Articolo tratto dal numero di settembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!
“Non si può fare business senza pensare alla sostenibilità. Fra un decennio, la sostenibilità sarà integrata con ogni aspetto dell’industria della grande distribuzione. E, tuttavia, abbiamo di fronte una sfida, perché i consumatori non sono disposti ad assorbire tutti i costi della transizione verso un sistema pienamente sostenibile e gli operatori da soli non possono farvi fronte. Abbiamo perciò bisogno del supporto di altri operatori, come i produttori di alimenti e i governi. Insieme possiamo risolvere il problema di come bilanciare in modo corretto sostenibilità e convenienza. Questa dev’essere la nostra priorità”. Qualche settimana fa, intervistata da McKinsey, Marina Sylvia Carolina Caprotti, presidente di Esselunga, ha detto la sua su vari aspetti e alcuni nodi cruciali di quel settore in cui occupa una posizione di assoluta rilevanza in Italia e importante anche a livello globale.
Un’eredita importante
Nata a Londra il 17 gennaio 1978, figlia di Bernardo Caprotti e della sua seconda moglie, Giuliana Albera, Marina è la figlia più giovane del quasi mitologico fondatore di Esselunga dopo Giuseppe e Violetta, nati dal primo matrimonio dell’imprenditore con Giorgina Venosta. Dopo l’ingresso dei fratelli maggiori in azienda a metà degli anni ’80 e la successiva rottura con il padre, che dopo dieci anni allontanò Violetta e dopo 19 il figlio maschio, Marina e Giuliana furono designate eredi universali da Caprotti, che è morto il 30 settembre 2016 a 91 anni. Alla morte del padre Marina ereditò quindi, insieme alla madre, il 70% della Supermarkets Italiani, la holding che dal 2006 controllava anche Esselunga. Decise così di mandare avanti il gruppo, insieme al marito Francesco Moncada di Paternò e alla madre (a cui venne riservato il ruolo di presidente onorario), prendendo la carica di vicepresidente e affidandone la guida operativa all’amministratore delegato Sami Kahale. Nessun ruolo, invece, per Giuseppe e Violetta, che nell’aprile 2020, dopo un lungo arbitrato vendettero le quote ereditate dal padre (15% ciascuno) a Marina, che diventò così, assieme alla madre, proprietaria al 100% della holding. Rafforzata la propria posizione, nel giugno 2020 Marina diventò presidente esecutivo della società. Qualche mese dopo, assieme ai suoi consulenti, assieme alla madre semplificò la catena di controllo mediante il progetto di Supermarkets Italiani nella stessa controllata Esselunga.
L’accordo con UniCredit
Un ultimo tassello della riorganizzazione societaria è stato completato qualche settimana fa, quando Esselunga ha firmato un accordo con UniCredit per l’acquisto del 32,5% di La Villata. È la società che detiene oltre 80 immobili utilizzati da Esselunga quali negozi e il cui restante 67,5% è detenuto dalla stessa Esselunga. La banca guidata da Andrea Orcel aveva acquisito la quota di La Villata nel 2020, nell’ambito della riorganizzazione societaria che aveva condotto Giuliana Albera Caprotti e la figlia ad acquisire il controllo totale del gruppo. Il corrispettivo pattuito per l’acquisto delle azioni di La Villata è di 435 milioni di euro ed è stato corrisposto da La Villata mediante ricorso a proprie disponibilità di cassa per un importo di 255 milioni e mediante un finanziamento bancario chirografario per la somma restante.
Infine, a giugno dello scorso anno Kahale ha lasciato la carica di amministratore delegato di Esselunga e Marina ha preso sulle sue spalle l’intera gestione. Designato per preparare lo sbarco in Borsa della catena, il manager di origini egiziane, ingegnere, classe 1961, non ha infatti convinto a pieno la figlia di Caprotti. Tra i motivi dell’allontanamento non c’è solo l’ipotesi di gestire tutto in famiglia o di vendere a un player estero, perché fonti solitamente bene informate segnalano il calo drastico registrato dalle vendite del reparto ortofrutta: -20%. Il motivo del crollo di ricavi di un comparto strategico per qualsiasi catena di grande distribuzione sarebbe soprattutto il nuovo layout (studiato anche da Kahale) aperto, senza passaggio obbligato, presente in circa 60 punti vendita.
I numeri di Esselunga
Esselunga ha chiuso il 2021 meglio del dato medio di mercato e ha ripagato altri 103 milioni del debito, che nel 2020 ammontava a 1,82 miliardi. Il gruppo ha realizzato vendite consolidate per 8,56 miliardi, in crescita del 2,2%, contro il -0,1% del dato medio di mercato rilevato da Nielsen Iq a rete corrente. Non sono noti, tuttavia, i dati a rete costante per misurarne la performance reale, specie dopo l’avvio allo sviluppo dei negozi di vicinato. Il margine operativo lordo è stato di 689,7 milioni, in diminuzione dai 710,5 milioni dell’anno prima, erosione dovuta ai maggiori costi operativi legati al rinnovo contrattuale dei settori collegati alla logistica e all’incremento delle vendite nel canale e-commerce. L’utile netto è ammontato a 266,5 milioni, in crescita dai 254,8 milioni del 2020, beneficiando di minori imposte per 65 milioni in seguito alla rivalutazione dei beni d’impresa. Lo scenario di quest’anno, alla luce dell’inflazione galoppante, è molto più complesso per tutta la grande distribuzione. “Abbiamo lanciato da poco”, ha spiegato ancora Marina Caprotti a McKinsey, “un programma dedicato per mantenere i prezzi competitivi e restare vicini ai nostri clienti in questo periodo difficile”.
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