La rivelazione della prima onda gravitazionale, avvenuta nel settembre 2015, annunciata nel 2016 e premiata con il Nobel per la fisica nel 2017, ha rappresentato un momento epocale per i fisici e gli astrofisici di tutto il mondo. Era il risultato di mezzo secolo di sforzi per sviluppare strumenti abbastanza sensibili da rivelare una minuscola oscillazione dello spazio. Devo sottolineare che l’aggettivo minuscola non è sufficiente per dare l’idea precisa dell’effetto che si vuole misurare, visto che si parla di dimensioni inferiori a quelle di un protone.
Sono serviti decenni per mettere a punto una serie di tecnologie delicatissime che, per prima cosa, devono isolare i rivelatori dall’ambiente circostante. La Terra è in continuo movimento e qualsiasi effetto terrestre è infinitamente più grande delle vibrazioni celesti. Si chiama rumore sismico ed è dovuto all’attività sismica naturale congiunta alle vibrazioni prodotte da una umanità in continuo movimento. Se ci fossero dei dubbi basterebbe guardare come è diminuito il rumore sismico durante il lockdown. La popolazione chiusa in casa, insieme con un traffico quasi azzerato, hanno ridotto, in alcuni casi dimezzato, il rumore della Terra.
Il progetto di Einstein Telescope
Risulta allora chiaro perché i rivelatori gravitazionali debbano essere costruiti in regioni sismicamente tranquille e poco popolate, cioè con poco rumore antropico. Motivo per cui da un po’ si parla del luogo ideale dove costruire un ambizioso rivelatore gravitazione di nuova generazione (a guida italiana) chiamato Einstein Telescope, una delle grandi infrastrutture strategiche europee incluse nella Roadmap Esfri. Lo studio di fattibilità di Et è stato sviluppato grazie a un finanziamento della Commissione europea.
Il progetto ha il sostegno politico di Italia, Olanda, Belgio, Polonia e Spagna e il consorzio Et riunisce circa quaranta istituti di ricerca e università in diversi Paesi europei, tra cui anche Francia, Germania, Ungheria, Norvegia, Svizzera e Regno Unito. Gli istituti di ricerca italiani coinvolti nell’Einstein Telescope sono l’Istituto nazionale di fisica nucleare (o Infn), coordinatore del progetto, l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, (Ingv).
L’ambiente sismico unico della Barbagia
Quando si è trattato di proporre un sito, tutti hanno guardato alla Sardegna concentrandosi sulla Barbagia, che ha un ambiente sismico e geologico unico in Italia ed in Europa. I geologi ricordano che la Sardegna è su una placca caratterizzata da scarsissima attività sismica diversa da quella italiana, molto più attiva. Inoltre, la bassa densità di popolazione limita molto le vibrazioni antropiche, che nella ex-miniera di Sos Enattos sono tra le più basse misurate sulla Terra.
In più, si tratta di una regione con una lunga tradizione mineraria, che offre il know how per la costruzione di un grande laboratorio sotterraneo dal costo stimato di 1,9 miliardi di euro, in grado di rinvigorire l’economia in sofferenza dalla chiusura delle miniere. La Regione Sardegna, con le Università di Cagliari e Sassari, sono sempre state sponsor entusiaste del progetto, che ha il supporto del Ministero della Ricerca. Gli studi del sito sono stati finanziati dal Mur nel 2018 con 17 milioni di euro, ai quali si sono uniti 3 milioni e mezzo della Regione, dedicati alla realizzazione di un laboratorio sotterraneo (Sasgrav) nella ex-miniera di Sos Enattos per fare operare esperimenti scientifici in condizioni di bassissimo rumore.
Investimenti e infrastrutture necessarie
Ovviamente, ospitare un progetto europeo così grande, con un indotto certamente molto importante, fa gola anche ad altre nazioni e la Sardegna si trova a competere con il Nord Europa, dove Germania, Olanda e Belgio si sono consorziati per proporre un sito nella regione Meuse-Reno con caratteristiche meno perfette di quello sardo, ma con molto supporto politico. È chiaro che vincere la battaglia per ospitare Einstein Telescope in Sardegna non sarà una passeggiata: occorrerà assicurare i finanziamenti, investire in infrastrutture ma, di certo, bisognerà preservare e difendere la quiete sismica della zona.
Purtroppo la recentissima decisione di costruire un parco eolico nelle vicinanze del sito proposto per Et è una pessima notizia. Le pale eoliche sono strutture molto grandi e la loro rotazione causa vibrazioni che vengono trasmesse alla roccia dove sono ancorate, diminuendo il vantaggio competitivo del sito sardo rispetto a quello nord europeo.
Ovviamente, nessuno ha qualcosa in contrario alle pale eoliche, che fanno la parte del leone nella transizione alla green economy. La recente crisi energetica, peraltro, spinge a investire sempre di più in energie pulite e rinnovabili. Certo, non sono invisibili e non sempre incontrano il favore del pubblico, perché molti le ritengono uno sfregio al paesaggio. Per questo si cerca di costruirle in zone di poco interesse paesaggistico oppure in mare, in acque poco profonde ma abbastanza lontane dalla costa.
Non so perché la zona intorno alla miniera di Sos Enattos sia stata scelta per uno dei nuovi parchi eolici sardi, forse offre condizioni di vento ottimale, forse ha già strade di accesso, ma di certo la scelta non è felice. Se la Regione e il Governo vogliono sostenere la candidatura della Barbagia per ospitare Einstein Telescope è imperativo preservare la quiete assoluta della zona. I grandi progetti scientifici, finanziati con fondi pubblici, sono un volano della crescita. Sarebbe imbarazzante e non meno grave venissero danneggiati dall’atteggiamento contraddittorio di chi dovrebbe sostenerli.
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