Ci uomini visionari che lottano per il loro obiettivo fino a quando lo raggiungono. Raúl Insa, fondatore e ceo di SOM Biotech, società di Barcellona, è uno di questi. Ha lavorato per oltre trent’anni nel settore farmaceutico, ma il suo sogno era aprire un’azienda che contribuisse a creare un mondo migliore. Grazie alla tecnologia AI ce l’ha fatta. Ora vuole espandere il suo business con finanziamenti dalla Silicon Valley, oltre che con il supporto di banche europee. “Siamo una delle poche aziende del settore che in un periodo di crisi come questo, dove non è sempre facile trovare fondi, è riuscita ad avere ricavi”, precisa Raúl.
Come ha deciso di lavorare in questo campo?
Da ragazzo ho avuto un incidente in motocicletta che mi ha fatto perdere una parte del pollice di una mano. In quel periodo ho avuto modo di passare diverso tempo in ospedale e ho deciso di diventare medico a soli 14 anni. Ho frequentato l’università di Alicante, in Spagna, laureandomi con un dottorato in neurologia clinica. Sono diventato medico, ma volevo lavorare come ricercatore. Il mio scopo è sempre stata la ricerca per aiutare i pazienti a un livello che, per me, era ancora superiore e mirava a risolvere i loro problemi alla base. Così ho deciso di prendere un MBA dall’ESADE Business School di Barcellona, perché volevo imparare anche a essere un imprenditore. Per lo stesso motivo ho seguito un Executive Education Program all’IESE di Barcellona. E, per approfondire la mia specializzazione nella ricerca nel mio campo come il mio ruolo nel mondo del business, sono andato negli Stati Uniti, a Boston. Qui ho seguito dei programmi di biotech leadership alla Harvard Business School. Per essere un buon leader sapevo che non bastava avere talento ed essere bravo. Dovevo sviluppare la mia esperienza nello sviluppo di farmaci, dalla loro identificazione alla loro commercializzazione, dalla ricerca clinica alla concessione di licenze.
Lei è un affermato ricercatore e professionista, poteva trovare molte opportunità nel settore corporate. Perché ha deciso di fondare la sua azienda?
Ho fondato SOM Biotech nel 2009. Di certo conosco molto bene il mondo corporate. Ho sviluppato molta esperienza in aziende farmaceutiche come Parke-Davis, ora Pfizer, UBC Pharma, Uriach Group, ora Palau Pharma, e ISDIN, ora Esteve Group. Sono stato coinvolto nello sviluppo di medicinali come Tacrine, Cetirizine, Quinapril, Levetircetam, Rupatadine, Dersalazine, Cimicoxib, Albaconazole, Gemfibrozil… Sono molto affermato nel settore e di certo fondare la mia azienda è stato rischioso. Ma volevo essere innovativo ed essere in grado di prendere le decisioni. Ho potuto creare SOM Biotech grazie a una nuova tecnologia AI che abbiamo sviluppato con anni di esperienza.
Come si differenzia SOM Biotech da altre aziende del settore?
In principio SOM Biotech è nata come una nuova start-up, costituita presso il Parc Cientific de Barcelona. Ho focalizzato la nostra attività sul riposizionamento dei farmaci o, per essere più precisi, sulla ricerca di un nuovo utilizzo per farmaci già approvati. In principio eravamo considerati più un’azienda farmaceutica che biotecnologica, ma ora ci siamo sempre più specializzati nell’identificazione di nuove applicazioni terapeutiche di farmaci noti, seguendo le tecnologie più avanzate. Abbiamo l’obiettivo di riprofilare i farmaci esistenti, grazie alla scoperta di un nuovo software tecnologico e un’eccellente piattaforma computazionale AI e sviluppando un ambiente aperto all’innovazione. La tecnologia che stiamo usando non era possibile prima, ma ora l’AI ha reso tutto più accessibile.
Avete anche deciso di focalizzarvi nel settore delle malattie rare e “malattie orfane”…
Sì, perché di queste malattie, che sono più di 7.000 e sempre in crescita come numero con le nuove ricerche mediche, solo il 5% ha un trattamento. Cerchiamo di essere anche competitivi sia nel prezzo che nella sicurezza e questo metodo operativo si è da subito rivelato vincente. La maggior parte delle persone affette da “malattie orfane” sono in pericolo di vita. Quindi c’è un urgente bisogno di trovare nuove cure. Il mercato globale delle malattie orfane è cresciuto fortemente all’11% negli ultimi anni e si prevede che raggiungerà i 217 miliardi di dollari nel 2024.
Perché avete deciso di venire in Silicon Valley a cercare investitori?
Siamo in piena espansione e sappiamo che il mercato americano è ottimo e molto più grande rispetto a quello europeo, dove gli investitori sono più cauti e restii negli investimenti. Inoltre la Silicon Valley e Boston sono i poli migliori al momento per il settore biotech, che è in genere in grossa espansione. In Silicon Valley ci siamo affidati a US Capital Global, che ha base a San Francisco, ma è pure presente in molti altri paesi nel mondo. Negli Stati Uniti abbiamo inoltre SFT Capital e in Europa CaixaBank. Abbiamo poi un ottimo consulente in Silicon Valley: Joaquim Trias, ceo di Attivare. Dopo un dottorato in biologia conseguito Barcellona si è specializzato all’università di Berkeley. È un grande imprenditore, che ha fondato diverse aziende biotech. È un incredibile professionista nella scoperta e sviluppo di nuovi trattamenti nell’industria biofarmaceutica.
In principio da dove sono arrivati invece gli investimenti?
Quando ho fondato la mia azienda ho investito il mio denaro, come quello di amici e familiari. Fino ad ora abbiamo investito oltre 20 milioni. Ero convinto che la tecnologia AI funzionasse e che sarebbe stata sempre più applicata nel settore medico. Abbiamo avuto fin dal principio un grande successo che ci ha permesso di assumere personale non solo in Spagna, ma anche a Parigi, Basilea, in Canada,… Siamo piccoli, ma abbiamo sempre avuto ricavi e abbiamo stretto accordi con aziende americane, come la Corino Therapeutics, o giapponesi, come la Nippon Chemiphar. Ora miriamo a divenire molto più grandi e, per questo, abbiamo deciso di diventare pubblici l’anno scorso.
Cosa la spinge ad avere tanta fiducia nell’AI?
So che ora tutti parlano di investire in AI e di sviluppare progetti e aziende con l’AI. Non era in realtà un campo tanto popolare quando cominciai a investirci io. E non tutto funziona nell’AI, anche noi abbiamo avuto i nostri fallimenti, ma quando si riesce ad applicarla nel modo giusto si ottengono risultati straordinari. L’AI sta cambiando il settore medico e il mondo. Ha già rivoluzionato il modo in cui vengono scoperti i farmaci. E SOM Biotech usa l’intelligenza artificiale per scoprire nuove indicazioni per i farmaci esistenti, riducendo i costi e i tempi necessari per portare sul mercato un farmaco efficace. SOMAIPRO, il nostro motore AI, è una piattaforma differenziata e convalidata clinicamente. È basata su algoritmi genetici, offre una predittività comprovata, riducendo i tempi di sviluppo, rischi e costi.
Quali sono stati finora i prodotti con cui avete avuto più successo?
Il SOM3355 ha dato di certo buoni risultati. Per la malattia di Huntington ci sono, al momento, solo due medicine approvate negli Stati Uniti e una in Europa. Miriamo ad ampliare le possibilità di cura, come abbiamo fatto con SOM0061 nel 2020 per combattere il Covid-19. Negli Stati Uniti collaboriamo molto con l’università del Minnesota, quella dell’Ohio e quella dell’Alabama. E tutte le nostre attività si sono rivelate vincenti. Le nostre attività di riproposizione di farmaci si concentrano su “malattie orfane” con elevate esigenze mediche non soddisfatte, elevati valori di mercato potenziali, elevata protezione normativa e di proprietà intellettuale. Il riutilizzo dei farmaci riduce significativamente i costi e i tempi di sviluppo degli stessi e rappresenta un mercato in crescita: attualmente è stimato a 317 miliardi di dollari.
Pensa di continuare a mantenere il quartier generale in Spagna?
Ho vissuto per un periodo negli Stati Uniti e sono aperto ad aprire anche uffici lì. Il sud dell’Europa è più economico per la ricerca e molto efficace in termini di qualità scientifica e talento.
Come vede il settore delle start-up e l’economia in Spagna?
In Spagna esistono molti “cervelli” e talenti. Nel settore medico e della ricerca molte importanti pubblicazioni sono spagnole. Molte aziende locali ci hanno aiutato e supportato, ma penso che troppi imprenditori spagnoli non siano ancora preparati per fare business fuori dalla Spagna. Questo è di certo un fattore che ci limita. È ancora difficile emergere qui nel settore biotech e sono convinto che gli imprenditori spagnoli dovrebbero fare molta esperienza anche all’estero per far crescere l’economia locale. Ma di certo sono positivo per il futuro e sono sicuro che la situazione migliorerà velocemente. Credo in una grande collaborazione globale di tutti i paesi a livello mondiale.
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