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L’elettrico frena, l’ibrido guadagna terreno: è l’ora dell’auto-scontro

Articolo tratto dal numero di novembre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Forse è il momento di appassionarsi davvero all’industria dell’auto. E questo vale anche se guidare vi ha sempre annoiato, se le macchine vi sembrano più o meno tutte uguali, se di come funziona un motore non vi importa granché, basta arrivare dal punto A al punto B. Forse bisognerebbe interessarsi perché oggi l’industria dell’auto è una delle grandi arene di scontro. In ballo ci sono interessi economici, industriali, climatici e geopolitici. C’è la lotta per la supremazia tecnologica tra Cina e Stati Uniti. Con l’Europa nel mezzo, il continente più esposto, perché si è dato gli obiettivi climatici più ambiziosi e perché come mercato è quello più dipendente dagli scambi internazionali.

Gli obiettivi ambiziosi per ora restano, malgrado tutte le incertezze. Il governo italiano ha chiesto di posticipare lo stop alla produzione di veicoli con motori endotermici (cioè benzina e diesel) oltre il 2035. Ma Germania, Spagna e Francia non sono d’accordo. Dicono che è importante mantenere i target climatici per non disperdere i grandi investimenti fatti finora nella transizione verso l’elettrico.

L’altro motivo d’attrito riguarda i dazi. Questo ha a che fare con la strategia migliore per gestire la Cina: è meglio il duro protezionismo americano o la via di mezzo europea? Biden ha alzato un muro contro le auto elettriche cinesi: tariffe proibitive del 100%. Cosa che l’Europa non ha potuto né voluto fare.

L’Europa nel mezzo

L’Europa, dicevamo, è più esposta agli scambi: importa ed esporta di più dalla Cina rispetto agli Stati Uniti. Il risultato è un compromesso, che comunque non soddisfa tutti. Il 4 ottobre l’Unione europea ha deciso di confermare dazi fino al 45% sulle auto elettriche cinesi, accusando la Cina di pratiche commerciali sleali, ossia aiuti alle aziende tali da falsare il mercato. Ma anche qui c’è un battibecco tra paesi europei. Molti sono a favore di dazi più alti, tra cui Italia e Francia. Altri sono contrari, e in questa cordata il paese più importante è la Germania. Difatti la Commissione europea non ha chiuso alla possibilità di un accordo in futuro, facendo sapere che “i negoziati con Pechino continuano”.

Bmw, Mercedes e Volkswagen hanno paura di ritorsioni dato che esportano ancora molto in Cina. Ma le loro macchine fanno anche il tragitto inverso. Prendiamo l’esempio della joint venture tra Bmw e la cinese Great Wall. Le due società producono insieme in Cina la crossover elettrica Mini Aceman, il cui prezzo in Europa, a causa dei nuovi dazi, rischia di aumentare del 38%.

Pechino, nel frattempo, ha una strategia chiara: aggirare i dazi investendo in Europa. Build Your Dream (Byd), la più grande casa d’auto cinese, sta costruendo una fabbrica in Ungheria, e altre aziende seguono lo stesso percorso. L’Europa pensa di poterci guadagnare in occupazione e nuovi investimenti, e anche di accedere al know-how dei cinesi, che sull’elettrico sono all’avanguardia. Dall’altra parte dell’oceano, invece, Biden conferma l’escalation di protezionismo. Per motivi di sicurezza ha addirittura proposto di mettere al bando il software cinese installato sulle automobili, temendo che dati sensibili americani finiscano nelle mani sbagliate. 

È debole l’Europa o gli Stati Uniti si stanno chiudendo troppo? Ognuno cerca il proprio equilibrio tra sicurezza, competizione globale e sostenibilità climatica. L’industria dell’auto vale circa il 7% del Pil europeo e dà lavoro direttamente e indirettamente a 12 milioni di persone. Bruxelles si trova nel mezzo di un dilemma: da una parte proteggere il settore automobilistico, dall’altra accelerare la transizione pulita. Come se non bastasse, si è aggiunto un ulteriore elemento di incertezza: l’elettrico, dopo miliardi di dollari d’investimenti, è nel pieno di una frenata che potrebbe cambiare di nuovo gli equilibri.

L’ascesa delle auto ibride

Cerchiamo di fare il punto della situazione. L’industria dell’auto sta sostituendo il petrolio con le batterie, tuttavia molti consumatori vogliono tenere aperte entrambe le opzioni. Risultato: le vendite di auto ibride plug-in sono esplose, vuoi perché le macchine completamente elettriche sono ancora troppo care, vuoi perché c’è ancora poca disponibilità di stazioni di ricarica. Un po’ di numeri, cominciando dall’anno scorso: nel 2023, a livello globale, le vendite di auto solo a batteria (Bev) sono state più del doppio rispetto a quelle di elettriche ibride plug-in (Phev), ma il divario si sta riducendo. Le vendite globali di Phev sono aumentate del 50% nei primi sette mesi del 2024, rispetto all’8% dei Bev, secondo le stime di Bernstein, una società di ricerca. 

Ora c’è da capire quanto durerà l’entusiasmo per gli ibridi. È destinato a restare o l’elettrico la spunterà comunque e sbaglia chi oggi rallenta gli investimenti? Intanto, i produttori fanno le loro mosse. Ford ha abbandonato i piani per un Suv totalmente elettrico, optando per una motorizzazione ibrida. Stessa cosa Hyundai, mentre Volvo ha appena ritrattato il suo obiettivo di diventare tutta elettrica entro il 2030.

Anche Volkswagen sta investendo di più negli ibridi, dopo aver puntato molto – troppo, dicono alcuni analisti – sulle auto a batteria, con fabbriche che oggi funzionano a capacità ridotta. In effetti gli ultimi dati sono impietosi: ad agosto un crollo delle vendite di auto full electric di quasi il 44% rispetto a un anno fa in Europa e di quasi il 69% in Germania. Così le difficoltà della casa tedesca sono diventate un monito per il resto del settore. “Non farò la fine di Volkswagen”, ha detto il ceo di Stellantis Carlos Tavares mentre annunciava l’arrivo a Mirafiori dal 2026 della 500 ibrida. Ibrida, appunto, non full electric.

Perché le ibride sono il mezzo della transizione

Uno dei motivi per cui si preferiscono i Phev è il costo: rispetto alle auto puramente elettriche, gli ibridi, con batterie più piccole, sono più accessibili e meno costosi da mantenere, e l’opzione del motore a benzina mette al riparo dalla cosiddetta ansia da autonomia. Il consumatore, in un certo senso, ha il meglio dei due mondi. E per le case d’auto è un vantaggio: dagli ibridi si ricavano margini di profitto più alti (le elettriche a volte finiscono in perdita). 

Nella lunga transizione che abbiamo davanti – “dieci, quindici anni”, spiega a Forbes Italia Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia (Associazione nazionale della filiera automobilistica) – i veicoli ibridi servono a introdurre il pubblico alle macchine elettriche. “Oggi abbiamo veicoli ibridi plug-in con un’autonomia elettrica di 100 km, il che consente di muoversi senza tanti patemi d’animo, senza guardare continuamente la carica delle batterie, poi ci sono 40-50 litri di benzina per spostarsi su distanze maggiori”, dice Vavassori. “Questo tipo di auto crescerà nei prossimi anni e diverse case, la stessa Stellantis in Italia, ci investono proprio perché l’elettrico puro vende meno delle attese, anche per diffidenze culturali”.

Ma nel lungo periodo chi vincerà la battaglia? L’elettrico è davvero spacciato? No, secondo molti analisti, compresa Bernstein. La loro previsione è che i Phev conquisteranno una quota crescente di mercato fino al 2030 circa, ma che le vendite si stabilizzeranno e alla fine diminuiranno quando ci sarà un’accelerazione di acquisti di auto solo elettriche. Per almeno due motivi, dicono questi analisti.

Perché l’elettrico non è spacciato

Il primo riguarda l’avanzamento tecnologico. I prezzi delle batterie stanno scendendo e dovrebbero continuare a farlo man mano che la produzione cresce e si sviluppano nuove sostanze chimiche. Società come Renault hanno in cantiere modelli elettrici che dovrebbero costare molto meno di quelli attuali, grazie al pungolo della concorrenza cinese. Anche le reti di ricarica stanno aumentando in fretta. 

La seconda ragione dipende dalle restrizioni ambientali. Cominciamo dal mercato statunitense. Le regole della California, seguite da altri 16 stati, prevedono che entro il 2035 solo il 20% delle nuove auto vendute potrà essere ibrido plug-in, mentre il resto dovrà essere completamente elettrico. Poi c’è l’Europa, dove il divieto, almeno in teoria, sarà ancora più ferreo. In teoria, perché secondo molti, tra cui Vavassori, il blocco al 2035 dei motori endotermici finirà per essere prorogato. Questo perché il taglio di CO2 non sta rispettando le quota stipulate, quindi bisogna fare i conti con la realtà.  

Ma la realtà non cambia poi di molto. Qualche anno in più o in meno non fa grande differenza. Gli ibridi stanno vincendo ora. Sono il veicolo di transizione perfetto, mentre nell’elettrico ci sono costi ancora troppo alti per le famiglie e l’infrastruttura di ricarica ha bisogno di grandi capitali. Ma la direzione è quella. Le case d’auto sbaglierebbero a interrompere gli investimenti. Oggi vince l’ibrido, domani la spunterà l’elettrico.  

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