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Come questa azienda è diventata tra le principali realtà indipendenti d’Italia nel wealth management

Articolo tratto dal numero di giugno 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Sentendo parlare Massimiliano Cagliero, 55 anni, torinese di nascita e milanese di adozione, si ha subito la percezione di non avere di fronte il classico uomo della finanza, almeno nella rappresentazione stereotipata che si è diffusa nei rampanti anni ’80 e ’90.

I suoi toni pacati e i suoi modi cortesi, le sue citazioni dotte e la profonda cultura umanistica che emerge dai suoi discorsi tracciano subito i tratti di un uomo che, oltre a conoscere i mercati finanziari e l’industria del risparmio, conosce anche le cose del mondo e i trend dell’economia e della società, uno che si alza all’alba e subito divora le pagine dei giornali per informarsi, apprendere e capire.

Già, perché ancor prima di essere un uomo della finanza, Cagliero è un uomo d’azienda, un imprenditore che gestisce sì i soldi di altri, ma che ha deciso pure di rischiare in prima persona. La sua impresa si chiama Banor ed è una delle principali realtà indipendenti nel nostro Paese nel settore del wealth management, un gruppo di cui è fondatore e ad, che esiste ormai da un quarto di secolo e che oggi supervisiona oltre 11 miliardi di euro di patrimoni, compresi quelli appartenenti alle grandi famiglie imprenditoriali italiane.

“I nostri tratti distintivi si riassumono in pochi elementi chiave: indipendenza, trasparenza, presenza internazionale ed eccellenza del capitale umano della società”, dice Cagliero, che ripercorre in questa intervista la sua storia professionale, con uno sguardo al futuro. “Abbiamo già quasi 25 anni di vita alle spalle e lavoriamo guardando ai
prossimi 20 o 30 anni”.

La prospettiva sembra dunque ancora molto lunga. Nessuna idea di passare la mano, magari di fronte a qualche offerta allettante di un aspirante compratore?

Negli ultimi cinque anni qualcuno si è fatto avanti, ma non ho mai pensato di accettare. Arrivato alla mia età, potrei pensare di ritirarmi, ma gestire il proprio patrimonio è una semplice occupazione, non un lavoro. Fino a che la salute e l’età me lo consentiranno, io voglio occuparmi della mia azienda. Il che significa per me dedicare tempo e cura ai miei clienti e, in qualche caso, perdere anche il sonno per loro.

Addirittura?

Non dico che i nostri clienti siano come amici, ma la relazione è strettissima. Spesso li portiamo in giro con noi per il mondo, per esempio in India o a Singapore, quando andiamo a incontrare i gestori e selezionare le migliori opportunità d’investimento per i loro patrimoni. È un modo per coinvolgere i clienti nei processi decisionali e spiegare come lavoriamo, rafforzando così il rapporto di fiducia che costruiamo con loro. Per questo ai tratti distintivi di Banor che ho enunciato prima credo di poterne aggiungere un altro.

Quale?

L’allineamento d’interesse con i clienti. Non c’è soluzione di investimento, tra quelle che proponiamo, nella quale non abbiano investito personalmente anche i soci e partner di Banor.

Il risparmio gestito e il wealth management, però, sono settori sempre più concentrati nelle mani di grandi gruppi. C’è spazio anche per player più piccoli come voi?

Più che concentrato, direi che il wealth management è un settore sempre più polarizzato. Ci sono i grandi colossi internazionali e poi ci sono i player di medie dimensioni, ma con una forte specializzazione come noi, mentre gli operatori molto piccoli fanno sempre più fatica. Di fronte a questo scenario, penso che la classica citazione latina in
medio stat virtus, ‘la virtù è nel mezzo’, sia particolarmente calzante.

Cosa significa, in sostanza?

Intendo dire che i grandi gruppi, per la loro stessa natura e per la necessità di fare economie di scala, sono spinti o sono costretti a proporre ai clienti un’offerta molto standardizzata, pur avendo al loro interno ottimi professionisti. Anche qui ricorro a una citazione latina, di Cicerone: senatores probi viri, senatus mala bestia. I senatori sono uomini integerrimi, il senato è una bestia cattiva. Soltanto chi, come noi, non è limitato da strutture troppo articolate può essere davvero vicino ai clienti e offrire soluzioni con un alto grado di personalizzazione.

Non siete dei giganti, ma vi siete dotati comunque di una struttura internazionale. Perché?

Abbiamo una sede a Londra che per noi ha un ruolo importantissimo. Nella finanza, qualunque sia la residenza dei clienti, non si può proporre un’offerta di eccellenza senza avere una solida presenza nella capitale britannica. A Londra abbiamo un team di professionisti di eccellenza, ma la nostra vocazione internazionale non si ferma lì. Viaggiamo e incontriamo professionisti e partner all’estero tutti i mesi, dagli Stati Uniti all’Asia. È grazie a questo impegno che i nostri clienti possono investire nei fondi gestiti dai migliori asset manager mondiali, che sono spesso difficilmente accessibili per chi investe attraverso il sistema bancario tradizionale.

L’attività di family office è uno dei cardini del vostro business. Come vi muovete su questo fronte?

Anche qui abbiamo una struttura ad alta specializzazione con più di 20 professionisti dedicati. Penso che oggi, benché il settore del wealth management sia affollato da molti player, le grandi famiglie imprenditoriali spesso non trovino ancora interlocutori adeguati a soddisfare le loro esigenze. Al contrario, noi siamo convinti di poter proporre loro un’offerta molto qualificata.

Come imprenditore del wealth management, che giudizio dà del sistema Italia?

Ci tengo a dire una cosa: io viaggio molto e sono spesso lontano dall’Italia, ma più viaggio e giro per il mondo, e più apprezzo il mio Paese: sono orgoglioso di essere italiano. Non è retorica, ma il capitale umano che abbiamo è eccellente. I giovani che escono dal liceo o dalle università, soprattutto quelli che hanno studiato le discipline scientifiche e quantitative, hanno un grado di preparazione altissimo. Qui entra in gioco la sfida più urgente per sostenere la crescita del Paese, ovvero trattenere in Italia i talenti che formiamo e che oggi scelgono spesso di andare a lavorare all’estero, attratti da una retribuzione più alta.

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