Articolo tratto dall’allegato Small Giants del numero di ottobre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!
Terzo evento sportivo al mondo dopo le Olimpiadi e i Mondiali di calcio, due continenti opposti, un tifo da stadio e una buona dose di follia. Stiamo parlando della Ryder Cup, competizione internazionale di golf nata nel 1927 che ogni due anni contrappone Europa e Stati Uniti.
L’Italia ha ospitato l’edizione 2023, che si è tenuta dal 29 settembre al primo di ottobre presso il Marco Simone Golf & Country Club a Guidonia Montecelio, in provincia di Roma. Un’edizione, quella di quest’anno, all’insegna dell’innovazione, con una serie di strumenti digitali a disposizione degli atleti, come l’app previsionale Outcome Iq.
Ideata dalla società Capgemini, partner mondiale della competizione, ha offerto ai tifosi la possibilità di monitorare in tempo reale le probabilità di tiro, buca e andamento della gara tra team Europa e team Usa, oltre a stimolare le conversazioni tra gli spettatori migliorando la qualità dell’esperienza di fruizione.
Tra i vicecapitani del team Europa c’era Edoardo Molinari – gli altri sono stati il fratello Francesco, Thomas Bjorn, Nicolas Colsaerts e Josè Maria Olazabal. Già vincitore della competizione, il golfista ha raccontato l’evoluzione di questo sport in Italia, il business legato alla disciplina e i benefici delle nuove tecnologie per atleti e spettatori.
In Italia il golf viene considerato uno sport elitario. Qual è stato il contributo di una competizione come la Ryder Cup per un definitivo cambio di mentalità?
In Italia c’è un po’ questa etichetta, siamo uno degli ultimi paesi rimasti. In altre nazioni il golf viene considerato una disciplina che possono praticare praticamente tutti. Sicuramente la Ryder Cup è stato un passo importante in questo senso, c’era un ambiente molto simile a uno stadio di calcio e tante persone di diverse fasce d’età e nazionalità che sono venute a vederci da spettatori. Spero che tutto questo abbia fatto capire alla gente che non si tratta solo di uno sport d’élite.
Come detto, il golf viene considerato difficile e complesso. Come si è evoluta questa disciplina nel nostro paese?
Si è evoluto molto. Quando frequentavo le elementari ero l’unico a giocare tra i miei coetanei. Adesso invece sono sempre di più i ragazzi che si avvicinano a questo sport. L’età media si è abbassata e l’ambiente è completamente diverso. Bisogna far capire che giocare a golf costa meno rispetto ad altri sport più praticati. 20 anni fa servivano diverse migliaia di euro, le attrezzature costavano parecchio, mentre adesso c’è più scelta e si può spendere molto meno andando a giocare in un centro come tanti. Il problema è che prima c’erano solo circoli di alto livello. Al giorno d’oggi, con qualche centinaio di euro puoi giocare tutto l’anno.
Il cambiamento di regole ha contribuito ad accrescere il numero di spettatori e appassionati? Puoi farci qualche esempio?
Sicuramente sì. A inizio anni 2000 c’erano regole molto rigide da osservare. La prima era che per diventare socio dovevi avere almeno dieci anni. Oggi, invece, un bambino di tre o quattro anni può tranquillamente giocare a golf e stare con i suoi coetanei. Stessa cosa vale per l’abbigliamento: una volta dovevi giocare con un certo vestiario e non potevi permetterti di andare al campo con una t-shirt senza collo o senza maniche. Mi ricordo che quando ero in vacanza, da ragazzo, andavo a giocare a golf di sera per non far vedere il mio outfit. Erano tutte regole ereditate dal Regno Unito che sono rimaste invariate per molto tempo. Oggi per fortuna ci siamo aggiornati e non esistono più queste direttive.
La Junior League negli Stati Uniti e Love Golf nel Regno Unito rappresentano tentativi di inclusione e avvicinamento alle nuove generazioni. In Italia a che punto siamo?
Sui giovani, ad oggi, direi che siamo arrivati a un buon punto. Cinque o sei anni fa è nato un circuito di nome U.S. Kids Golf che organizza regolarmente gare tra ragazzi che vanno dai sei ai 12 anni di età. È stato organizzato in modo da far divertire i giovani fin da quando sono piccoli. Ricordo di aver giocato le mie prime gare sul campo per gli adulti per mancanza di altri spazi. In Italia purtroppo siamo ancora indietro a livello di strutture. Mancano iniziative come Topgolf, un gioco driving range con palline tracciate elettronicamente e unità con punteggio automatico, ma soprattutto campi pratica dove trattenersi anche dopo l’allenamento. All’estero, ad esempio, hanno costruito tante strutture con il ristorante a due passi. Luoghi di aggregazione, dove anche chi non è esperto può essere coinvolto e divertirsi. Inoltre, da noi ci sono pochi campi pubblici e se vuoi andare a giocare in una struttura devi diventare per forza socio. Negli altri paesi questo non accade: ti presenti e paghi per il tempo che giochi.
Il golf rappresenta una realtà economica molto importante a livello globale sia in termini di indotto generato sia per quanto riguarda l’engagement. Negli Stati Uniti questo sport ha un enorme impatto sull’economia, arrivando a generare 176,8 miliardi di dollari. Come è possibile colmare il gap con l’Italia?
Sicuramente da un lato bisognerebbe allargare il numero di praticanti, oggi siamo sotto i 100mila nel nostro paese. Basti pensare che in Norvegia, dove non è lo sport più popolare, su meno di 6 milioni di abitanti ci sono quasi un milione di golfisti. Bisognerebbe sfruttare molto di più il turismo. Da Roma in giù ci sono meno di dieci campi, troppo pochi per pensare di arrivare al livello degli altri paesi. In Andalusia, ad esempio, hanno costruito un numero incredibile di campi da golf negli ultimi anni. Qui ci sono quasi più spettatori stranieri che gente del posto. Nel periodo che va da novembre a marzo arrivano ogni anno migliaia di turisti da paesi come Germania, Svezia, Olanda e Inghilterra per giocare. C’è gente che addirittura si trasferisce a vivere in questi posti per sei mesi all’anno. Questo tipo di turismo diventa una fetta importante dell’economia.
Come può la tecnologia migliorare l’esperienza dei tifosi e che ruolo può avere nella vita quotidiana degli atleti?
Per quanto riguarda la parte dei tifosi e appassionati sono stati fatti passi avanti enormi. Basti pensare che fino a meno di dieci anni fa non potevi entrare con lo smartphone nelle manifestazioni più importanti. Oggi invece gli spettatori fanno foto, video e postano continuamente sui canali social. Nella Ryder Cup di quest’anno lo spettatore aveva a disposizione diversi strumenti a cui poteva accedere tramite telefono per un maggior grado di coinvolgimento. Ma la tecnologia ha aiutato anche noi atleti. L’app di Capgemini, ad esempio, è stata molto importante perché ci ha permesso di analizzare in tempo reale i dati della squadra. In questo modo siamo riusciti ad aiutare il capitano a fare le scelte corrette in termini di accoppiamenti e strategie durante la giornata.
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