Da dove nasce l’interesse per le scimmie?
Ricordo che da bambino ero terrorizzato dalle scimmie: mi avevano regalato una riedizione della Jolly Chimp, una scimmia che agitava dei piattini con le mani e aveva degli occhi rossi spalancati che fissavano il vuoto. Da quel momento, tutte le scimmie mi hanno inquietato, sentivo in loro l’irrazionalità della nostra parte più incontrollabile e selvatica. Poi negli anni ho imparato a capire che noi umani abbiamo ancora dentro quel tipo di violenza, ma con l’aggravante di aver perso l’istinto e l’equilibrio con la natura. In generale, c’è sempre stata una connessione emotiva, nel bene e nel male.
Cosa rappresenta la scimmia nella tua arte?
Anni dopo, in un periodo in cui sentivo di avere la necessità di raccontare l’essere umano da una prospettiva ironica e di critica, mi sono tornati in mente i primati, lo scimpanzè in particolare, che è l’animale più prossimo a noi con il quale condividiamo il 99% del codice genetico. Il mio unico interesse è sempre stato quello di raccontare le nostre debolezze e insicurezze, le ossessioni quotidiane che scandiscono il ritmo delle nostre giornate. Negli anni seguenti lo scimpanzé è diventato il modello perfetto per raccontare l’uomo e, senza che me ne rendessi conto, ha anche definito il mio stile artistico.
La scimmia, complice il clamore creato dagli Nft, sta vivendo un momento di hype, come mai?
È strano. Io dipingo scimmie da 10 anni e ho fatto una grande fatica ad abituare il mio pubblico ad apprezzare questa figura. Sono rimasto un po’ spiazzato nel vederle dappertutto, rincorse, comprate e rivendute con grande foga. Nel digitale tutto viaggia molto velocemente, un mese sembra un anno, di conseguenza non mi stupisce questa scalata virale così veloce e profonda perché conosco bene il loro potenziale. Credo fosse solo questione di tempo perché emergesse la forza della scimmia che gioca a fare l’uomo.
Esiste un legame tra la scimmia e la cultura urbana?
Per anni ho dipinto le mie scimmie sul cemento, perché ero e rimango tuttora convinto che le nostre città non siano altro che giungle, fatte di palazzi e asfalto, per noi scimmie travestite da uomini. Mi è sempre piaciuto fare camminate di ore, sopratutto a New York dove ho vissuto per qualche anno, durante le quali, con la musica nelle orecchie, osservavo tutti gli infiniti modi che abbiamo di rivelare la nostra identità attraverso abiti, scarpe e accessori. Le mie scimmie si nutrivano di queste osservazioni e finivano per indossarle nei miei quadri. Un legame esiste di certo, la mia ossessione per le scimmie e per le sneakers, sopratutto quelle di Nike, rappresentano bene questo tipo di cultura urbana.