Amped Software
Small Giants

Approccio scientifico e soluzioni innovative: così Amped Software ha conquistato il settore della sorveglianza video

Articolo di Maurizio Abbati tratto dall’allegato Small Giants del numero di marzo 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Utilizzare le tecnologie più innovative per incrementare l’efficienza e la precisione dei sistemi di sicurezza da mettere a disposizione delle forze dell’ordine. È questo il focus di Amped Software, una software house italiana fondata nel 2008 con quartier generale a Trieste e una sede a New York. L’azienda sviluppa tecnologie a supporto delle analisi di video e immagini ad uso investigativo e forense, operando in 100 paesi dove affianca più di 1.200 organizzazioni tra forze dell’ordine e agenzie governative, contando su un team di 34 persone con diversa expertise, fra cui ex personale militare, ex funzionari delle forze dell’ordine ed esperti nell’analisi di immagini e video.

Fondatore e attuale ceo di Amped, a cui si deve l’intuizione del valore di un simile software, è Martino Jerian, laureato in ingegneria elettronica all’Università di Trieste con una tesi sull’elaborazione di immagini in ambito forense, per affiancare i Ris di Parma nella loro operatività. È iniziato da qui un percorso fatto di progettazione e implementazione di quattro diverse tipologie di software oggi all’avanguardia. L’analisi del video, spiega Jerian, richiede conoscenza profonda del metodo scientifico da applicare per decifrare un atto criminoso. La tecnologia introdotta da Amped è un supporto che va ad amplificare e rendere più nitidi i fotogrammi. Un approccio scientifico su cui si fonda il messaggio di Jerian, impegnato in iniziative di sensibilizzazione sia verso le istituzioni dell’Unione Europea che verso gli Stati membri sui rischi e le opportunità generate dalla videosorveglianza.

Martino Jerian, fondatore e ceo di Amped Software

Quali sono le principali sfide legate all’analisi di immagini e filmati?

La videosorveglianza svolge un ruolo cardine: lo dimostrano gli articoli scientifici e di cronaca. Se prestiamo attenzione al telegiornale, ogni servizio che riguardi atti criminosi termina con ‘le forze dell’ordine stanno analizzando i video estratti dalle telecamere di videosorveglianza della zona’. Si tratta della fonte di prova più pervasiva e utile non solo a identificare i colpevoli, ma anche a tracciare le dinamiche di un evento. Secondo uno studio della polizia ferroviaria inglese su 250mila casi la videosorveglianza era disponibile in quasi metà di essi e utile in due terzi dei casi in cui era presente. Nessun altro tipo di fonte di prova è altrettanto disponibile e utile alle indagini. Bisogna anche tenere conto che non sono solo le immagini e i filmati della videosorveglianza ad essere utilizzati in ambito forense o investigativo, ma anche altre prove fotografiche quali quelle acquisite dai cellulari o scaricate da social media, nonché le telecamere indossate dalle forze dell’ordine, le foto della scena del crimine, i droni e ogni strumento capace di riprendere un fatto. Purtroppo le fonti di prova non sono sempre trattate in maniera rigorosa come avviene per il Dna o per le impronte digitali. Svolgere un’analisi tecnica richiede anche nella videosorveglianza una formazione e un approccio scientifico basato su specifiche metodologie. Spesso partiamo dal presupposto errato che un’immagine sappiamo vederla. E i rischi sono tangibili: la pervasività e l’efficacia delle fonti di prova video-fotografiche fanno sì che queste possano, se usate male, lasciare a piede libero un criminale o accusare un innocente sulla base di un’analisi non scientifica di un filmato. Non solo: in molti casi interi elementi probatori potrebbero essere annullati in sede di dibattito in Tribunale. La formazione quindi è un elemento cardine da tenere presente. Al proposito abbiamo preparato un manuale raggruppando i principi chiave che regolano la corretta analisi di video e immagini che presenteremo il 24 maggio al Parlamento Europeo.

L’intelligenza artificiale si sta facendo spazio anche nel campo in cui operate. Qual è la vostra posizione?

Si tratta di una tecnologia non ancora sufficientemente affidabile, che non può diventare l’unica soluzione da adottare durante un’indagine: allenare un algoritmo a riprodurre determinati risultati può essere fuorviante e depistare gli investigatori. Detto questo, può essere impiegata in specifiche situazioni, ma con la dovuta cautela e dopo una formazione estensiva che renda l’analista – che ha sempre e comunque la responsabilità della decisione finale – conscio dei limiti e dei preconcetti che essa può portare.

A chi si rivolge il vostro software?

Noi siamo noti soprattutto per Amped Five (che sta per Forensic image and video enhancement), utilizzato dai laboratori specializzati delle forze dell’ordine in tutto il mondo. Col tempo abbiamo elaborato una tecnologia pensata per personale non esperto: da qui è nato Amped Replay, che permette alle unità operative e territoriali delle forze dell’ordine di visualizzare, analizzare e presentare in modo facile e veloce fonti di prova multimediali. Grazie ad Amped Replay anche agenti non specializzati in ambito video-fotografico possono convertire e riprodurre filmati dai formati proprietari di videosorveglianza, applicare miglioramenti di base e aggiungere annotazioni alle immagini nelle indagini, senza coinvolgere i laboratori centrali per attività di routine. Uno strumento che abbiamo donato anche alla Questura di Trieste, grazie a un progetto avvallato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla prefettura. In alcuni paesi si è già diffuso su larga scala: spero che altri seguano questo esempio al fine di migliorare l’operato delle forze dell’ordine e garantire maggiore sicurezza.

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