Articolo tratto dal numero di dicembre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!
Rimettere l’uomo al centro. È l’approccio che caratterizza il fenomeno della human centric innovation o industria 5.0. Questa si basa su tre pilastri fondamentali: automazione avanzata, collaborazione uomo-macchina e sostenibilità.
Il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha annunciato uno stanziamento di 12 miliardi di euro in due anni per lo sviluppo dell’industria 5.0. Riuscirà il nostro Paese a rimanere al passo di questa nuova rivoluzione tecnologica?
“Non so dire se siamo già in ritardo, ma certamente ci stiamo rendendo conto che l’innovazione non è solo una questione di tecnologia, ma anche di sociologia e di filosofia”, risponde Stefano Novaresi, amministratore delegato di Knapp in Italia.
Knapp e l’innovazione
Multinazionale austriaca fondata nel 1952, con un fatturato di 2 miliardi di euro è la terza azienda al mondo per le soluzioni di automazione delle catene del valore. Un’impresa di questo settore non può certo rimanere indifferente di fronte ai nuovi paradigmi dell’innovazione.
“Ciò che contraddistingue l’industria 5.0 è che non può essere chiusa in un recinto di pura evoluzione tecnologica. Non è solo meccatronica, non è solo software, ma è un insieme di combinazioni. In questo senso richiamo la definizione elaborata dall’economista austriaco Joseph Schumpeter: l’innovazione è la ricombinazione in forme nuove di elementi già esistenti”.
Le parole chiave della human centric innovation
Per Novaresi le parole chiave della human centric innovation sono principalmente tre. “La prima è connessione, tra macchine, oggetti e persone, per creare un ecosistema digitale”, spiega. “In questo ambito operano le tecnologie che permettono ai dispositivi connessi a internet di interagire tra loro e di scambiarsi dati”.
La seconda è forse quella principale: la collaborazione tra uomo e macchine. “Automazioni, dispositivi digitali e software possono offrire supporto e assistenza all’attività umana in svariati settori, dalla logistica alla chirurgia”. Questi due concetti danno vita al terzo, il fine ultimo di ogni rivoluzione tecnologica: “Creare valore per la società e per l’economia sviluppando soluzioni innovative per bisogni nuovi o già esistenti”.
La principale tecnologia alla base della nuova rivoluzione tecnologica è l’intelligenza artificiale. Ma non è l’unica. “Un secondo elemento fondamentale è la robotica collaborativa, che aiuta l’uomo o lo sostituisce nelle operazioni più ripetitive e pericolose”, dice Novaresi. “Ci sono poi il cloud computing, l’internet of things, le reti di comunicazione 5G e lo sviluppo sempre più avanzato dell’automazione”.
L’approccio olistico di Knapp
Per fare sì che sia l’uomo a guidare lo sviluppo e l’utilizzo di tutte queste tecnologie è necessario avere un approccio olistico, che viene poi declinato in modo personalizzato dalle diverse aziende. “In Knapp viene interpretato a partire da una visione di insieme della catena del valore”, spiega Novaresi.
“Amiamo definirci value chain tech partner, quindi partner tecnologici della catena del valore, perché oggi fare automazione non significa soltanto inserire dei pezzi di meccatronica, ma rivedere completamente l’organizzazione e formare la giusta cultura nelle persone, che si trovano a operare in un contesto completamente nuovo”.
Emerge quindi anche un tema di formazione del personale. “Ma c’è un elemento ancora più intimo, che potremmo definire attenzione all’ergonomia. In qualsiasi sistema altamente automatizzato vi sono dei punti di interfaccia uomo-macchina che devono essere progettati con grande attenzione. In questo senso software specifici sono in grado, per esempio, di mappare i movimenti dei lavoratori e verificare che non provochino affaticamento o problemi fisici. Ma non solo. Esiste anche l’ergonomia di un prodotto digitale che si può tradurre in un’interfaccia ‘friendly’, di facile comprensione per l’utente”.
Le altre sfide della human centric innovation
La human centric innovation comporta inoltre numerose sfide dal punto di vista etico, come quella della privacy. “Tutti i sistemi tecnologici si nutrono di miriadi di dati che, anche se non vogliamo, disseminiamo durante la nostra esperienza online”. O ancora, l’impatto dell’innovazione sulla società e sul mondo del lavoro. “Se da un lato emergeranno nuove professioni, dall’altro alcune inevitabilmente scompariranno”.
Da questo punto di vista però Novaresi è ottimista: “Se parliamo di industria 5.0 significa che nella storia ve ne sono state altre, a partire dall’introduzione del vapore, arrivando fino all’informatica, passando dall’energia elettrica e dall’elettronica. In occasione di tutte le rivoluzioni industriali c’è sempre stato molto dibattito, fatto spesso di posizioni ideologiche che non sono mai l’approccio giusto per trovare soluzioni. Ma alla fine l’uomo è sempre stato in grado di governare queste transizioni e trovare dei nuovi punti di equilibrio. Sono convinto che ci riuscirà anche questa volta”.
Un nuovo umanesimo tecnologico?
Novaresi si dimostra molto sensibile al tema dell’innovazione e sente la responsabilità di introdurre le nuove tecnologie nelle aziende. “Penso che sia il ruolo di chi gestisce le imprese creare il giusto contesto culturale all’interno. Gli sviluppi organizzativi vanno apportati senza spaventare, ma anzi spiegando ciò che di positivo possono produrre. E su questo penso che ci sia ancora molta strada da fare”.
Per la human centric innovation, l’assunto più importante è che, come da definizione, l’uomo sia centro. “L’essere umano non è sostituibile, anche perché le grandi innovazioni derivano comunque da lui e quindi è sempre al centro per definizione”. Viviamo veramente nell’epoca dell’umanesimo tecnologico?
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