Articolo apparso sul numero di luglio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
Circa 5.800 dipendenti distribuiti in 21 paesi, con ricavi per oltre 2 miliardi di euro. Tutto grazie a una strategia di investimenti mirata alla crescita, all’impegno costante in ricerca e sviluppo e alla profonda conoscenza dei mercati e dei settori di business. Era il 1919 quando l’allora 32enne farmacista marchigiano Francesco Angelini, insieme a due soci, costituiva una società per la produzione e la vendita di medicinali con sede ad Ancona. Negli anni, poi, investimenti vincenti, lungimiranza imprenditoriale e competenze manageriali hanno portato la farmacia a trasformarsi nell’Angelini Industries di oggi.
A testimoniare il suo successo ci sono altri dati: nel 2023 il bilancio consolidato ha registrato un aumento di oltre il 7% dei ricavi complessivi, che hanno toccato quota 2,204 miliardi di euro, a fronte dei 2,057 del 2022, mentre è salito del 19,2% il margine operativo lordo. Dal 2020 a guidare il gruppo c’è la quarta generazione di imprenditori, con Thea Paola Angelini e Sergio Marullo di Condojanni, il ceo, che ci ha raccontato il presente e il futuro del colosso italiano.
Angelini Industries sta registrando una crescita continua. Come vi state muovendo nei diversi mercati?
Siamo presenti in tre aree di business: la salute, la tecnologia industriale e i beni di consumo. Negli ultimi anni ognuno di questi business ha registrato una crescita. Ci muoviamo in maniera diversa in ogni ambito. Nella salute, con Angelini Pharma, abbiamo tracciato due linee strategiche fondamentali: da un lato consolidare il posizionamento nei farmaci a prescrizione e da banco; dall’altro investiamo nel sistema nervoso centrale, area in cui abbiamo finalizzato l’acquisizione di un farmaco per l’epilessia che ci sta dando molta soddisfazione. Per quanto riguarda la tecnologia industriale, stiamo investendo con decisione nella parte di robotica e automazione, un settore che cambierà moltissimo le modalità con cui si movimentano le merci e si gestiscono stabilimenti e magazzini. Infine, nei beni di consumo, Fater, la joint venture paritetica che abbiamo con Procter & Gamble, ha una crescita stabile e costante. L’obiettivo è mantenere la quota di mercato.
Nell’ambito della salute mentale, qual è, in dettaglio, la strategia di Angelini Pharma?
I dati mostrano chiaramente che sempre più persone hanno disturbi di questa natura. In particolare i giovani, che hanno risentito molto dei disagi post pandemia. Non parlo quindi solo di patologie neurodegenerative, ma anche della depressione o di patologie più severe, come l’epilessia. Nella brain health investiamo da sempre: siamo un player molto riconosciuto nei farmaci per la depressione, per i disturbi bipolari e la schizofrenia. Recentemente abbiamo aggiunto alla nostra offerta anche un farmaco per l’epilessia, una molecola davvero innovativa: è quella la linea di sviluppo su cui ci siamo concentrati e ci concentreremo nei prossimi anni. Siamo anche molto impegnati nel combattere lo stigma sociale che accompagna le patologie e i disturbi del cervello. Anche perché, spesso, chi ne soffre se ne vergogna, e quindi non si cura.
Per quanto riguarda la guida dell’azienda, cosa è cambiato da quando è diventato ceo?
Ciò che ha caratterizzato questi anni è la riforma della governance aziendale, un processo che ci rende particolarmente orgogliosi. Siamo passati dall’essere un’azienda tipicamente familiare, con tutti gli aspetti positivi ma anche i limiti del caso, a essere allineati con le migliori pratiche di corporate governance. Non siamo quotati, ma potremmo quotarci anche domani, perché rispettiamo i requisiti legati all’indipendenza del consiglio di amministrazione, alla procedura di reclutamento dei manager, ai piani di successione e all’incentivazione del talento. Proprio su questo ultimo punto abbiamo lanciato una corporate academy che investe sulla formazione, creando il giusto mix tra attrattività del gruppo, allineamento con il mercato e chiari percorsi di crescita.
A proposito di crescita, cercherete di raggiungere i vostri obiettivi affidandovi solo a risorse interne o pensate a possibili partnership?
Uno dei grandi vantaggi ereditati dalla gestione precedente è stata la solidità dei conti. Negli ultimi quattro anni abbiamo investito oltre 800 milioni, e non ci fermeremo qui. È chiaro che, nell’ottica di una governance moderna, ci si può confrontare anche con investitori esterni. Non bisogna avere paura di aprire il capitale, anche se, ovviamente, sempre a un socio di minoranza. Angelini ha un disegno industriale chiaro e per realizzarlo dobbiamo restare al controllo.
Uno degli strumenti per la crescita del gruppo è Angelini Ventures. Che cos’è e di che cosa si occupa?
Angelini Ventures è un fondo con 300 milioni di capitale, che investe in biotech e in medtech. Investe in startup in una fase early e non necessariamente nelle aree terapeutiche in cui è già presente Angelini Pharma. Con Angelini Pharma sarebbe più complesso valutare aree terapeutiche diverse da quelle core, ma, grazie al nostro venture capital, abbiamo spazio per osservare i fenomeni e le innovazioni nei diversi settori ed eventualmente investirci.
Angelini è una delle famiglie imprenditoriali più note d’Italia. Che ruolo avranno, secondo lei, le dinastie come la vostra?
Se sapranno evolversi, le famiglie imprenditoriali, soprattutto quelle italiane, avranno ancora un ruolo importante. L’azienda familiare, o con una famiglia come azionista di controllo, può permettersi quello che le public company non possono fare: non guardare ai risultati del trimestre, ma investire nel lungo periodo e accettare anche un paio di anni di contrazione del margine, se questi consentiranno un’innovazione dirompente in futuro.
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