Leader

“Voglio raccontare storie affascinanti”: Christopher Nolan racconta Oppenheimer, il nuovo film sul padre della bomba atomica

Durante un film festival Christopher Nolan prende l’autobus, proprio come una persona normale. È capitato diversi anni fa al Sundance Film Festival a Park City, nello Utah, il festival del cinema indipendente creato e fondato da Robert Redford. A quei tempi era già famoso, eppure non si è mai curato troppo di quello che pensava la gente. Ha sempre continuato per la sua strada, fedele alla sua visione.

Il suo nuovo film, Oppenheimer, è sulla stessa lunghezza d’onda. Nolan è uno dei registi campioni d’incassi della storia del cinema e Oppenheimer non ha deluso le aspettative, con incassi per oltre 700 milioni di dollari al botteghino, a livello mondiale.

Christopher è un visionario e un innovatore. Geniale, con un taglio teatrale quasi shakespeariano, è la sua trilogia del cavaliere oscuro, con protagonista il supereroe Batman, interpretato da Christian Bale, con Batman Begins, Il cavaliere oscuro e Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Futuristi sono stati Inception, con una delle migliori interpretazioni di Leonardo Di Caprio, e Interstellar, con altrettanto straordinari Matthew McCoaughey, Jessica Chastain e Anne Hathaway. Spettacolare è stato Dunkirk, come molto ambizioso Tenet.

Come un grande direttore d’orchestra sa fare col suo team, in Oppenheimer Nolan è stato in grado di elevare ancora maggiormente tutte le sue esperienze precedenti in un concerto infinito di emozioni, sensazioni, riflessioni sul futuro dell’umanità, oltre che magnifici effetti spettacolari.

Oppenheimer racconta la storia del fisico J. Robert Oppenheimer, considerato il ‘padre’ della bomba atomica. Come è nata l’idea?

Mi sono ispirato al libro American Prometheus, di Kai Bird e di Martin J. Sherwin. Una biografia di 700 pagine che aveva vinto il premo Pulitzer e da cui ho ricavato una sceneggiatura, promettendo di rimanere il più possibile fedele a quella storia.

Oppenheimer mi interessava come personaggio per la sua complessità. Studiò ad Harvard, negli Stati Uniti, a Cambridge, in Inghilterra, e all’università di Göttingen in Germania, negli anni ’20, fino a che si distinse quando sviluppò un programma di fisica innovativo all’università di Berkeley, in collaborazione con il prestigioso California Institute of Technology.

Fu una figura chiave nella rivoluzione della fisica, che cominciò attorno al dicembre 1938, quando i fisici Lise Meitner e Otto Frisch scoprirono come un nucleo di uranio si potesse dividere in due. Prima, questo era ritenuto impossibile. Gli scienziati confermarono così che reazioni a catena di tali “fissioni” atomiche erano possibili e avrebbero potuto portare a un massiccio rilascio di energia, imparagonabile all’effetto che erano in grado di produrre tutti i precedenti esplosivi convenzionali.

Cominciò quindi la corsa per costruire una bomba atomica americana, prima che la Germania nazista potesse acquisirne una e la costruzione di un laboratorio segreto in una parte isolata del New Mexico, attirandovi i migliori scienziati.

Il film si svolge in buona parte proprio in questo laboratorio, dove venne sperimentata la prima bomba atomica…

Volevo indagare le personalità complesse e articolate di questi scienziati, al di fuori del puro lavoro, entrare nella loro psicologia e comprendere i motivi di un determinato comportamento. In particolare, ho scoperto come Oppenheimer non fosse solo uno scienziato, ma un uomo con interessi poliedrici, interessato alla poesia, alla religione orientale, alla psicoterapia, all’arte, a lunghe cavalcate nella natura, meglio se in compagnia di una delle donne che amava.

Per molti è stato considerato un eroe, per altri un uomo fragile e ambiguo, un’anima sensibile e tormentata, soprattutto dal punto di vista etico.

Oppenheimer finì anche nei guai, sospettato di essere una spia sovietica.

Negli anni ’30, in California, Oppenheimer aveva sviluppato delle amicizie nei circoli comunisti americani e socialisti, tra cui c’era perfino una sua amante. Questo non era insolito a molti intellettuali americani della sinistra che sentivano qualche legame con l’Unione Sovietica, soprattutto per quanto riguardava il suo sostegno al governo repubblicano nella guerra civile spagnola, contro i nazionalisti fascisti del generale Francisco Franco.

Oppenheimer continuò a proclamare che non era mai appartenuto al governo comunista, ma alcuni fatti destavano sospetti e così divenne oggetto d’indagine dell’Fbi, ancor prima di essere nominato direttore del laboratorio di Los Alamos. Dopo la guerra Oppenheimer, con altri scienziati, cercò anche di cercare di porre l’uso dell’energia atomica sotto un controllo internazionale, temendone l’effetto se utilizzata solo come arma. Divenne una sorta di celebrity, finendo sulla copertina di molte riviste, come direttore dell’Institute of Advanced Study a Princeton, fino a che fu messo sotto accusa.

Questo film è particolarmente attuale, di fronte all’attacco della Russia all’Ucraina e una guerra che fa temere di nuovo la minaccia nucleare.

Era da molti anni che volevo fare un film su Oppenheimer. È stata una scelta non certo facile perché, generalmente, la gente non ama parlare di armi nucleari. Ma ero teenager nei primi anni ’80 in Inghilterra, proprio nel periodo della Campaing of Nuclear Disarment, la protesta Greenham Common. Allora la minaccia nucleare era una delle paure più grandi per la nuova generazione. Mi avvicinai alla storia di Oppenheimer in quel periodo, grazie anche alla canzone Russians di Sting sui russi che parlava appunto dei loro “giocattoli mortali”.

Negli anni successivi, dopo diverse ricerche, ho scoperto che lui e gli scienziati del laboratorio di Los Alamos sapevano che c’era una minima probabilità statistica con il loro test sulla bomba atomica che l’aria del mondo potesse rimanere contaminata per sempre, e la vita sulla Terra essere distrutta, ma andarono avanti. E fecero in ogni caso quel test. Schiacciarono il pulsante che avrebbe potuto causare la fine di tutto. Fin a quel momento, nessuno, nella storia dell’umanità, aveva preso una tale responsabilità.

Avevo già evidenziato questo dilemma nel mio film precedente, Tenet, che si focalizza sul dilemma secondo cui, una volta qualcosa viene innestata, non si può tornare indietro. È un film fantascientifico: racconta di un ex agente della CIA che scopre un modo per viaggiare avanti e indietro nel tempo al fine di scongiurare una terza guerra mondiale, sapendo che nel futuro annienterà il mondo. Robert Pattinson, che è anche in quel film, mi ha regalato un libro sui discorsi di Oppenheimer, che mi ha spinto ancora maggiormente a indagare. In fondo, continuiamo a essere vittime della minaccia nucleare…

Tutti i suoi film sono filosofici: fanno riflettere sul senso dell’esistenza e pongono degli interrogativi. Con quale obiettivo?

Come regista e sceneggiatore, la mia missione è raccontare storie affascinanti, più che lanciare un messaggio. Inevitabilmente, però, nelle vicende dei personaggi si scoprono anche risvolti che portano a discutere e analizzare.

Per questo in Oppenheimer non si può di certo rimanere immuni davanti all’immenso potere dell’energia nucleare e porsi interrogativi sul suo utilizzo. È qualcosa che riguarda tutti noi, non solo chi ci governa o gli scienziati. Per questo, anche quando scrivo una sceneggiatura, so di non essere uno scienziato e mi rivolgo a esperti del settore per garantire autenticità alla storia. Ho collaborato con Kip Thorne, fisico del Caltech, per Interstellar e Tenet. Per Oppenheimer mi sono affidato all’esperienza degli scrittori di American Prometheus, Kai Bird e Marty Sherwin.

I suoi film esplorano spesso le minacce all’umanità. Cosa pensa dell’AI?

È un problema con cui, al momento, si sta confrontando la Writers Guild, l’associazione degli scrittori, di cui anch’io sono membro. Paradossalmente, mi pare anche che si riferisca al fenomeno Oppenheimer, perché si sta per rilasciare il potere di un’immensa tecnologia e non conosciamo esattamente le conseguenze.

L’AI per me dal punto di vista creativo offre degli interessanti strumenti, ma nulla può sostituire la creatività umana. In fondo, l’AI si basa principalmente sulla creatività umana del passato, su dati, mentre la mente umana è nella realtà davvero imprevedibile. Per questo non potrà mai essere sostituita. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .