fondatrici Ecosmic
Space Economy

Tre under 30 italiane hanno creato un’azienda per gestire il traffico di satelliti nello spazio

Articolo tratto dal numero di aprile 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

E se i satelliti diventassero più intelligenti, con patenti aggiornate per navigare nello spazio? Detto in sintesi, più smart. In un settore in cui si parla soprattutto di hardware, c’è chi, scrivendo codice, vuole stravolgere, in meglio, il modo in cui si affronta il traffico oltre il cielo. Sono tre ingegnere italiane, tutte non ancora trentenni, ma forti di un’esperienza accumulata in alcune tra le realtà più importanti nello spazio che conta. Sono Imane Marouf, Benedetta Cattani e Gaia Roncalli. La loro creatura imprenditoriale si chiama Ecosmic, è nata a Delft, in Olanda, ma l’hanno appena portata “a casa”, a Torino. “Ecosmic è una software house per satelliti”, esordisce Marouf, 25 anni, una nuvola di capelli corvini che dichiara radici famigliari d’oltremare, e un accento un po’ lombardo acquisito negli anni di studio al Politecnico di Milano, che maschera quello di Ferrara, sua città natale. “Siamo tre donne, le fondatrici, tutte italiane. Abbiamo deciso di tornare in Italia e creare valore qui, perché ci sono un ecosistema spaziale importante e un sistema di startup ancora in evoluzione”.

Che cosa fa Ecosmic

Lo spazio attorno alla Terra inizia a essere congestionato: si chiama sindrome di Kessler e riguarda l’intenso traffico di satelliti che si è creato, in particolare, con le reti di grandi costellazioni che si vanno tessendo, prima fra tutte Starlink, ma soprattutto con i relitti di satelliti non più operativi, elementi di razzi passivi e ingovernabili, e le centinaia di migliaia di frammenti che circolano senza controllo. Ognuno è un proiettile e ogni impatto può scatenare effetti a cascata, con più detriti e più proiettili che minacciano, a loro volta, altri asset orbitali.

L’entusiasmo è quello di chi ha imboccato un’autostrada vuota e senza limiti di velocità, la sicurezza è quella della competenza. Si parla, in particolare, di space awareness e collision avoidance: la consapevolezza di ciò che un satellite potrebbe trovare lungo la propria orbita e la capacità di evitarlo. Se necessario, appunto. Secondo l’Esa, tutte le settimane sono centinaia le segnalazioni di collisioni possibili per ogni satellite in orbita bassa, e questo costa: “Più del 99% di quelle ricevute oggi dagli operatori satellitari sono false allerte”, fa presente Cattani, che di anni ne ha 26 e dopo la laurea al Politecnico di Milano ha conseguito la magistrale a Delft. “Gli algoritmi usati sono stati creati più di dieci anni fa e non sono accurati, ora che il numero dei detriti è cresciuto esponenzialmente. Il nostro obiettivo è fornire un algoritmo più preciso, affinché si ricevano solamente allerte realistiche”.

Gestire il traffico spaziale

A parole sembra facile; nella pratica è l’esatto contrario. Cattani lo spiega così: “Immaginiamo di conoscere la posizione di un satellite con una precisione di 100 metri e di dover prevedere dove sarà tra tre o cinque giorni. La propagazione dell’orbita, però, genera un’imprecisione ed è in base a questi dati che occorre calcolare la probabilità di collisione con un altro oggetto (i cui calcoli possono avere lo stesso tipo di inaccuratezza, ndr). Parliamo di orbite comprese tra i 600 e i 36mila chilometri di quota”. Più si allarga il ventaglio dell’incertezza, più aumentano le possibilità che scatti un’allerta.

In orbita bassa i satelliti si muovono a velocità superiori ai sette chilometri al secondo. Qui si concentra il traffico più intenso, il rischio di incidenti è più alto e fronteggiarlo impegna tempo e personale: “Un algoritmo accurato permette di ridurre la quantità di risorse a terra impiegate senza motivo, e le manovre costano in termini di carburante”, osserva Marouf. Proprio la quantità di carburante è tra i fattori che incidono di più sulla durata operativa di un satellite. Quando non è più possibile manovrare e mantenere l’assetto, il suo utilizzo è compromesso.

Chi sono le fondatrici di Ecosmic

Sono italiane, si scriveva, per quanto ciascuna con radici diverse: Marouf, emiliana con origini marocchine, si occupa della parte marketing, sales e fundraising. Laureata in ingegneria aerospaziale al PoliMi e ora alla magistrale, ha lavorato come investment analyst per il fondo Primo Space, quindi in Esa, all’Attitude and Orbit Control Systems team di Noordwijk. È lì che ha conosciuto Cattani, system engineer dell’Agenzia spaziale europea in ambito clean space, nata in Danimarca da genitori italiani, cresciuta a Parma, con una laurea in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano e una magistrale a Delft. L’ultimo terzo della compagine societaria è rappresentato da Roncalli, 27enne fiorentina per metà francese, laurea al Politecnico di Torino e prossima alla magistrale a Delft, uno stage a Thales Alenia Space e poi all’Esa nel settore dello space weather. Tutte e tre hanno lasciato il lavoro per dedicarsi a tempo pieno a Ecosmic, che hanno fondato per rendere lo spazio “più responsabile e sostenibile. E perché non si commettano, lassù, gli errori che abbiamo fatto sulla Terra”.

Un round da 1,1 milioni di euro

La loro startup ha già ricevuto un grant dalla Commissione europea. È cresciuta grazie all’Esa Business Incubator Center e alla collaborazione con Infinite Orbits, compagnia di in orbit servicing, con la quale stanno sviluppando la versione on board del software. “Con Telespazio abbiamo avuto un contratto commerciale, ora terminato, per la proof of concept, cioè per dimostrare la validità del nostro prodotto con i dati satellitari reali”, dicono le fondatrici. Ecosmic ha chiuso il 2023 “per la prima volta in attivo. Ora siamo in cinque”. E si attende la chiusura di un round di finanziamento da 1,1 milioni di euro che permetterà di “assumere dieci persone e scalare le operazioni”.

La space awareness è stata il trampolino di lancio. Adesso le ingegnere hanno l’obiettivo di cambiare il sistema con un approccio modulare. “I grandi satelliti avevano software specifici che facevano la stessa cosa per 15 anni”, spiega Cattani. “Noi sviluppiamo blocchetti di un software che può lavorare su hardware differenti, non importa su quale satellite, e può essere aggiornato e implementato anche dopo il lancio”. I vantaggi sono pratici. Un esempio: “In caso di disastro naturale”, conclude Cattani, “è già successo che i satelliti si riposizionassero per scattare immagini fondamentali per il primo soccorso. Con un software modulare configurabile in tempo reale, può essere possibile analizzare queste immagini, ottenendo più dati e informazioni”.

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