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L’80% delle aziende di prodotti di consumo aumenterà i prezzi nel 2023

Inflazione, supply chain, cambiamento della domanda e carenza di talenti continuano a tenere sotto scacco l’economia. Al punto che, secondo l’ultima ricerca di Deloitte Consumer Products Industry Outlook, 8 aziende su 10 che operano nel settore dei prodotti di consumo prevedono di aumentare i prezzi nel 2023, anche se quasi il 50% dei manager ritiene che i rincari possano influire negativamente sulla domanda di beni e servizi.

“Il successo delle imprese del settore consumer products passa attraverso alcune delle principali sfide del contesto economico, come l’aumento dei costi o le discontinuità nella supply chain causate prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina”, spiega Eugenio Puddu, consumer products leader di Deloitte Italia. “Nel nostro studio, condotto su 150 aziende di prodotti di consumo di tutto il mondo (attive in settori come ‘alimentari e bevande’, ‘beni per la casa’, ‘cura della persona’ e ‘abbigliamento’), compresa l’Italia, analizziamo i fattori che differenziano le aziende che, nonostante le grandi difficoltà del contesto economico, stanno realizzando una crescita profittevole, facendo luce sulle priorità e sulle prospettive per il 2023”, aggiunge.

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Come affrontare le sfide del futuro

Partendo dal presupposto che inflazione, supply chain, cambiamento della domanda e carenza di talenti rimarranno le principali sfide di queste aziende, come evidenziato da Deloitte, in uno scenario incerto, il miglior indicatore di successo proviene dalle organizzazioni che stanno riuscendo ad accrescere la propria profittabilità. Queste realtà non si differenziano dalla media per caratteristiche oggettive – come l’ambito operativo, la dimensione, la provenienza o la struttura di ownership – ma agiscono in modo diverso in relazione a cinque aree chiave: si allineano alle evoluzioni della domanda, si trasformano in modo creativo, colgono le opportunità per aumentare le proprie quote di mercato, migliorano la propria catena di fornitura e concretizzano il loro impegno verso gli obiettivi esg.

Proprio rimanendo in questa direzione, secondo la ricerca condotta da Deloitte le aziende profittevoli manifestano una maggiore consapevolezza in ambito sostenibilità, essendo fortemente impegnate nel perseguire gli obiettivi esg. I partecipanti alla ricerca si sono dimostrati più propensi della media a investire per migliorare la propria attività di reporting esg (83%) o sui temi di diversity, equity, and inclusion (75%), oltre che a sviluppare e partecipare a modelli di economia circolare (68%).

Inoltre, mai come in questo momento l’attenzione verso le tematiche di sostenibilità è diventata prioritaria anche per le aziende italiane. “Con le novità normative che entreranno in vigore a partire dal 2024, sia a livello nazionale che europeo, per le aziende diverrà obbligatorio divulgare informazioni sul proprio impatto sociale e ambientale. In previsione di ciò, oltre che in risposta alle richieste dei consumatori di maggiore trasparenza, molte aziende del nostro paese hanno già intrapreso un percorso che va in questa direzione, fornendo volontariamente tali informazioni”, sottolinea Puddu.

Le preoccupazioni legate alla supply chain

Tra le fonti di preoccupazione legate alla supply chain, le realtà intervistate individuano diverse criticità, tra cui le modalità di collaborazione con i fornitori, sia nelle garanzie di consegna (57%) sia nello sviluppo delle relazioni commerciali (47%), ma anche di acquisizione di dati necessari per condurre attività di reporting per verificare la compliance a criteri di sostenibilità, normativi o di sicurezza. Anche in ragione di queste considerazioni, più di 9 figure dirigenziali su 10 dichiarano di dedicare risorse per migliorare la supply chain e l’eccellenza operativa e il 76% dichiara di avere come obiettivo la raccolta e la condivisione dei dati a beneficio di tutti gli stakeholder, dai consumatori ai partner.

E-commerce e innovazione fattori chiave anche nel 2023

Adeguarsi alle nuove esigenze dei consumatori è un fattore distintivo per la quasi totalità le imprese profittevoli (93%), che pongono questa sfida in cima alle proprie priorità. All’atto pratico, queste realtà stanno investendo sul digitale per creare engagement e personalizzazione, ad esempio attraverso l’apertura o il potenziamento di canali direct-to-consumer (93%), l’innovazione di prodotto o l’analisi dei dati per identificare nuove opportunità di mercato (77%). “In seguito al periodo più duro della pandemia da Covid-19, abbiamo assistito a un aumento a doppia cifra su base annua del valore delle vendite sul canale e-commerce», commenta Puddu. “Per questo oggi gli sforzi di molti dei nostri clienti si stanno concentrando sull’implementazione di strategie direct-to-consumer, trasformando un canale considerato un tempo marginale in una vera priorità”.

M&A in Italia: prevista una crescita nel 2023 e nel 2024

Per le aziende in crescita, affrontare in modo efficace l’evoluzione della domanda richiede di trasformare creativamente il proprio modello di business, facendo leva, a seconda delle necessità, sull’integrazione verticale di parti della filiera d’appartenenza (68%) o su cessioni e ottimizzazione del portafoglio (66%).

A ciò si aggiunge che le operazioni di M&A sono ancora principalmente locali, con il numero di deal tra attori nazionali che negli ultimi anni ha superato di due o tre volte quelle con controparte internazionale. “Nel nostro Paese contiamo un numero limitato di investitori stranieri, ma abbiamo il potenziale per invertire questo trend: nel 2023 e 2024 ci aspettiamo di osservare maggiori investimenti da parte di aziende internazionali in imprese italiane più piccole. Ma queste realtà locali devono distinguersi in termini di prodotti, rilevanza dei brand e così via”, conclude Puddu.

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