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Più risorse e più competenze: cosa manca all’Italia per raggiungere la sicurezza informatica

Articolo tratto dal numero di novembre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Un Paese non sicuro, esposto agli attacchi cyber. A tutti i livelli, dallo smartphone alle infrastrutture critiche. Siamo un’Italia fragile in una già fragile Europa. Perché? La risposta è anche nei dati dell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società della Commissione europea (Desi). Qualificano un Paese che arranca nella transizione digitale perché manca delle risorse e delle competenze necessarie. Forse anche con poche (confuse) idee in campo politico e governativo. Una situazione snervante per le nostre imprese, che intraprendono con coraggio ma sbattono il muso anche con la deburocratizzazione che non c’è. Questo gap, tuttavia, può essere un’opportunità? Ci sono tempi e modi per un colpo di reni? Ecco il parere di Gabriele Faggioli, presidente Clusit, Associazione italiana per la sicurezza informatica.

La sicurezza digitale è un problema di tutti. C’è questa consapevolezza?

Sicuramente è un problema molto ampio che colpisce chiunque, dal singolo cittadino alle imprese, fino agli enti pubblici. Nessuno è esente. Ovviamente sono rischi molto diversi: mentre un cittadino è più esposto tipicamente alle truffe di natura finanziaria, oltre che a comportamenti come cyberbullismo e simili, imprese e pubbliche amministrazioni sono da tempo sotto il fuoco di fila di attacchi per estorcere denaro tramite azioni criminose, che mirano a rendere i dati inaccessibili da un lato e a portarli fuori dall’azienda dall’altro. Si tratta di una criminalità molto difficile da perseguire e non a caso abbiamo visto di recente l’arresto del fondatore di una piattaforma social famosissima, con l’accusa di aver indirettamente favorito comportamenti criminali. Siamo in un ambito molto complesso in cui per le forze dell’ordine è molto difficile muoversi e la normativa è in perenne evoluzione. In questo contesto l’Italia è particolarmente sotto attacco perché è un Paese debole che investe molto poco rispetto ad altri e, come conferma ogni anno l’indice Desi della Commissione europea, ha scarse skill professionali. Abbiamo quindi un grande problema, ma, da un altro punto di vista, una grande opportunità per chi vuole entrare nel mondo del lavoro (o vuole investire) in queste tematiche.

Potremmo definirla anche sostenibilità digitale, cioè un percorso che tocca punti chiave della transizione, proprio a cominciare dalla tanto discussa intelligenza artificiale.

La sostenibilità è un elemento chiave dell’evoluzione digitale. Innanzitutto, dobbiamo pensare che non c’è evoluzione digitale senza sicurezza. Quello a cui stiamo assistendo in termini di investimenti, a seguito del Pnrr, ci dice che l’Italia ha la grandissima occasione di digitalizzare soprattutto le attività delle pubbliche amministrazioni che sono più arretrate rispetto alle aziende. In ogni caso l’unico modo perché questa evoluzione vada a vantaggio dei cittadini, e quindi del sistema Paese, è che il tutto sia sicuro: non basta avere i soldi per progettare e realizzare sistemi protetti. Serve poi manutenerli, evitando obsolescenza. È una sfida difficilissima. In questo contesto l’intelligenza artificiale è un elemento chiave su cui nei prossimi anni ci saranno investimenti importantissimi. Ricordiamoci, però, che anche l’intelligenza artificiale comporta problemi di sostenibilità. Basta considerare le statistiche sull’utilizzo di energia elettrica sotteso alle capacità elaborative dei sistemi che trattano le richieste degli utenti. Si tratta di consumi mastodontici di energia e quindi di acqua per produrla. Gli investimenti devono essere massicci e l’Italia, a mio avviso, deve stare al passo con gli altri paesi nordeuropei e con il Nord America. Non sarà una sfida semplice, perché purtroppo partiamo molto svantaggiati, a causa di anni e anni di sottoinvestimenti e di scarsa capacità imprenditoriale nel settore tecnologico.

Serve un progetto di alfabetizzazione in tutti i sensi. Come agire per attivare e dare consistenza a un piano nazionale?

L’Italia è molto indietro, secondo l’indice Desi: è terzultima come competenze digitali, quartultima come competenze digitali avanzate e, perlomeno un anno e mezzo fa, ultima come laureati in materie tecnologiche. Il confronto è anche con paesi che fino a qualche anno o decennio fa avremmo considerato, da un punto di vista soprattutto economico e finanziario, parecchio indietro rispetto a noi. Siamo oggi un Paese che ha diverse velocità, a seconda delle aree geografiche. Non è tanto una questione nord/sud, quanto di distretti industriali e di zone produttive. Dobbiamo alzare la capacità digitale elevando le competenze dei cittadini (il Covid è stato sicuramente tragico, ma anche una grande occasione di digitalizzazione) per mettere le pubbliche amministrazioni nelle condizioni di operare per via digitale. Servono importanti interventi di natura politica che vedano come strategica l’evoluzione rapida del Paese.

C’è bisogno di una mobilitazione. Forse cominciare dalle scuole è un’esigenza primaria?

Da anni sono del parere che le competenze digitali (e quindi anche di sicurezza) debbano essere oggetto di impegno fin dalle scuole primarie. Oggi i nostri figli hanno in mano le tecnologie e quindi le usano (correndo i rischi conseguenti) fin da giovanissimi. Non parlo solo degli smartphone, ma di tutte le tecnologie presenti nelle case. Sono una grandissima opportunità, ma anche un grande rischio. La tecnologia è molto democratica, perché garantisce a chi vive in zone disagiate le stesse opportunità di accesso alla cultura e al lavoro di chi vive in zone privilegiate. Senza competenze, però, diventa un fattore di rischio per tutti.

C’è anche un ruolo importante della società civile, del mondo delle imprese. Clusit è uno dei luoghi chiave. Che cos’è e come intende dare un contributo?

Clusit è l’Associazione italiana per la sicurezza informatica. È la prima e numericamente la più grande associazione italiana che si occupa di questi temi. È una no profit che si è data la missione di fare cultura e comunicazione sui temi della sicurezza informatica e per questo pubblichiamo ogni anno un rapporto in cui analizziamo il fenomeno a livello italiano e mondiale.

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