Guida Michelin
Food & Beverage

Dalle stelle alle stalle della gastronomia: i rischi di investire troppo per entrare nella Guida Michelin

In un contesto altamente competitivo e in constante mutamento, come quello dell’alta cucina, ambire al raggiungimento di un riconoscimento editoriale, come quello conferito dalla Guida Michelin, tra le più prestigiose nel panorama gastronomico mondiale, è diventato ormai una prassi. Solo in Italia, il mercato della ristorazione ha registrato nel 2022 un valore di ben 228 miliardi di euro, secondo una ricerca condotta da Deloitte; sottoponendo ricercatori ed esperti del settore a una riflessione ben precisa: qual è la misura dell’impatto socioeconomico di tale settore?

Se la ristorazione si fa sempre più proponderante per il destino della filiera alimentare, al conferimento di tale onere, giunge la responsabilità di chi conduce questo gioco di ricercare nuovi modelli di business che mettano al centro valori come la sostenibilità e l’innovazione sul campo. Una vera e propria industria, quella ristorativa, influenzata probabilmente, nel corso degli anni, anche da un’influsso televisivo sempre più coinvolgente che ha consacrato il ruolo di chef fuori e dentro le cucine.

A tal proposito, è chiaro evidenziare come 1 milione e 145mila spettatori non abbiano perso tempo a scoprire dal divano di casa il vincitore dell’ultima edizione di Masterchef Italia, eletto durante l’ultima puntata andata in onda lo scorso 29 febbraio.

I rischi di investire troppo sulle stelle Michelin

Ma se da un lato sono migliaia i cuochi che in tutto il mondo lavorano duramente per entrare nella cerchia degli stellati, sono altrettanti gli chef che, dopo un lungo periodo vissuto nel fine dining o alle prese con il mantenimento e/o la ricerca delle stelle Michelin, incorrono nella chiusura della propria attività o in una rimodulazione del proprio operato; arrivando persino alla valutazione di un’offerta gastronomica più inclusiva, a basso costo e che mantenga, però, intatti gli standard di qualità raggiunti in passato.

Pensate, per esempio, all’avventura pioneristica di René Redzepi, al Noma di Copenaghen, terminata dopo un intenso percorso professionale che lo ha portato in cima alle classifiche di tutto il mondo. Sta di fatto che, forse per questioni economiche o per motivi etici, lo chef danese si è reinventato dedicandosi attivamente alla divulgazione e alla ricerca alimentare, e a un’offerta culinaria decisamente più pop in giro per l’Europa e il resto del mondo.

Nonostante i numeri evidenziano la straordinaria capacità dell’asset ristorativo di influenzare in modo significativo le scelte dei consumatori e di chi vuole fare fine dining, ci occorre comprendere quali siano i passi da compiere per entrare a far parte della celebre guida francese. E soprattutto analizzare i rischi in cui ci si può imbattere in caso di non raggiungimento. Ne abbiamo parlato con Giada Di Stefano, professoressa associata di strategia presso l’Università Bocconi.

Le due facce di chi vuole entrare nella Guida Michelin

Quali sono gli elementi (materiali e umani) sui quali un ristorante investe per raggiungere la tanta agognata 1 stella della Guida Michelin? E soprattutto perché decide di farlo?

Michelin spiega il conferimento della stella con riferimento a cinque criteri relativi alla qualità degli ingredienti, l’armonia dei sapori, la tecnica, la capacità della cucina di veicolare la personalità dello chef, e la coerenza nel tempo e dell’intero menu.

Il riconoscimento assegnato dalla guida Michelin è, quindi, un obiettivo raggiungibile solo per un ristorante che metta la cucina al centro del proprio modello di business – gli investimenti riguardano soprattutto la scelta dei fornitori, la qualità della materia prima, la ricerca di combinazioni di sapori distintive, la padronanza della tecnica, nonché il fatto di maturare un proprio stile, il che può richiedere tempo, capacità di sperimentare e mettersi in gioco.

In questo senso, la stella diventa un obiettivo verso cui tendere, non per una semplice coppa da aggiungere al proprio medagliere, ma per un riconoscimento dei propri sforzi, di un percorso fatto nel tempo, di una identità che il ristorante sente propria.

Quali sono, dunque, i vantaggi dell’ingresso all’olimpo delle stelle? Tutto ciò è economicamente sostenibile o è necessario pensare anche ad altre tipologie di investimenti? Come programma televisivi o sponsorizzazioni, per esempio.

Il riconoscimento della stella viene assegnato una volta all’anno, e il fatto di averla ricevuta un anno non implica necessariamente riceverla l’anno successivo. In questo senso, una volta ricevuta la stella, il ristorante deve dimostrare di esserne all’altezza, pena la perdita del riconoscimento. Assumendo che il ristorante sia arrivato al riconoscimento a valle del percorso descritto sopra, si tratta di mantenere gli standard, e proseguire nel proprio percorso unendo continuità e innovazione.

La stella richiede di mettere la cucina al centro del proprio modello di business – in questo senso Michelin premia la sostanza, non la forma. Gli investimenti in comunicazione possono fare la differenza rispetto ai consumatori finali – soprattutto quelli più sensibili rispetto a questi temi. Ma non sono necessari per garantirsi una prenotazione da parte dei consumatori gourmet, che aspettano con trepidazione l’uscita della guida ogni anno.

La classificazione da una a tre stelle nasce proprio a questo scopo: le prime guide Michelin erano guide turistiche, e le stelle servivano a indicare ai viaggiatori i ristoranti in cui valeva la pena di fermarsi, quelli per cui valeva la pena modificare il proprio itinerario, e quelli per cui valeva la pena di organizzare un viaggio ad hoc. Secondo la guida del 2024, in Italia ci sono 13 ristoranti a questo livello.

Perché molte realtà non ce la fanno? Può delinearci un quadro generale degli errori di valutazione che portano un ristorante al fallimento? 

La stella è un riconoscimento che viene assegnato sulla base di criteri “oggettivizzati”, ma chiaramente non perfettamente oggettivi. E Michelin assegna stelle oramai da quasi un secolo – la prima edizione della guida risale al 1900 con la prima stella assegnata in Francia nel 1926. Ma questo non toglie che possano essere commessi errori di omissione (la stella non viene assegnata a un ristorante che la meriterebbe) ed errori di commissione (la stella viene assegnata a un ristorante che non la meriterebbe).

Il fatto che le stelle vengano assegnate annualmente aiuta a ridurre questo tipo di errori. Chi non riceve la stella può sempre ottenerla l’anno successivo. Ma questo implica anche che chi l’ha ricevuta potrebbe sempre perderla. In letteratura parliamo di “ansia da status” per descrivere la tensione che le organizzazioni possono provare nel momento in cui devono dimostrare di essere all’altezza della valutazione che hanno ricevuto. Se leggiamo il conferimento delle stelle in quest’ottica, non è difficile immaginare il tipo di pressioni a cui i ristoranti possono essere sottoposti.

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