Stefano Cecchi, uomo d’affari e imprenditore residente a Monte Carlo, nel Principato di Monaco, ha raccontato a Forbes Italia la sua storia: dall’esperienza professionale a Londra fino alla nuova sfida, segnata dall’inizio di una carriera nel panorama artistico internazionale. È entrato nel mondo dell’arte contemporanea, attraverso il Fondo per l’arte e la Stefano Cecchi Trust Collection. La sua collezione comprende opere importanti, tra cui due Chagall, uno appartenente all’ultimo comparto di Fondo per l’Arte e l’altro acquisito in club deal con un gruppo di investitori sauditi e già rivenduto a Dubai.
Chi è Stefano Cecchi
Stefano Cecchi ha un patrimonio stimato di oltre 130 milioni di euro ed è l’azionista di riferimento di quattro fondi inglesi, che custodiscono importanti collezioni di arte contemporanea, tra cui una delle più conosciute raccolte di Arte Povera al mondo. “Ho vissuto negli Stati Uniti durante gli anni del college, poi a Londra, Parigi e Ibiza, ma oggi, a Monte Carlo, credo di aver trovato la mia dimensione. Nonostante lavori più di prima, qui riesco a godermi la vita, sentirmi al sicuro e, soprattutto, giocare a tennis quasi tutti i giorni. Questo equilibrio, è fondamentale per me”, ha detto Cecchi.
Nato a Torino nel 1971, figlio di un’imprenditrice e di un avvocato, con un patrimonio immobiliare di famiglia stimato in oltre 100 milioni di euro. Dopo gli studi negli Stati Uniti, si è trasferito a Londra, dove nel 1996 ha fondato Wild, agenzia di moda che tre anni dopo, a soli 27 anni, ha venduto agli americani della multinazionale Next, realizzando il primo grande exploit della sua carriera. “Ho sempre creato business ad alto contenuto di creatività, settori che mi appassionano”.
Grazie al suo lavoro, Cecchi ha stretto relazioni importanti. “A Londra ho frequentato gli eredi di alcune delle più importanti famiglie mediorientali, che oggi sono amici, oltre che tra i principali acquirenti delle opere d’arte che gestisco”.
La musica
Nel 2001, come produttore discografico, ha contribuito all’esplosione del fenomeno internazionale Buddha Bar, 6 dischi d’oro, con oltre 75 dischi coprodotti con la Cecchi Records, di cui continua a detenere royalty e diritti. Cecchi ha spiegato di avere un modus operandi preciso: “Costruisco un business, lo faccio crescere e reinvesto gli utili in una nuova sfida”.
Nel 2003 ha inventato un nuovo modello di business, facendo dialogare la musica con i brand del lusso. “Con il mio socio Pietro ho fondato a Londra The Music Architecture Co., una società che cura selezioni musicali e video installazioni per i grandi marchi della moda e del lusso, creando per la prima volta playlist digitali personalizzate, trasmesse in streaming nei punti vendita in tutto il mondo”.
In quel momento ha preso forma il percorso che lo ha portato ai fondi d’arte.
L’arte
“Sono cresciuto in una famiglia di collezionisti”, ha detto. Ha studiato le correnti artistiche del dopoguerra, le avanguardie e i loro protagonisti, ma soprattutto ha dedicato tempo e attenzione al mercato, sia primario che secondario, monitorando con cura le aste, senza perdere di vista l’aspetto finanziario. “Non è stato facile. Ho seguito i migliori maestri, ho studiato e continuo a studiare ogni giorno. Intuito, buon gusto e capacità di creare relazioni sono fondamentali, ma è altrettanto importante adottare un approccio razionale da manager. Oggi credo di essere molto rispettato, anche grazie ai risultati finanziari che ho ottenuto, ma il percorso è stato impegnativo.”
Fondo per l’Arte ha chiuso il suo primo comparto con 14 mesi di anticipo rispetto al closing previsto, registrando una crescita per i soci investitori pari al 51,64%. Questo si traduce in un rendimento medio annuo (IRR) del 17,21%, pari al doppio dell’hurdle rate medio dei classici fondi di private equity.
“Entro la fine dell’anno nascerà un nuovo comparto, il quinto di Fondo per l’Arte, che sarà pienamente operativo nel primo semestre del 2026 e gestirà un portafoglio compreso tra 40 e 60 milioni di euro”.
Questo comparto si distinguerà per una durata superiore ai precedenti, un numero sensibilmente ridotto di soci invitati a partecipare e un ticket minimo di ingresso fissato a 2,5 milioni di euro. La strategia di acquisizione sarà esclusivamente focalizzata sulle blue-chip dell’arte, ovvero opere di artisti consolidati con un valore di mercato stabile e altamente liquido, appartenenti al periodo pre e post-bellico (1930-1960).
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