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Valerio De Molli Ambrosetti
Leader

Crescere per far crescere la produttività: la ricetta di Valerio De Molli per l’Italia

Cinquant’anni e non dimostrarli per la capacità di attrazione, il dinamismo, il rinnovato interesse. Cinquant’anni e dimostrarli per l’esperienza e l’affidabilità acquisita in mezzo secolo di incontri, workshop, interviste, dibattiti, sempre a Villa d’Este a Cernobbio, organizzati da Teha Group in quello che è diventato il punto di riferimento e di confronto dell’economia e della politica italiana ma non solo, viste le presenze internazionali che ogni anno lo arricchiscono. Forbes ha intervistato il managing partner e ceo di The European House – Ambrosetti e Teha Group, Valerio De Molli, per fare un bilancio, ma anche per cercare di capire dove va l’economia italiana ed europea.

The European House – Ambrosetti rimane la holding company, e a luglio è stato costituito un nuovo veicolo societario, Teha Group, per accelerare l’espansione anche attraverso operazioni di finanza straordinaria.

Allora, soddisfatto di questi vostri primi 50 anni a Cernobbio?
Soddisfattissimo, ho vissuto in prima persona il 70% della storia del Forum, 35 edizioni, e con responsabilità crescenti da quando sono diventato  ad, nel 2000, e ancora più da quando insieme ad altri partner abbiamo liquidato il fondatore nel 2008. I risultati e le presenze di qualità del 2024 testimoniano un’edizione di successo, forse la più importante di sempre. Per citare alcuni numeri, nei tre giorni di Forum abbiamo ospitato cinque capi di stato e di governo, 12 governi, nove ministri italiani, sette tra senatori e membri della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha introdotto i lavori del Forum, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è resa disponibile per un confronto e un dibattito di grande sostanza ed estremamente incisivo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha partecipato di persona con un’ampia delegazione di ministri e ceo per conoscere la nostra business community italiana. In tre giorni abbiamo mobilitato oltre 2.800 persone in loco, tra partecipanti, delegazioni, giornalisti, fornitori, autisti e sicurezza. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’impegno, la passione, la dedizione e la qualità del gruppo di lavoro. Quest’anno eravamo 120 in loco a Villa d’Este. 

Quali iniziative avete intrapreso per celebrare questo anniversario?
Abbiamo progettato una serie di iniziative non solo per celebrare l’anniversario, ma anche per valorizzare il patrimonio di conoscenze consolidato in mezzo secolo. Abbiamo ripercorso la storia del Forum con un video celebrativo a cura di Cristiana Capotondi e un libro a cura di Sergio Romano e Ferruccio de Bortoli, che hanno ben interpretato lo sviluppo geopolitico internazionale e italiano attraverso gli spunti emersi negli anni di incontri a Villa d’Este. In questa direzione va anche la mostra fotografica 50 anni di sguardi sul mondo in collaborazione con Ansa, che associa i fatti salienti degli ultimi 50 anni con gli incontri e i personaggi che si sono avvicendati al Forum. A Cernobbio è stato anche dedicato un francobollo della Repubblica Italiana della serie tematica ‘Le eccellenze del sapere’, di cui siamo molto orgogliosi. Infine, a sorpresa per gli ospiti, siamo stati omaggiati da un sorvolo delle Frecce Tricolori sul Lago di Como, uno dei momenti più emozionanti di questa edizione. 

Quale è il vostro modello di business? Il Forum ha una partecipazione limitata. Come un vero e proprio club.
Una caratteristica del Forum, da sempre, è l’esclusività: i lavori si svolgono a porte chiuse sotto Chatham House Rule per agevolare il libero scambio di opinioni in un dibattito autorevole e mai scontato. Dal 2000 la partecipazione è limitata a 300 persone, con una lunga lista d’attesa, per consentire a tutti di beneficiare di occasioni di incontro e dialogo, anche con i relatori con cui è possibile interagire nei momenti di networking. Crediamo che questa modalità sia funzionale per rispettare la missione di offrire alla classe dirigente internazionale e italiana una piattaforma di approfondimento seria e qualificata, supportata da analisi e contenuti – solo in questa edizione ne abbiamo presentati 22 – sugli scenari geopolitici, economici, tecnologici e sociali e sulle loro implicazioni per imprese e paesi. È la ricchezza di contenuto a motivare i membri della nostra community a essere partecipi di un grande disegno. Questo è il ruolo che, come think tank indipendente, vogliamo continuare a svolgere nei prossimi 50 anni. Penso proprio di poter dire… the best is yet to come!

Nel mondo girano i cosiddetti cigni neri, eventi negativi di difficile previsione. Voi, invece, riuscite ogni tanto ad avvistarne qualcuno. Secondo lei dove può posarsi il cigno nero in un prossimo futuro? 
I punti interrogativi sono tanti e i focolai di crisi geopolitica sono in aumento nell’ultimo biennio. L’aggressione russa in Ucraina è tutt’altro che finita, il contrattacco israeliano nella striscia di Gaza sta procurando una devastazione, i mal di pancia in Iran contro Israele e Stati Uniti sono tutt’altro che sopiti. Ma anche gli Houti nello Yemen, l’ipotesi di aggressione cinese a Taiwan, il fermento in Sud America. Le elezioni americane sono un ulteriore elemento di incertezza, anche se in alcuni casi forse sopravvalutato: in politica estera, come già nel passaggio tra Biden e Trump, non mi aspetto rivoluzioni. Nel contesto della guerra che più è vicina geograficamente, come Teha Group sottoscriviamo il percorso di pace che abbiamo delineato nel paper sulla guerra russa in Ucraina e a cui mi sono dedicato nel mio intervento di apertura al Forum, presentando cinque raccomandazioni.

Quali sono?
Le raccomandazioni sono il risultato di mesi di interlocuzioni con nove think tank e istituzioni di sette paesi (tra cui Russia e Ucraina). In primis raccomandiamo il censimento dei danni procurati dalla guerra, di cui ancora non c’è una ricognizione precisa. Una volta compresi gli impatti, bisogna poi fare un’analisi dettagliata del fallimento diplomatico degli Accordi di Minsk. È infatti essenziale comprendere a fondo le motivazioni di ciascuna delle parti per evitare altri errori in futuro. Occorre poi dotarsi di un fondo per la ricostruzione post-bellica.

Ricostruzione che poi significa sviluppo. 
Significa anche sviluppo. Significa prima di tutto rendere possibile la vita delle famiglie in Ucraina, che adesso è sotto scacco, fragile, piena di incertezza e inquietudini. Il percorso di pace andrà frazionato in azioni a breve e medio-lungo termine per soddisfare i bisogni immediati e gli obiettivi di lungo periodo. Infine, a valle di questo percorso, si può pensare di organizzare una conferenza di pace – perché no, magari proprio a Cernobbio per la 51esima edizione – con i delegati dei due paesi, oltre a governi terzi e organizzazioni internazionali, per definire un tentativo di riequilibrio dei rapporti.

Poi c’è l’altro problema, quello della guerra tra Israele e Palestina.
In questo contesto, la soluzione è stata indicata dalle parole incredibilmente efficaci della regina Rania di Giordania al Forum di Cernobbio. L’unica soluzione da lei prospettata è quella di avere due stati, Israele e Palestina, con gli uni che devono riconoscere gli altri nella loro autonomia e indipendenza. È anche la posizione del presidente Biden e dell’alto rappresentante Borrell.

Rimaniamo sul tema della pace visto da un’altra angolazione. Il rapporto di Mario Draghi alla Commissione europea vede lo sviluppo e il futuro dell’Europa che passano anche attraverso grandissimi investimenti sugli armamenti.
In un mondo così instabile, così poco decifrabile, così complesso, bisogna rafforzare le attività di ricerca e sviluppo, anche nel settore della difesa, e strutturare soluzioni di tecnologia avanzata per tutelare i cittadini europei. La difesa è solo una delle industrie da potenziare, in un quadro più ampio di miglioramento della produttività, così come da missione del lavoro del presidente Draghi. Proprio alla produttività mi sono dedicato nella presentazione che ho fatto al ministro Adolfo Urso in chiusura dei lavori a Cernobbio, in veste di portavoce della ricerca del Teha Club Rilanciare la produttività: quale politica industriale per l’Italia e per l’Europa?.

Cosa è successo alla produttività negli ultimi anni?
Nel 2000 tutti i paesi erano allineati in termini di produttività. Negli ultimi 25 anni la produttività negli Stati Uniti è cresciuta di oltre il 45%, in Europa del 22%, mentre l’Italia è rimasta ferma. È questa arretratezza che Draghi sottolinea ed è la vera debolezza europea. Tra le conseguenze, basta pensare che nel 2000 la Cina rappresentava l’1,9% del Pil mondiale e l’Unione europea il 28,7%; oggi la Cina rappresenta il 17,8%, superando la quota dell’Ue (16,6%).

In effetti la produttività è il vero nocciolo della questione economica.
Nella ricerca del Teha Club proponiamo proposte concrete, con un approccio bottom-up. Un primo problema da affrontare è la frammentazione delle industrie in molti ambiti: difesa, istituzioni finanziarie, energia, telecomunicazioni, infrastrutture, trasporti. Un mercato interno più fluido, come approfondito dal presidente Letta nel Rapporto sul mercato interno europeo, è un prerequisito per la produttività. 

Non ci dimentichiamo però che gli stipendi italiani sono tra i più bassi d’Europa…
Anche questa è una battaglia su cui ci spendiamo da anni. Dobbiamo intervenire sul cuneo fiscale. Non solo abbiamo salari tra i più bassi in Europa, ma siamo anche l’unico Paese con una contrazione dei salari reali negli ultimi 30 anni. Al contempo, il costo del lavoro per le aziende è tra i più alti. Così il sistema non può rimanere in piedi nel lungo termine.

Nonostante tutto siamo la seconda manifattura d’Europa. 
In un’altra nostra piattaforma, il Global attractiveness index, strumento chiave per misurare l’attrattività di un Paese, dimostriamo la straordinaria forza del made in Italy. La bilancia commerciale manifatturiera dell’Italia supera i 100 miliardi di euro ed è seconda in Europa e quinta al mondo. È un risultato straordinario, se consideriamo che l’Italia ricopre lo 0,2% della superficie terrestre e ospita l’0,001% della popolazione. I prodotti made in Italy sono sul podio delle quote di mercato dell’export nel 16,2% delle categorie merceologiche censite dall’Unctad (la conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo). La nostra potenza manifatturiera è però ostacolata dalla fragilità della struttura dimensionale delle nostre imprese. Il nostro rapporto ha messo a fuoco questo limite: la produttività sale di pari passo con la crescita delle dimensioni. Più l’azienda è grande, maggiori sono la produttività, gli stipendi e gli investimenti in ricerca e sviluppo. 

Però questo è il paese dei piccoli giganti, delle medie, piccole e piccolissime imprese.
È proprio questa la criticità. Nel nostro Paese sono proprio le cosiddette micro imprese (con meno di dieci dipendenti) ad avere tra i più bassi livelli di produttività d’Europa. Proponiamo di dirottare progressivamente parte delle risorse finanziarie delle famiglie italiane, delle fondazioni bancarie e degli investitori istituzionali per incoraggiarne l’incremento dimensionale verso gruppi più grandi e più solidi. Questo potrebbe impattare fino a 350mila imprese tra startup, micro e pmi.

Quindi?
L’equazione è semplice. Per migliorare la produttività deve crescere la dimensione media.

Sì. E come si fa?
Incentivando al massimo le aggregazioni, anche attraverso strumenti finanziari. Negli Stati Uniti ci sono oltre 700 search fund, veicoli che coniugano finanza, impresa e management tramite cui i manager possono acquisire un’azienda. In Italia ce ne sono solo 11.  

Però domina sempre il tema che le aziende non riescono a finanziarsi in Borsa e devono ricorrere alle banche.
La Borsa Italiana è tra le più piccole d’Europa in proporzione al Pil (36,5% nel 2023), pari a un quarto della Francia (127,8%). Il listino delle piccole imprese Euronext Growth Milan ha dimensioni medie ridotte e un problema di liquidità, con il 20% delle giornate di negoziazione senza scambi. Sorge la domanda: qual è il flottante reso disponibile dalle imprese? In Francia il 33% delle imprese ha listato oltre metà del capitale, da noi solo il 5%. Non c’è mercato, non ci sono investimenti. E anche il mantra di Teha è: ‘Senza investimenti, non c’è lavoro. Senza lavoro, non c’è crescita. Senza crescita, non c’è futuro’. 

Poi c’è il grande tema dell’azionariato popolare, un altro tabù italiano.
Questa è un’altra suggestione che ho presentato al ministro Urso e che avevo già presentato al ministro Giorgetti. È uno strumento che la Germania usa da tempo e che in Italia è adottato da grandi gruppi, tra cui Intesa Sanpaolo, Prysmian, Essilor Luxottica. Ispirandosi alle grandi società quotate, è possibile trasferire le best practice anche alle pmi non quotate, per raggiungere una ripartizione di redditi e ricchezza più diffusa tra imprenditore e dipendenti.

Temo però che in Italia ci sia un problema culturale. Tra la gente comune si dice ancora ‘giocare in Borsa’ e non investire.
Sono d’accordo, dobbiamo favorire un cambio di cultura insieme agli incentivi concreti, per esempio attraverso un credito fiscale per gli imprenditori che quotano la maggioranza del capitale. Secondo le nostre analisi, il trasferimento di risorse finanziarie alle micro e pmi consentirebbe un consolidamento del mercato, abilitando la crescita dimensionale di quasi 20mila imprese manifatturiere, per una crescita della produttività del 5,7%, e creando 380mila nuovi posti di lavoro. Non è una rivoluzione industriale, ma una prima piccola azione per innescare il cambiamento.

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