Articolo di Federico Silvio Bellanca
Se chiedete a qualsiasi francese quale chef ha avuto modo più di tutti di influenzare la storia del pentagono, la risposta è univoca: François Vatel. La storia di questo chef è incredibile perché fa comprendere la responsabilità che si cela dietro alla cucina quando da essa dipendono le sorti della politica.
François Vatel (Parigi, 1631 – Chantilly, 24 aprile 1671) iniziò la sua carriera a soli 22 anni quando fu preso a servizio da Nicolas Fouquet, sovrintendente alle finanze del regno di Francia. Proprio in questo periodo, Vatel si specializzò nell’organizzare feste e banchetti come quello per l’inaugurazione del castello di Vaux-le-Vicomte per il quale inventò la famosa crema chantilly. Quando il potere del suo signore divenne però eccessivo (le portate venivano servite a tavola in piatti d’oro massiccio, tanto era divenuto ricco) Luigi XIV, decise di arrestare Fouquet con l’accusa di corruzione segregandolo in carcere a vita.
Vatel passò allora a servizio da Luigi II di Borbone-Condé, principe di Condé, e fu assegnato al castello di Chantilly, in onore del quale rinominerà la famosa crema. Ma per la seconda volta le fortune politiche del suo datore di lavoro non furono rosee: il principe di Condé infatti era caduto in disgrazia con l’accusa di aver congiurato per detronizzare Luigi XIV ancora bambino e per salvare la propria posizione si decise, sull’orlo della bancarotta, a riacquistare i favori del re organizzando una festa di tre giorni e tre notti cui parteciparono 3mila membri della corte di Versailles e 600 tra cortigiani minori e servitori. La festa costò al principe 50mila scudi ma tutti furono talmente conquistati dalla cucina di Vatel che l’operazione valse il perdono reale. Ma se un banchetto lo aveva reso celebre, lo stesso lo avrebbe reso anche tristemente famoso: il 24 aprile 1671, venerdì e quindi giorno di pesce, Vatel aveva predisposto tutto per la perfezione: sarebbe stato pescato il giorno prima e nella notte avrebbe percorso i 229 km per essere cucinato la mattina. La consegna tuttavia subì dei ritardi e Vatel decise di suicidarsi come un samurai, gettandosi contro la sua spada personale.
Sono passati secoli, ma certe regole non scritte restano sempre vere: la vera diplomazia non si fa (soltanto) nelle sale del potere, ma anche a tavola, e la buona riuscita di un pranzo o di una cena di Stato possono cambiare l’umore delle parti in causa. È interessante quindi immaginare i preparativi che si celano dietro all’impeccabilità di un tavolo reale o presidenziale e chiedersi cosa mangiano veramente i potenti della terra.
Scoprirlo potrebbe essere molto più facile di quello che si immagina perché, nascosto in un paesino della costa toscana, ha aperto il proprio ristorante uno chef che per anni è stato abituato a cucinare per re, regine e presidenti. Si tratta di Michele Martinelli, che prima di decidersi a fermarsi a Nibbiaia (nella provincia di Livorno, ndr) e aprire la propria Locanda Martinelli è stato per anni l’executive chef della corte di Giordania. Arrivato ad Amman ancora giovanissimo in veste di italian chef, in breve tempo si conquistò i favori della regina Rania, e dopo tre mesi, all’età di 26 anni, si ritrovò a gestire tutte le cucine dei Palazzi Reali con una brigata di 26 cuochi di diverse nazionalità.
Se le corti europee sono molto tradizionaliste (come ci racconta lo stesso Martinelli, che per un periodo ha servito anche alla corte del Lussemburgo), quelle mediorientali sono di piglio gastromico molto internazionale, curiosi e abituati al confronto dei sapori, come dimostrano i menù che oggi Michele ha appeso nel suo ristorante sui quali troneggiano i commenti della regina, che aveva in uso di rimandarglieli dopo ogni pasto con appunti, apprezzamenti o suggerimenti.
Durante gli anni trascorsi in Giordania, lo chef toscano non si trovò solo a gestire la quotidianità della corte ma anche quei moderni banchetti che tanto sarebbero piaciuti a Vatel, in cui venivano ospitati presidenti e teste coronate del mondo come il re del Marocco, il presidente Bush, i re del Qatar e il presidente Ciampi. Alcune volte, al contrario, era Michele a dover preparare i piatti giordani, come successe durante la visita alla regina Elisabetta d’Inghilterra al Windsor Castle.
Un lavoro meraviglioso ma al contempo molto faticoso: i preparativi per queste cerimonie infatti erano allestite con pochissimo preavviso in quanto la segretezza rimaneva fino all’ultimo fondamentale per ragioni di sicurezza. Dopo l’11 settembre 2001 inoltre, l’area geografica era divenuta molto più instabile, e da qui la decisione di partire e tornare in Italia per aprire il proprio ristorante, dove si mangiano piatti internazionali come il foie gras con pain brioche e confettura di pomodori verdi o la piuma di pata negra cotta a bassa temperatura.
Oggi, all’interno della sua sala, i menù storici delle grandi cene sono esposti con orgoglio per testimoniare il ruolo di uno chef, dal 1600 fino ai giorni nostri.
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