Smart working, lavoro agile, settimana corta, remote work. Sono alcune parole chiave del mondo aziendale di oggi che sembrano molto apprezzate dai dipendenti. Secondo una ricerca del 2023 di Assirm, associazione che riunisce le aziende italiane che svolgono ricerche di mercato, sondaggi di opinione e ricerca sociale, il 55% dei lavoratori italiani preferisce guadagnare meno, ma avere un giorno libero in più.
Le aziende – almeno quelle più lungimiranti – e i dipendenti hanno preso atto che il tempo è un bene prezioso ed è spesso correlato al benessere personale. Per alcuni dipendenti di Magister Group, una società multi-business con oltre 300 consulenti che offrono servizi sul mondo delle risorse umane, un giorno in meno a settimana al lavoro è “un dono”. Affermazione che deriva da un’esperienza vissuta. Grazie a un accordo di sperimentazione, dal 1 marzo 2023 tutti i dipendenti di Magister Group hanno iniziato la settimana corta: quattro giorni lavorativi a parità di salario. Una riduzione del 20% dell’orario, con la stessa retribuzione.
Il monitoraggio è stato affidato alla Sda Bocconi School of Management. Rossella Cappetta, associate dean open programs di Sda Bocconi e professoressa di organizzazione del lavoro, e Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro, hanno condotto questa ricerca di un anno.
L’organizzazione dell’esperimento
La scelta della giornata libera è negoziata fra il dipendente e il responsabile, conciliando esigenze organizzative e personali. Non tutti prediligevano il venerdì o il lunedì, che permettono di allungare il weekend: qualcuno apprezzava il mercoledì, per staccare a metà settimana. “Il responsabile di filiale, con l’aiuto dell’headquarter, si è occupato di stabilire i turni, cercando di venire incontro alle esigenze dei lavoratori”, spiega Del Conte. “Il supporto della sede centrale è stato fondamentale dal punto di vista organizzativo, perché non tutte le filiali, spesso di piccole dimensioni, avevano le capacità di gestire questi problemi di pianificazione”.
Cappetta ricorda che “Magister Group ha iniziato la settimana corta il 1 marzo 2023 e dopo quattro mesi abbiamo somministrato a tutti i dipendenti un questionario, con scale validate scientificamente, relative a tre tipologie di variabili: del lavoro (ad esempio, il grado di autonomia), sociali (ad esempio, l’intensità della relazione con i colleghi) e individuali (ad esempio, il grado di soddisfazione). Lo stesso tipo di strumento è stato usato anche nel febbraio 2024 per continuare il monitoraggio. Prima della distribuzione del questionario, abbiamo svolto un’analisi qualitativa, con un’osservazione di un mese e mezzo all’interno delle filiali, raccogliendo l’entusiasmo, ma anche i problemi. Quando abbiamo incontrato di persona i lavoratori, il linguaggio era positivo: esprimevano soddisfazione per la settimana corta”.
I risultati economici
In parallelo il team della Bocconi ha monitorato i dati economici di tutta l’impresa e quelli delle varie filiali, valutando soprattutto le vendite. “Uno dei gli indicatori chiave di prestazione dell’azienda è il numero di visite ai clienti”, dice Del Conte. “Si poteva temere che, poiché i dipendenti lavoravano quattro giorni invece di cinque, questo dato potesse diminuire. Quindi abbiamo tenuto sotto controllo tutte queste informazioni: da un lato i dati percettivi di soddisfazione, dall’altro quelli economici”.
Dalla valutazione è emerso che in Magister Group la settimana corta ha funzionato, perché i dati percettivi sono quasi tutti in miglioramento (anche a un anno dal lancio della sperimentazione le persone esprimono entusiasmo e sono più soddisfatte) e, allo stesso tempo, i dati economici hanno tenuto. In alcuni casi c’è stato addirittura un leggero aumento. Si deduce che c’è stato un aumento netto di produttività: nonostante i dipendenti lavorino il 20% in meno, l’azienda non spende di più, non ha dovuto assumere più dipendenti, ma risulta che le persone hanno organizzato meglio il lavoro.
Riprogettazione del lavoro e coordinamento
“Questi dati derivano da interventi specifici attuati in modo complementare alla riduzione dell’orario di lavoro”, precisa però Cappetta. “L’impresa è intervenuta per riprogettare le mansioni nella filiale, riprogettare l’organizzazione del lavoro e i meccanismi di coordinamento fra le filiali. L’intervento organizzativo, insieme alla riduzione del tempo di lavoro, ha portato risultati positivi. Ma bisogna dire anche che l’esperimento, a nostro avviso, va monitorato ancora a 18 e a 24 mesi, perché i comportamenti sedimentano in questo lasso di tempo”.
In 12 mesi, però, i dipendenti hanno quanto meno imparato a fare il giorno libero in più, continua Cappetta. “Nel primo periodo, per esempio, alcune persone passavano comunque dall’ufficio, si tenevano sistematicamente in contatto. Quindi abbiamo rilevato che a fare i giorni liberi si impara. La rilevazione di dicembre ha mostrato che, rispetto a luglio, le persone staccavano di più, lavorando solo quando necessario, a fronte di specifiche urgenze”.
Cappetta ritiene che la riduzione dell’orario di lavoro “non sia la soluzione per lavorare meglio: di per sé, può anche avere effetti negativi, aumentando troppo il ritmo di lavoro e riducendone la dimensione sociale. Lavorare meglio lavorando meno, invece, vuol dire cambiare l’organizzazione del lavoro e dell’impresa. In Magister, prima dell’esperimento, in queste filiali ognuno aveva una specializzazione, ma quando si è passati ai quattro giorni lavorativi, dato che il cliente poteva chiamare e non trovare la persona che cercava, perché magari aveva il giorno libero, hanno riprogettato tutto, con un minor grado di specializzazione, in modo che i dipendenti fossero più intercambiabili. E solo per la riprogettazione dei lavori e i meccanismi di coordinamento hanno impiegato un anno”.
Le differenze di genere ed età
Cappetta sottolinea un altro elemento: “Abbiamo anche chiesto ai dipendenti che cosa facessero nel giorno libero supplementare. Magister è un’impresa molto femminile, e molte lavoratrici hanno dichiarato di non avere un supporto nelle attività domestiche e, in alcuni casi, di doversi occupare direttamente di figli o persone anziane. Questo può creare una differenza fra uomini e donne. Se durante il giorno libero hai fatto attività totalmente ricreative o di svago, quando torni al lavoro ti senti carico e riposato. Se hai dedicato il giorno libero a occuparti della dei familiari, non sempre il risultato è lo stesso”.
Quando si adottano pratiche che sono assorbite in modo diverso a seconda delle persone, quindi, “bisogna fare attenzione a non creare iniquità. Gli uomini in remoto hanno lavorato meglio delle donne, perché nel nostro Paese la maggior parte dei caregiver è donna. Le donne, invece, lavorando in remoto si sono sentite spesso affaticate. Questo ha prodotto quella che gli americani chiamano permeability, cioè la percezione che la famiglia e il lavoro si permeassero a vicenda: i figli entravano nelle video call e il lavoro sembrava non finire mai”.
Lo studio, inoltre, ha evidenziato che i senior si sono adattati meglio alla settimana corta rispetto ai giovani, che a causa della mancanza di esperienza hanno avvertito una pressione maggiore. La loro è la categoria che durante il giorno libero è andata più spesso in ufficio, perché non è riuscita subito a organizzarsi per svolgere in quattro giorni il lavoro di cinque. Gli over 50, invece, hanno imparato prima.
Il lavoro agile nel futuro
Lo smart working, la settimana corta e tutte le altre forme di lavoro flessibile non funzionano per qualsiasi settore, ma devono adattarsi al contesto aziendale. A garantire il successo non è la formula innovativa in sé, ma l’impegno a identificare meccanismi di generazione di valore per le persone e per l’azionista. Questi meccanismi sono di molti tipi e non sempre attengono al tempo di lavoro.
Cappetta evidenzia che “esistono imprese con sistemi di partecipazione dei lavoratori molto consolidate. Nei gruppi tedeschi si ha la presenza dei lavoratori in tanti organi di governance. Non sempre bisogna scegliere il lavoro agile per generare maggiore valore per i dipendenti. Penso, per esempio, al corporate welfare: l’assistenza sanitaria, gli asili, ma anche la palestra. Ci sono tante leve, ma le aziende devono saperle usare. Questo significa avere responsabili delle risorse umane competenti, che sappiano comprendere i bisogni delle risorse e che sappiano gestire numerosi strumenti tutti insieme, adattandoli ai diversi contesti. E non bisogna immaginare risposte stereotipate, come pensare che le donne e i giovani desiderino l’asilo. In Italia ci sono contesti in cui si apre un asilo aziendale e non ci va nessuno, perché i dipendenti sono giovani, ma non hanno figli. Il mondo è in evoluzione”.
Un elemento che rende soddisfatto il dipendente è la crescita professionale e personale. La persona, però, deve adeguarsi ai tempi: più è abituata a formarsi, meglio reagisce ai cambiamenti. Questo le permette di adattarsi più velocemente anche al lavoro remoto e alla settimana corta. Il lavoratore, inoltre, deve avere capacità gestionali e capacità manageriali, perché i quattro giorni e il lavoro remoto obbligano a un’organizzazione diversa.
Alla fine, queste forme di lavoro alternativo hanno aiutato la crescita professionale? Le donne in remoto stanno facendo la stessa carriera degli uomini? Cappetta sostiene che “gli uomini in remoto continuano a fare molta carriera, per le donne vedremo fra cinque anni se non è stato un fattore di blocco. La verità è che, quando si introducono strumenti nuovi, bisogna continuare a monitorarli. Soprattutto per studiare le differenze tra le categorie: uomini e donne, giovani e senior. Gli strumenti che creano differenze fra i soggetti non devono diventare iniqui”.
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