missione, rendere il mondo aperto”.
E come se c’è riuscito! Oggi trascorriamo sulle piattaforme social (tutte quelle arrivate dopo Facebook) più tempo che davanti alla tv (a livello globale più di 2,3 ore al giorno secondo il report Digital 2023 di WeAreSocial). Inoltre, i social media continuano a influenzare il comportamento delle persone, nel bene e nel male, particolarmente nei modi in cui si relazionano con gli altri, nelle scelte di intrattenimento, nella ricerca di informazioni sui brand e negli acquisti online.
In Italia, nonostante un calo nell’utilizzo di internet, l’uso dei social network è in crescita, con un numero di utenti in aumento e una media di due ore al giorno trascorse su queste piattaforme. Sentiamo da tempo che Facebook è diventato il social dei vecchi, quindi non più trendy, ma resta ancora lo stato più grande del mondo con quasi tre miliardi di utenti attivi, il 70% della popolazione adulta che lo usa e un bilancio che a fine 2023 si aggira attorno ai 35 miliardi di dollari, in crescita di oltre il 20% rispetto al 2022.
Nessun pasto è gratis, nemmeno sui social
Se finora non abbiamo pagato nulla per far parte della più grande comunità digitale del mondo e condividere le foto delle vacanze, le acrobazie del nostro gattino, qualsiasi pensiero ci passi per la testa sul mondo o sul vicino di casa, da dove arrivano tutti quei soldi? È questa la domanda che dovrebbero farsi gli ingenui abitanti di Facebook, di Instagram è di ogni altra piattaforma digitale che non hanno mai pagato alcun biglietto di ingresso. E che ora rivendicano il diritto al servizio pubblico.
Da Milton Friedman, padre del liberismo economico, sono diverse le varianti di un concetto molto semplice: nessun pasto è gratis. Fino alla più recente elaborazione in chiave marketing attribuita al fondatore del Media lab del Mit, Nicholas Negroponte: se qualcosa è gratis, allora vuol dire che il prodotto sei tu. E, infatti, se finora non abbiamo pagato nulla (e potremo continuare a non pagare nulla) è perché il valore siamo noi per tutte le aziende che pagano Meta per raggiungerci con i loro messaggi e i loro prodotti nel modo giusto al momento giusto. Il biglietto che pagavamo (sempre valido, ma adesso bisogna accettare lo scambio esplicitamente) sono le nostre preferenze, i nostri gusti, i nostri comportamenti, le nostri opinioni.
Il bisogno di socializzazione digitale
Sono tutti questi gli ingredienti di quella che gli addetti ai lavori chiamano behavioural advertising o pubblicità comportamentale: funziona nei canali digitali e si basa sull’analisi del comportamento dell’utente per creare annunci mirati. È la base del modello di business di Meta (e non solo), ma l’onda lunga della Gdpr (General data protection regulation) la sta facendo traballare. Prima, le aziende come Meta garantivano la gratuità del servizio registrando i dati degli utenti e rivendendoli agli inserzionisti per realizzare pubblicità personalizzate a pagamento. Con le nuove regole molte di queste informazioni non sono più utilizzabili, causando una diminuzione degli introiti pubblicitari. A meno che ciascuno di noi si consegni volontariamente a Facebook & co., come succedeva prima, ma inconsapevolmente.
Funzionerà? Nessuno è in grado di rispondere e molto dipenderà da come noi utenti interpreteremo il bisogno di socializzazione digitale. C’è chi ha già previsto che nel 2030 i social attuali non esisteranno più, sostituiti da nuove piattaforme personalizzate, da condividere con gli amici (previsione/auspicio dei più giovani secondo una ricerca di Bnp Paribas con Eumetra, 2021). Che non sia questa la vera maledizione dei social? Non manca molto tempo per avere la risposta.
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