a cura degli avvocati Massimo Riva, associate partner, e Stefano Belloni, associate dello studio Rödl & Partner
A partire dal 15 ottobre e sino al termine dello stato di emergenza sanitaria (31 dicembre 2021, salvo eventuali proroghe), i dipendenti del settore privato dovranno munirsi di Green Pass per accedere ai luoghi di lavoro. L’obbligo riguarderà tutti i luoghi in cui è svolta una attività lavorativa e, in particolare: aziende, negozi, studi professionali e persino abitazioni private, alle quali un prestatore di lavoro dovrà accedere per svolgere la propria prestazione. Ciò indipendentemente dall’inquadramento contrattuale di ciascun singolo lavoratore: tale obbligo non sarà infatti relativo solo ai lavoratori dipendenti, ma anche ai collaboratori autonomi, collaboratori occasionali, titolari di ditte individuali, dipendenti/collaboratori di terzi appaltatori, somministrati, tirocinanti, agenti e persino volontari, come espressamente previsto dal Decreto stesso.
Quanto sopra, tuttavia, non riguarderà i lavoratori che operano da remoto: l’obbligo introdotto dal Governo investe, infatti, solo i lavoratori che, a partire dalla data sopraindicata, accederanno a luoghi in cui dovranno svolgere un’attività lavorativa, di formazione o di volontariato. Ciò comporta che il lavoratore che svolge la propria attività in regime di smart working, come anche il telelavoratore o il lavoratore autonomo che lavori da remoto presso la propria abitazione, non sono in alcun modo obbligati a possedere ed esibire il Green Pass. Nel caso di lavoratori che svolgono attività di lavoro in presenza, resta fermo l’obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde ai fini dell’accesso ai locali aziendali in cui la prestazione deve essere svolta.
Senza green pass si perde il diritto al compenso
Di fatto, il principio sotteso all’introduzione dell’obbligo di Green Pass sui luoghi di lavoro è molto chiaro: coloro che non sono in possesso ovvero non esibiscono la certificazione verde non possono accedere ai luoghi di lavoro e non hanno diritto a percepire alcun compenso. A tal riguardo, il decreto da ultimo emanato dal Governo ha infatti previsto un automatismo di legge che qualifica l’impossibilità del singolo lavoratore di svolgere la propria prestazione di lavoro, in ragione del mancato accesso ai locali aziendali dovuto al mancato possesso o alla mera mancata esibizione della certificazione verde, come assenza ingiustificata. L’utilizzo di tale qualificazione ex lege comporta l’automatico venir meno del diritto alla retribuzione (e della relativa contribuzione previdenziale) per il lavoratore assente ingiustificato con riferimento alla giornata di interesse e senza che il datore di lavoro sia onerato dell’adozione di alcun atto di formale sospensione: semplicemente il lavoratore assente ingiustificato non matura alcun diritto allo stipendio.
L’imprenditore non può licenziare
Ma a questo punto è legittimo chiedersi: quali poteri ha l’imprenditore? E, nel caso, è possibile procedere al licenziamento del dipendente non munito di Green Pass? Se sì, dopo quanto tempo? Sotto tale profilo, la normativa di riferimento ha espressamente escluso che l’assenza della Certificazione Verde possa comportare conseguenze sul piano disciplinare per i lavoratori interessati e, conseguentemente, che l’assenza del Green Pass possa fondare un recesso del datore di lavoro per ragioni aventi carattere disciplinare. Al riguardo, infatti, il Governo ha deciso di adottare un approccio mediato e di non imporre un vero e proprio obbligo vaccinale alla generalità della popolazione. Invero, le disposizioni di legge ad oggi adottate hanno meramente previsto che il possesso di un lasciapassare, che possa garantire quanto più possibile – almeno secondo le conoscenze scientifiche attuali – la tutela della salute pubblica, sia presupposto per accedere a luoghi che comportino, in generale, occasioni di aggregazione e che quindi determinino, nello specifico, maggiori possibilità di contagio.
Tra tali luoghi sono stati inclusi quelli di lavoro. Pertanto, nell’ambito del bilanciamento tra l’interesse della collettività alla salvaguardia della salute pubblica, quello delle imprese a una ripresa in sicurezza delle attività lavorative e il diritto di autodeterminazione dei singoli individui, il Governo ha ritenuto di considerare anche le richieste delle Parti Sociali che hanno a lungo insistito affinché l’eventuale scelta di ciascun dipendente di non sottoporsi a un trattamento sanitario (quale è il vaccino) e di non svolgere periodicamente test per l’accertamento di una eventuale positività al virus Covid-19 (come il tampone) non avesse alcuna rilevanza da un punto di vista disciplinare e, anzi, per converso, non producesse alcun impatto sul diritto dei dipendenti interessati alla conservazione del proprio posto di lavoro (pur giustificando l’esonero dei datori di lavoro da oneri retributivi verso soggetti sostanzialmente inattivi).
L’obbligo di verificare il green pass per le aziende
Considerato tutto quanto sopra, a partire dal 15 ottobre sarà quindi onere di tutti datori di lavoro privati, che siano titolari degli spazi in cui sarà svolta una prestazione lavorativa, quello di verificare che i dipendenti, come anche i soggetti terzi che accedano a tali spazi per ragioni di lavoro, siano in possesso della certificazione verde. A tal proposito sarà necessario per i datori di lavoro provvedere all’adozione di specifiche policies che regolino la verifica di tale requisito di accesso, oltre che alla formalizzazione per iscritto della nomina di uno o più soggetti preposti all’accertamento del possesso e della validità del Green Pass da parte dei prestatori di lavoro al momento dell’ingresso nei locali aziendali. Inoltre, per quanto riguarda i lavoratori cd. ‘fuori sede’, la normativa prevede altresì che gli stessi debbano necessariamente essere assoggettati a un duplice controllo. Lo stesso dovrà avvenire da parte (i) del soggetto ‘ricevente’ (ovvero il soggetto legittimato al controllo degli accessi nel luogo di lavoro cui il lavoratore fuori sede dovrà svolgere la propria attività di lavoro) oltre che (ii) dal rispettivo datore di lavoro. Sarà pertanto compito di questi ultimi implementare sistemi per la verifica del possesso del Green Pass da parte di tali lavoratori, tenuto altresì conto delle indicazioni espresse dal Garante della Privacy che ha chiarito che, in ogni caso, non sarà possibile richiedere all’intestatario una copia della propria Certificazione Verde né, tantomeno, procedere alla sua archiviazione.
Le tutele per le aziende con meno di 15 dipendenti
Le regole espresse sino ad ora trovano applicazione nei confronti di tutte le aziende del settore privato e a prescindere dalle dimensioni occupazionali. Con particolare riferimento alle aziende di piccole dimensioni (ovvero con meno di 15 dipendenti), naturalmente più impattate dalle possibili defezioni di forza lavoro che dovessero conseguire all’assenza di Green Pass, ci si è chiesti cosa potrebbe accadere nel caso in cui un numero elevato o addirittura la totalità dei dipendenti non fossero dotati della certificazione verde. Per quanto riguarda tale scenario, che si confida sarà molto limitato nel numero, è bene evidenziare che il legislatore ha espressamente previsto disposizioni specifiche, volte proprio a salvaguardare questo tipo di realtà che potrebbero essere maggiormente afflitte dalle scelte di alcuni gruppi di lavoratori. Infatti, per le aziende di piccole dimensioni è espressamente previsto che il datore di lavoro, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata dovuta alla mancanza di Green Pass, è legittimato a disporre la sospensione (dal lavoro e dalla retribuzione) del lavoratore interessato per un periodo corrispondente alla durata del contratto di lavoro a termine che sia stato stipulato per la sua sostituzione. In tali ipotesi il suddetto periodo di sospensione non potrà comunque essere superiore a 10 giorni, rinnovabili per una sola volta, e non potrà proseguire oltre il termine del 31 Dicembre 2021. Pertanto, ove tutti o quasi i dipendenti non fossero muniti di Green Pass, il datore di lavoro potrebbe, applicando le regole introdotte, prima sospenderli dal lavoro per un periodo massimo di 20 giorni sostituendoli con un dipendente assunto a tempo determinato per un periodo di pari durata e, una volta scaduto tale termine, proseguire nel considerarli assenti ingiustificati e, quindi, senza che sorga per gli stessi alcun diritto alla retribuzione.
Le sanzioni
È importante evidenziare che, a parere di chi scrive, un comportamento astrattamente legittimo (ovvero quello di scegliere individualmente di non munirsi di certificazione verde) ove sia volontariamente preordinato a generare un effetto disfunzionale sull’attività aziendale (come potrebbe ritenersi nell’ipotesi di un accordo dei lavoratori in tal senso), potrebbe ledere l’interesse datoriale alla ripresa dell’attività economica e, quindi, integrare un comportamento disciplinarmente censurabile. Oltre a quanto detto è importante tutti si attivino tempestivamente per dare attuazione agli obblighi di legge, tenuto conto che anche il mancato adeguamento a dette previsioni potrebbe comportare delle conseguenze sia per i titolari dei luoghi di lavoro sia per i soggetti che decidano di accedere a tali luoghi senza essere in possesso della certificazione verde.
Infatti, il dovere di verifica fa capo ai soggetti che hanno il controllo degli spazi dove deve essere svolta la prestazione di lavoro ed essi, in caso di omesso controllo ovvero di mancata predisposizione di misure organizzative idonee alla suddetta verifica, potranno essere sottoposti a una sanzione amministrativa da 400 a 1.000 euro, raddoppiabile nell’eventualità di reiterate violazioni. Altrettanto sanzionabili risulteranno essere i prestatori di lavoro che decideranno di accedere ai luoghi aziendali in violazione dell’obbligo di legge. Tale condotta sarà anch’essa punita con una sanzione amministrativa nella misura compresa tra 600 e 1.500 euro mentre, in caso di contraffazione della certificazione verde, la sanzione potrà anche eccedere tale importo.
E i liberi professionisti?
Infine, un’ultima menzione deve essere rivolta ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi come anche, più in generale, a tutti quei soggetti che non sono assoggettati ad alcun vincolo di subordinazione. Anche tali categorie soggiacciono agli obblighi sopra menzionati nel momento in cui decidano di accedere a luoghi in cui è o deve essere svolta un’attività lavorativa, di formazione o di volontariato, luoghi che, si ricorda, comprendono le aziende come anche i negozi, gli studi professionali e le abitazioni private (ovviamente di terzi) presso le quali il singolo prestatore si reca per svolgere una delle suddette attività.
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