Articolo tratto dal numero di luglio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
Le madri sono poche, e quelle poche sono ancora ‘equilibriste’ tra vita privata e lavoro. Dopo il primo figlio, ed entro il primo anno di vita, a dimettersi sono principalmente le madri. Lo ha confermato uno studio di Save the Children: nel 2022, il 72,8% del totale delle dimissioni ha riguardato le donne, solo il 27,2% gli uomini.
E per quelle che restano al lavoro la disparità non è solo salariale, ma anche di welfare. La maternità costringe a una presenza minore in azienda: molte donne fanno richiesta di un part-time e, a volte, questo incide anche sulle erogazioni di benefit. L’osservatorio welfare di DoubleYou riporta che le donne percepiscono in media un credito on top (in aggiunta alla retribuzione) inferiore del 9% rispetto agli uomini.
Molti premi di risultato vengono quantificati in percentuale sulla ral e ridefiniti sulla base di presenze e assenze. Questo penalizza le madri, che spesso hanno una retribuzione inferiore e chiedono permessi per prendersi cura dei figli. Secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), le donne dedicano in media 2,5 volte più tempo degli uomini alla cura della casa e dei figli.
Cosa possono fare le aziende
Esistono però diverse iniziative che le aziende possono mettere in campo: dai progetti di work-life balance alla certificazione per la parità di genere. La legge Gribaudo, 5 novembre 2021, ha regolato quest’ultimo aspetto, stabilendo che alle aziende in possesso della certificazione per la parità di genere sia concesso un esonero dal versamento di una percentuale di contributi a carico del datore di lavoro, non superiore all’1% e nel limite di 50mila euro annui per ogni impresa. Ma già dal 2014 si iniziavano a stabilire nuovi standard minimi di reporting in materia ambientale e sociale, prevedendo l’obbligo di presentare una dichiarazione di carattere non finanziario per le imprese di interesse pubblico oltre una certa dimensione.
Il percorso di DoubleYou
Per questo DoubleYou ha realizzato un percorso di supporto alle imprese per l’ottenimento della certificazione: dall’identificazione degli obiettivi dell’azienda fino alla definizione di una road map per raggiungerli. “Le politiche volte a ridurre il gender pay gap rientrano senza dubbio nel concetto più ampio di welfare, che oggi non rappresenta solo un obiettivo aziendale, ma si configura come uno strumento di crescita all’interno delle organizzazioni, operando a 360 gradi”, ha detto Greta Peota, manager area consulting presso DoubleYou.
“Introduce misure che supportano i lavoratori e le lavoratrici nella vita quotidiana, promuovendo un ambiente aziendale più sereno e inclusivo. I piani di flexible benefit sono infatti progettati per rispondere alle diverse esigenze, indipendentemente dal ruolo, dal genere o dallo status familiare, e si basano su criteri di erogazione che mirano a garantire equità e trasparenza. Questo principio è particolarmente significativo e dovrebbe essere preso a esempio, considerando che uno dei temi più rilevanti nell’ambito della diversità, equità e inclusione è il gender pay gap. Ancora oggi, nel mondo del lavoro, la figura femminile è spesso associata a quella di madre, risultando penalizzata in termini di retribuzione e crescita professionale”.
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