Articolo apparso sul numero di aprile 2023 di Forbes Italia. Abbonati!
Come ogni valley che si rispetti, anche quella biomedicale di Mirandola, a nord di Modena, ha il suo big bang nell’intuizione di un uomo che s’industriò nel garage di casa e tirò fuori dal cilindro la gran novità. Quell’uomo si chiamava Mario Veronesi (1932-2017), farmacista che si scoprì imprenditore. All’alba degli anni Sessanta, quando l’Italia viveva la fase economica più felice della sua storia, comprese un bisogno e decise di realizzare i primi prodotti monouso in plastica pvc per uso medico.
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Nel 1962 fondò la prima delle sue quattro startup: Miraset, nome pragmatico dove ‘Mira’ sta per Mirandola, mentre ‘set’ indica la linea dei tubicini in pvc. A realizzare i raccordi di plastica per l’aggancio ai tappi delle bottiglie e agli aghi delle flebo pensò la Comef di Ottavio Ferrari, avviata nello stesso anno.
Mirandola, l’hub biomedicale
In questa terra di canto (Luciano Pavarotti), motori (Enzo Ferrari) e gastronomia (Massimo Bottura) veniva così posata la prima pietra di un distretto che da Mirandola si è allargato a Carpi, Medolla, Concordia sul Secchia, Cavezzo, San Felice sul Panaro, San Possidonio e San Prospero, fino a Poggio Rusco, nel mantovano. Il tutto nel raggio di 35 chilometri da Mirandola. È presente la filiera nella sua interezza, dalla componentistica alla produzione di macchinari elettromedicali e apparecchiature elettroterapeutiche ad alto grado di sofisticazione, strumenti e forniture mediche anzitutto di beni plastici monouso.
Nel polo sono attive 64 aziende, compresi i fornitori. Si contano quattromila addetti, il 75% dei quali lavora nei gruppi internazionali. Del resto, le piccole realtà via via sono state acquisite da grandi gruppi italiani e stranieri. Un salto dimensionale che è una delle condizioni necessarie per assicurare l’alto livello di innovazione richiesto dal settore. Le aziende sono più di 200 se si contano quelle attive nel metalmeccanico ed elettronico che operano sia per il biomedicale che per altri settori.
Storia di un’eccellenza
E dire che, nell’immediato secondo dopoguerra, quest’area era così depressa da mettere in campo vantaggi e sgravi fiscali pur di attrarre investitori. Per la verità, le insegne dove si spiegava perché Mirandola valeva una e plurime messe “ingiallirono penosamente e le aree destinate agli investimenti incentivati rimasero vuote e desolate”. È questo il racconto di Giorgio Goldoni, scomparso 80enne a dicembre, che, per via degli studi in lingue, venne assunto da Veronesi, che ambiva a un’espansione internazionale e aveva quindi la necessità di un interprete.
Agli occhi di noi figli della rivoluzione 4.0, quei primi viaggi hanno il sapore delle pellicole di Alberto Sordi. Sono esplorazioni alla conquista dell’Est, del Nord, dell’Ovest, dalle Alpi austriache alla Baviera, fino alla prussiana Berlino (Ovest, dati i tempi), giù in Croazia e via discorrendo. Viaggi nell’Italia del picco del miracolo economico, rinata dalle ceneri di una monarchia e di una ventennale dittatura culminata nella guerra civile, motivata a posizionarsi nel mondo. Ci riuscì, ed è soprattutto a questi uomini che dobbiamo l’ingresso nel G7 già nel 1975.
Riavvolgiamo il nastro. Torniamo a Veronesi, che nel 1966 metteva a segno il gran colpo, anche mediatico: sviluppava il prototipo del rene artificiale, manufatto tra i più sofisticati all’epoca. Per dar corpo a quel ribollire di idee fondava altre società. Da Steripast, poi trasformata in Dasco, a Bellco, un nome che più emiliano non si può: ‘Bell’ sta per bella e ‘co’ per compagnia, specchio della bonomia di quest’area laboriosa e sorridente. Il pioniere del biomedicale italiano diventava un caso di studio dell’università Bocconi. Veronesi non era l’uomo solo al comando.
Al suo fianco ebbe collaboratori come Claudio Trazzi, che mosse i primi passi come “ragioniere del dottor Veronesi”, spiega. Partecipò poi “alla fondazione delle principali aziende. Le ho viste crescere e le ho seguite durante i passaggi di proprietà alle multinazionali, per poi ricominciare con una nuova sfida ripartendo da zero o quasi”.
I pionieri del settore
Altro pioniere è Alessandro Calari, che partecipò alla creazione del primo rene artificiale. Anche lui fondò la sua prima azienda nel 1962, la Falmar, con cui creava la prima linea completamente transistorizzata di monitor per terapia intensiva. Realizzò “la prima protesi mioelettrica di mano nel 1964. In 42 anni, ho depositato un centinaio di brevetti”, ricorda con orgoglio.
Come un sasso lanciato nello stagno, dall’azienda di Veronesi ne scaturirono altre, perlopiù nate dal desiderio dei dipendenti più audaci e ambiziosi di mettersi in proprio.
Questa è un’area ad alto tasso di resilienza e ne ha dato una duplice prova. Si è dimostrata reattiva nella fase pandemica, con un export che nel 2021 è cresciuto dell’11,8%, superando anche i valori pre-Covid. Ancor prima, nel maggio 2012, quando l’area veniva colpita da due forti scosse di terremoto. Il sisma spazzava via stabilimenti e vite umane. Però si ripartì subito, addirittura fra la prima e la seconda onda sismica, a testa bassa e senza lamenti. Già nel 2015 si raggiungeva il +29,1% per l’export, dato superiore a quello registrato prima del sisma. Veniva inaugurato anche il Tecnopolo Mario Veronesi (Tpm), laboratorio di ricerca dove vengono incubate idee, saperi e competenze nel biomed, biotech e nanotech, trasferendo tecnologia dal laboratorio all’azienda.
Il distretto si misura però con un problema quotidiano. Qui si corre “il rischio di rimanere isolati per mancanza di infrastrutture adeguate: non abbiamo un casello autostradale vicino, per esempio”, spiega Alberto Nicolini, di Mirandola, dove è consulente d’impresa da 44 anni e imprenditore da 36. “Tutto ciò”, continua, “grava sui costi di trasporto e ostacola le operazioni di attrazione di giovani tecnici dalle città vicine. Investiamo dai due ai tre anni in formazione per farli arrivare a un livello adeguato ai nostri standard. È però difficile trattenerli, tendono ad andare altrove, fiaccati dalle ore di pendolarismo spese lungo stradine tortuose”.
Campionesse di resilienza
• Eurosets
È stata fondata nel 1991 a Medolla da Pietro e Vanna Vescovini, attivi nella produzione di componenti e semilavorati per conto terzi. Nel 1997 è finita sotto l’ombrello del gruppo ospedaliero Gvm Care & Research, iniziando a sviluppare i propri dispositivi nel settore della chirurgia ortopedica, di quella toracica e del wound management. Nel 2007 è entrata nel segmento cardiopolmonare con il primo dispositivo ossigenante per la circolazione extracorporea, utilizzato per gli interventi di cardiochirurgia open. Nel 2019 ha lanciato ECMOLife, il primo dispositivo portatile in grado di sostituire temporaneamente le funzioni di cuore e polmone, e nel 2021 Colibrì, il sistema salvavita più leggero e trasportabile al mondo, per la rianimazione cardiopolmonare extracorporea (E-Cpr) in caso di arresto cardiaco, Ecmo e Mcs. Oggi è presente con filiali in cinque paesi, impiega 300 dipendenti nella sede italiana e nel 2022 ha fatturato 50 milioni di euro.
• Gruppo Medica
L’innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti per la purificazione del sangue rappresentano da sempre il core business dell’azienda. Grazie alla controllata Tecnoideal, il Gruppo Medica copre il design, lo sviluppo di dispositivi medicali monouso e di macchine elettromedicali e la messa a punto delle tecnologie di automazione necessarie per la loro produzione.
• Hmc Group
Produce e commercializza su scala mondiale componenti e dispositivi medici a proprio marchio. La storia di Hmc ha preso il via nel 1997 con Giuseppe Bisi, da subito protagonista della nascita e del fiorire del distretto biomedicale. L’azienda ha mosso i primi passi nel commercio di componentistica, passando poi alla produzione stessa. La sua storia è stata scandita da continue acquisizioni (Premedical, Meditea, Vojmedical, Macosta, Medicina, Polymed, Dimar).
• G21
Fondata nel 2009, produce cementi ossei per le procedure ortopediche e mininvasive della colonna vertebrale. Collabora con oltre 45 paesi, ha una filiale a New York e un’altra a Città del Messico. Ha un portafoglio di prodotti propri (tra cui impiantabili a lungo termine e dispositivi medici di classe III) di cui detiene integralmente il know how e la tecnologia progettuale e produttiva, frutto di programmi di ricerca e sviluppo.
• Mold&Mold
È nata nel 1973 come officina specializzata nella progettazione e realizzazione di stampi ad alta precisione per materiali plastici. Il confronto con grandi gruppi nazionali e internazionali è stato la leva per aprirsi a nuovi mercati. Si è aperta così al biomedicale, ma anche alla cosmesi e al packaging alimentare, per esempio alle capsule per caffè. Questi i numeri: 7,3 milioni di fatturato, 48 addetti, 80 milioni di pezzi prodotti in un anno.
• Damitec
Nata nel 2000, si occupa di assemblaggio delle schede elettroniche e della progettazione di hardware e software nel campo biomedicale, automazione industriale, misure e controlli in agricoltura, ascensoristica. Gestisce completamente tutto il ciclo di sviluppo di un prodotto, dalla progettazione all’assemblaggio di prototipi e produzione finale, fornendo così un servizio completo che giunge fino alla riparazione delle parti. Per le scosse sismiche, il 20 maggio 2012 il capannone della Damitec veniva destinato alla demolizione. Si individuava immediatamente un’altra collocazione con trasferimento di macchinari. Il 29 maggio la seconda scossa fece crollare anche questa sede e soprattutto due dei macchinari più importanti, rendendoli inutilizzabili. Si è ricominciato per la terza volta.
• Aries
È stata fondata da Mauro Mantovani, vittima del sisma del 29 maggio 2012 che lo colse nello stabilimento: era lì per un sopralluogo, per far ripartire la produzione dopo le prime scosse di nove giorni prima. Ha pagato con la vita il desiderio di ripartire. Aries produce e commercializza dispositivi per infusione, trasfusione, nutrizione parenterale, prodotti specialistici e oncologia.
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