Junior Bridgeman
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Da riserva di lusso nella Nba a miliardario: la storia di Junior Bridgeman

Questo articolo è apparso su Forbes.com

Dopo dieci stagioni con i Milwaukee Bucks, Junior Bridgeman ha finalmente iniziato a guadagnare tanti soldi – veramente tanti – con franchising di fast food e un’azienda che imbottigliava per la Coca-Cola. Ora è in una compagnia molto ristretta, assieme a Michael Jordan, Magic Johnson e LeBron James: quella dei giocatori Nba miliardari. E possiede anche una quota della sua vecchia squadra.

In un venerdì pomeriggio di novembre, Junior Bridgeman ricorda i suoi anni nella Nba. Spedito dai Los Angeles Lakers ai Milwaukee Bucks per il grande Kareem Abdul-Jabbar, Bridgeman, ora 71enne, passa in rassegna il suo ufficio di Louisville, nel Kentucky, pieno di fotografie, opere d’arte e ricordi della sua carriera da giocatore, quando era uno dei migliori ‘sesti uomini’ della Nba. Si lascia andare sulla sedia e lascia che le emozioni si facciano strada. Sa che il momento del ritiro si sta avvicinando un’altra volta.

“È probabilmente il momento”, dice a Forbes. Dà un’occhiata alla replica dell’anello del Super Bowl che i Kansas City Chiefs gli hanno regalato nel 2020. “Il tempo si fa sentire. Ti guardi intorno e ti rendi conto che il tuo tempo, il tempo in cui conti e sei davvero coinvolto e hai energia, è passato”.

Bridgeman, però, resta pienamente impegnato nelle sue attività commerciali e rimane un padrone di casa di classe. “Sei pronto?”, chiede prima di un breve giro del suo quartier generale. Quando supera le targhe dei premi che gli hanno assegnato Coca-Cola e Wendy’s, indica un ritratto di Martin Luther King fatto di vecchi pezzi di tastiera. Vicino c’è un piccolo specchio e invita i passanti a raccoglierlo; se ci si mette in piedi di fronte al ritratto, si possono leggere riflesse le parole del discorso in cui King pronunciò la frase ‘I have a dream’. In fondo al corridoio ci sono anche una sezione dedicata a Nelson Mandela, che comprende quadri dipinti dal leader sudafricano quando era in prigione, e una foto dei Little Rock Nine, firmata dai nove studenti neri che divennero in primi a entrare alla Little Rock Central High School, nel 1957, scortati all’interno dalla Guardia Nazionale.

Per Bridgeman, però, nulla è più importante della sua libreria, piena di libri che lo hanno ispirato negli anni, tra cui Good to Great. Come si vince la mediocrità e si raggiunge l’eccellenza di Jim Collins, Fuoriclasse di Malcolm Gladwell, L’One Minute Manager di Ken Blanchard e Spencer Johnson e la cronaca della carriera di Ted Turner scritta da Porter Bibb, It Ain’t As Easy As It Looks.

Il patrimonio di Junior Bridgeman

Se il nome di Bridgeman suona familiare, non c’è niente di strano. Ottava scelta al draft Nba del 1975 – quello in cui l’hall of famer David Thompson fu chiamato per primo -, finì ai Milwaukee Bucks nello scambio che portò Abdul-Jabbar ai Lakers. Bridgeman ebbe una carriera formidabile come sesto uomo, molto prima che la lega istituisse un premio per il miglior giocatore in quel ruolo. Dopo 12 stagioni da giocatore, di cui dieci a Milwaukee, in cui non guadagnò mai più di 350mila dollari, ha costruito un impero dei fast food che è arrivato a comprendere più di 500 punti vendita Wendy’s, Chili’s e Pizza Hut al suo picco, nel 2015. Poi, nel 2016, Bridgeman ha venduto la maggior parte dei suoi locali per una cifra stimata in 250 milioni di dollari e ha usato i proventi per dedicarsi alla distribuzione della Coca-Cola su un territorio che copre tre stati. Negli ultimi otto anni ha fatto crescere i ricavi della tua attività di imbottigliamento di quasi tre volte, fino a sfiorare il miliardo di dollari nel 2023. Oggi Forbes stima che Bridgeman abbia un patrimonio di 1,4 miliardi.

Una simile fortuna personale mette Bridgman in un’élite della Nba, perché solo altri tre giocatori sono diventati miliardari: Michael Jordan, Magic Johnson e LeBron James (Tiger Woods è il quarto atleta professionista a essere entrato nella classifica dei miliardari di Forbes). A differenza degli altri, però, Bridgeman ci è riuscito seguendo la strada più difficile, senza grande pubblicità e senza diventare una celebrità internazionale. “Non ha sprecato il suo tempo pensando solo al basket”, dice James a Forbes. “Ha sempre avuto una mentalità imprenditoriale. Ovviamente amava il gioco, visto che è arrivato nella Nba. Poi però ha usato tutte le risorse, i canali, i legami a suo vantaggio e ha costruito un portafoglio incredibile”.

A un altro giocatore di basket introdotto nella Hall of Fame, Isiah Thomas, basta una sola parola per descrivere Bridgeman, che ha giocato nella sua epoca. “Leggendario”, dice il due volte campione Nba. “La sua è la vera storia di successo. Un pioniere e un grande uomo d’affari”.

La storia di Junior Bridgeman

Figlio di un operaio di un’acciaieria e di una casalinga, Bridgeman è cresciuto a East Chicago, nell’Indiana, negli anni ’50. Ricorda un’infanzia in una comunità eterogenea, con vicini di casa che venivano da famiglie croate, serbe, iugoslave e ispaniche. Per guadagnarsi da vivere suo padre, oltre a fare l’operaio siderurgico, svolgeva anche altri lavori, dalla pulizia nei bar della città a quella delle finestre. La mattina Junior e suo fratello maggiore dovevano spesso andare a dare una mano alle 4.30, prima di andare a scuola. I lavori permettevano al padre di guadagnare un totale di 7,50 dollari a settimana.

Tutto questo è andato avanti fino al terzo anno di liceo di Bridgeman. “Lo odiavo”, confessa. Tuttavia gli ha anche insegnato l’etica del lavoro, e i genitori pretendevano che trattasse le persone con dignità e rispetto. L’altro ordine: “Se entravi in una squadra, non potevi mollare”, ricorda Bridgeman. Una volta ha messo alla prova la regola quando si è candidato a entrare nella squadra di football della scuola. È entrato, ma non ha messo piede in campo per tutta la stagione ed è rimasto seduto in panchina, al freddo.

Ha abbandonato il football nella stagione seguente e, durante il liceo, si è distinto nella pallacanestro. Ha ottenuto così una borsa di studio per la University of Louisville, dove, con la sua altezza di un metro e 95, è stato scelto come giocatore dell’anno della Missouri Valley Conference nel 1974 e nel 1975. Poche settimane dopo essere stato chiamato dai Lakers al primo giro al draft, è stato mandato ai Bucks nell’affare che ha cambiato le sorti di entrambe le squadre. L’anno successivo Don Nelson – futuro membro della Hall of Fame e secondo allenatore della storia della Nba per numero di vittorie – è arrivato sulla panchina dei Bucks e ha convinto Bridgeman ad accettare i panni di sesto uomo. Nelson aveva giocato in quel ruolo ai Boston Celtics e aveva aiutato la squadra a conquistare cinque titoli. Assicurò a Bridgeman che era fondamentale per le squadre con ambizioni di vincere il titolo.

La vita dopo il basket

Bridgeman non ha mai vinto un titolo Nba, ma ha sfruttato il tempo trascorso nella lega per preparare un piano per la sua vita dopo la pallacanestro. Ha ricevuto preziosi consigli d’affari dall’allora proprietario dei Bucks, Jim Fitzgerald, che lo convinse a investire in una startup di tv via cavo. Accettò di mettere 150mila dollari nei successivi cinque anni. Quando Fitzgerald vendette la società, qualche anno dopo, Bridgeman ricevette circa 700mila dollari: più del doppio di quanto guadagnava nella maggior parte delle stagioni Nba negli anni ’80. Fitzgerald impartì anche a Bridgeman una lezione che non avrebbe mai dimenticato: “Se vuoi entrare nel mondo del business, avrai solo due problemi: le persone e i soldi”.

Lo avrebbe sperimentato sulla sua pelle.

Nel 1987, con i proventi della vendita della società di tv via cavo, Bridgeman allargò i suoi interessi ai fast food in franchising. Assieme all’ex giocatore e allenatore Nba Paul Silas, investì circa 100mila dollari in un locale di Wendy’s a Brooklyn. Il ristorante ebbe difficoltà a causa della loro inesperienza. “Abbiamo patito tutti i problemi che si verificano quando non si conoscono le cose”, dice. Un anno dopo l’attività collassò del tutto dopo un incendio. Silas si ritirò dall’affare e Bridgeman dovette rimettere tutto in piedi da solo. Determinato a riuscire, cominciò a studiare per imparare le basi dell’attività. Lavorò in vari ruoli, tra cui quello di cassiere al drive-through all’ora di pranzo, quella di punta. “Se vuoi avere successo”, dice, “devi conoscere ogni aspetto” del tuo business.

Magnate dei fast food

Nel 1989 Bridgeman aveva ricostruito e venduto il locale di Wendy’s a Brooklyn. Dopo l’incendio, la catena ha offerto a Bridgeman un accordo per comprare altri cinque punti vendita in difficoltà nella zona di Milwaukee, per 150mila dollari l’uno. Lui dice che, quando ne ha assunto la gestione, solo un locale raggiungeva gli 800mila dollari annui di ricavi. Per rendere i ristoranti redditizi (obiettivo che richiedeva circa 1 milione di fatturato per punto vendita) ha investito pesantemente nel marketing a livello locale, in pubblicità in tv e alla radio e ha distribuito di persona coupon ai futuri clienti.

Ha funzionato, ma è stato soprattutto il cambiamento della cultura nei ristoranti a dare buoni frutti. “C’è un vecchio detto: ‘Alle persone non importa quanto sai finché non sanno quanto ti importa’. È tutto vero”.

Per dimostrare di avere a cuore le sorti dei locali, Bridgeman ha assunto ex detenuti e spesso li ha mandati a scuola. Quando alcuni dipendenti avevano ricadute e venivano arrestati, pagava le loro cauzioni. Aiutava anche i dipendenti dei livelli più bassi a diventare manager e si appoggiava a uno dei tanti libri sul business nella sua biblioteca: Raving Fans di Ken Blanchard, che offriva lezioni inestimabili sul servizio clienti. “L’ho letto quando stavamo cercando di capire come attrarre più persone nei ristoranti. Come puoi fare in modo che le persone vogliano venire nel tuo locale?”. Diede il libro ai suoi manager perché migliorassero le loro doti di servizio ai clienti e, al contempo, creò un’azienda di seconde opportunità, mostrando un interesse genuino nel migliorare le vite delle persone.

La filosofia di team building di Bridgeman ha dato risultati. Nei 20 anni successivi il suo impero di ristoranti si è allargato a circa 520 locali in franchising, generando un totale di 500 milioni di dollari di ricavi al suo apice, nel 2015.

“Dovevi fare in modo che le persone capissero e credessero che ti importava di loro”, dice. “Quando arrivavi a quel punto, allora anche a loro importava dell’attività. Quando questo è successo, tutto si è tradotto in dollari”.

Il business della Coca-Cola

Dopo avere venduto la gran parte dei suoi locali, Bridgeman ha iniziato a sognare ancora più in grande. Sempre nel 2016 ha comprato Heartland, un’azienda di imbottigliamento della Coca-Cola, per una cifra stimata in 290 milioni di dollari. E non avrebbe potuto scegliere un momento migliore, perché la Coca-Cola aveva appena speso 12,3 miliardi per comprare il suo più grande imbottigliatore, Coca-Cola Enterprises, e stava cercando di ridurre la propria impronta. Un secolo fa in America c’erano circa 1.000 aziende che imbottigliavano Coca-Cola. Oggi quel numero è sceso a meno di 100.

“È un ottimo affare, se riesci a metterci le mani”, dice Charlie Higgs, un analista di prodotti di consumo per Redburn che lavora a Londra. Nel 2024, aggiunge, le aziende che imbottigliano Coca-Cola hanno registrato vendite globali per 280 miliardi di dollari.

Higgs osserva anche che Bridgeman, che possiede il 100% di Heartland, ha incrementato i suoi ricavi allargandosi in Illinois, Iowa, Kansas, Missouri e Nebraska. Oggi, secondo le stime di Forbes, Heartland ha quasi 1 miliardo di ricavi annui e, al netto del debito, vale quasi 1 miliardo. E le partecipazioni di Bridgeman in Coca-Cola valgono probabilmente ancora di più: nel 2018 ha comprato una quota di minoranza nell’attività canadese di imbottigliamento di Coca-Cola, che è controllata dal miliardario canadese Larry Tanenbaum, che è anche proprietario dei Toronto Raptors della Nba e dei Toronto Maple Leafs della Nhl.

Nonostante il suo passaggio al settore dell’imbottigliamento, Bridgeman non ha abbandonato del tutto il business dei ristoranti. La sua famiglia possiede ancora una quota di controllo in 160 locali in franchising di Wendy’s e in 70 ristoranti italiani Fazoli’s, che Forbes stima abbiano un valore combinato di 100 milioni, compresi anche gli immobili di proprietà. Bridgeman si è anche allargato ai media: nel 2010 ha comprato le riviste Ebony e Jet per 14 milioni di dollari.

Il ritorno nella Nba

Poi, a settembre 2024, è tornato alla Nba e ha comprato una quota del 10% della sua vecchia squadra, i Milwaukee Bucks. Forbes ritiene che Bridgeman abbia ricevuto uno sconto del 15% come socio privilegiato e abbia pagato circa 300 milioni.

Anche se la sua carriera nella Nba è finita quasi 40 anni fa, una delle priorità di Bridgeman è prendersi cura del team che oggi lavora per lui. Intorno alle 11.30, ogni giorno, uno chef personale prepara pranzi freschi per le persone più importanti della sua azienda. Nel giorno in cui è avvenuta questa intervista, il menù prevedeva omelette su richiesta, waffle al latticello, bacon croccante e salsicce cotte alla perfezione.

“Che cosa simboleggia tutto questo?”, chiede Charles Grantham, l’ex direttore esecutivo della National Basketball Players Association (Nbpa), il sindacato dei giocatori Nba di cui Bridgeman è stato presidente alla fine degli anni ’80. “Suggerisce che si è fermato, ci ha pensato e si è detto: ‘Ok, come posso incoraggiare le persone a essere la migliore versione possibile di se stesse? Devo mostrare di preoccuparmi per loro, di interessarmi. Anche se significa far venire uno chef personale ogni giorno’”.

Il principale pensiero di Bridgeman, in questo momento, è mettere al sicuro il futuro finanziario della sua famiglia. Dopo avere costruito un impero redditizio che oggi è guidato perlopiù dai suoi figli, presto per lui verrà il momento di ritirarsi. E questa volta per davvero. Negli anni la famiglia ha tenuto molte riunioni per pianificare la successione e lui ripete che non rinnoverà i suoi incarichi nel consiglio di amministrazione e intende sparire presto dai riflettori.

Competenze da trasferire

Al di là della famiglia, però, c’è un’ultima missione che vuole completare. Come proprietario di minoranza dei Bucks, vuole trasmettere il suo fiuto per gli affari a una nuova generazione di talenti della Nba, proprio come Fitzgerald aveva fatto con lui.

“Loro possono fare come me”, dice Bridgeman. “I ragazzi di oggi che hanno molti soldi hanno probabilmente troppe persone che vanno da loro a chiedere di investire in questo e quello. Voglio portarli a guardare a tutto questo in modo diverso”.

Bridgeman sa bene che il suo investimento nei Bucks aumenterà presto di valore, quando la lega aggiungerà due squadre, probabilmente a Las Vegas e Seattle. Il prezzo per entrare nella Nba, che sarà diviso tra i proprietari delle 30 squadre già presenti, è stimato tra i 5 e i 6 miliardi di dollari.

“Per me è pazzesco”, dice Bridgeman. “Larry Tanenbaum mi ha fornito molte informazioni su ciò che aspetta la lega”. Lo scorso anno la Nba ha firmato un nuovo accordo per i diritti mediatici da 77 miliardi di dollari. Ha ancora anche un business da 5 miliardi in Cina e una lega in Africa che vale 1 miliardo.

Possedere una squadra sportiva professionistica – come un’azienda che imbottiglia Coca-Cola – è un affare “dal quale nessuno vuole uscire”, dice Bridgeman. “La gente lo tramanda e basta”.

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