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Come la cucina napoletana di Mama Eat sta rivoluzionando la ristorazione senza glutine

Da un luogo in cui convivialità e sicurezza alimentare coesistono, a un format di cucina mediterranea senza glutine e lattosio. Così la napoletana Mama Eat si appresta entro il 2023 a rafforzare la propria presenza su tutto il territorio nazionale. Sia attraverso una nuova apertura a Firenze, sia con il lancio di un progetto innovativo nell’ambito della formazione professionale, Mama Eat Academy. Ma anche con la centralizzazione della produzione, che consentirà di certificare la qualità dei piatti. Più di 85 dipendenti, 6 sedi nazionali, un fatturato per il 2022 previsto in crescita del 30% rispetto al periodo pre-pandemico (2019) e la possibilità di arrivare entro il 2024 in Europa.

Le origini di Mama Eat 

Mama Eat è nato circa 20 anni fa a Napoli da un’idea di mamma Marcella, insieme ai fratelli Roberto e Giovanni. Il format risponde a un’esigenza in crescita nel nostro Paese: colmare il gap di ristoranti con proposte alimentari adeguate per coloro che non possono mangiare glutine e lattosio.

“La piena conoscenza di quello che concerne la celiachia e la grande passione per la tradizione gastronomica della nostra città hanno permesso a mia madre di poter ideare Mama Eat, e di dar vita a una realtà unica nel suo genere”, racconta Roberto Zeccolini, business development manager della catena.

Roberto Zaccolini, business development manager
di Mama Eat

Oggi, in Italia sono circa 600mila le persone celiache con età compresa tra i 18 e i 59 anni. Un dato ripreso dalla relazione annuale del Parlamento sulla celiachia, che evidenzia la necessità di iniziative volte alla sensibilizzazione di questa patologia che non permette, a chi ne è affetto, di godere di semplici gesti di vita quotidiana come andare in pizzeria o al ristorante. Mama Eat interviene proprio su questo fronte. E lo fa attraverso la disposizione di due ambienti separati che possano lavorare simultaneamente, offrendo ai clienti un’esperienza priva di barriere culinarie. Non a caso, ogni locale dispone di un doppio menu, entrambi certificati dall’Associazione Italiana Celiachia.

Forti del modello gestionale e dell’offerta omogenea, il modello di business è giunto a fine marzo alla sua terza apertura a Roma, portando così nella famiglia Mama Eat una nuova sfida imprenditoriale.

    (courtesy Mama Eat)
    (courtesy Mama Eat)
    (courtesy Mama Eat)
    (courtesy Mama Eat)
    (courtesy Mama Eat)
    (courtesy Mama Eat)

L’impegno sociale oltre il glutine

Socrate annovera l’esperienza come la più alta forma di apprendimento e conoscenza. È su queste basi che Mama Eat ha attraversato il confine delle difficoltà odierne nell’ambito della ristorazione senza glutine per arrivare all’elaborazione di un progetto imprenditoriale forte e sostenibile. Diventando, negli anni, un porto sicuro dove condividere i piatti simbolo della cucina mediterranea, ma anche investire nelle competenze attraverso la realtà di formazione professionale Mama Eat Academy. “È fondamentale poter crescere in modo consapevole, sostenibile  e coerente: stiamo lavorando alla centralizzazione del prodotto per far vivere ai clienti lo stesso tipo di esperienza gastronomica in ognuno dei nostri locali”, spiega Zaccolini.

Una filosofia incentrata sul valore umano

Per Mama Eat, infatti, i collaboratori sono il vero motore dell’azienda. E lo dimostra l’ambiente di lavoro flessibile e dinamico che premia sia la crescita professionale, caratterizzata da piani ben stabiliti e fondati sulla meritocrazia, sia il benessere psicofisico. Dando così l’opportunità, attraverso un percorso graduale, di arrivare alle più alte cariche interne.

In questo periodo, Mama Eat lavora costantemente per implementare i processi relativi alla formazione interna attraverso la managerializzazione del back office anche in un contesto particolarmente difficile come quello della pandemia. “Credo che superare due anni di pandemia con due ristoranti appena acquisiti, sia stata una dura prova che, però, ha dato consapevolezza dei propri mezzi”, conclude il manager, ora focalizzato su un obiettivo ben preciso: esportare il brand.

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