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Food & Beverage

Dall’idromele ai grani turanici: 5 sapori antichi che stanno riemergendo

Spesso nella comunicazione del settore enogastronomico è prassi utilizzare a scopi commerciali la parola “antichi”. L’idea dei sapori di una volta, prima della modernità, della meccanizzazione dell’agricoltura e della chimica infatti ci attrae moltissimo, dandoci l’idea di qualcosa di genuino.

La riscoperta dei sapori antichi

Ma c’è un livello ulteriore di viaggio nel tempo tra i sapori che sta sempre di più incuriosendo ed affascinando esperti e golosi, che è quello dei cibi, le bevande o le ricette considerate per lungo tempo archeologiche, ovvero testimonianze di culture ormai scomparse o dimenticate, e che ora tornano in gloria ricreate da cantine, chef o distillerie. Abbiamo selezionato per voi cinque sapori lungamente dati per persi e oggi resuscitati, per un viaggio nel tempo gustativo.

L’idromele: la bevanda degli dèi

Tra i più antichi fermentati mai creati dall’uomo troviamo l’idromele, una bevanda a base di miele e acqua, nota come “nettare degli dèi”. Già in uso presso civiltà antiche come i Greci, i Romani e i Celti, l’idromele era apprezzato per le sue qualità inebrianti e sacre. L’essenza di questo prodotto è data da una mescita fra acqua e miele, per ottenere la fermentazione alcolica.

In epoca antica era simbolo di immortalità. Nel Medioevo era uso donare alle coppie di novelli sposi una quantità di idromele sufficiente per una luna (un mese), questo avrebbe favorito la fertilità e la procreazione, in particolar modo per la nascita di un erede maschio.

Oggi, grazie a produttori come Essentiae Lunae, l’idromele sta conoscendo una nuova primavera. Questo piccolo produttore italiano si dedica alla creazione di idromele utilizzando tecniche tradizionali, ma con una sensibilità moderna, offrendo un prodotto che coniuga storia e gusto contemporaneo. L’idromele di Essentiae Lunae si distingue per la sua delicatezza, per la sua produzione viene utilizzato miele millefiori della Lunigiana e acqua sorgiva delle Apuane; il miele viene disciolto in acqua in debite proporzioni e il mosto ottenuto, posto a fermentare in fusti di acciaio per il tempo necessario a raggiungere la gradazione alcolica desiderata. Caratterizzato da una straordinaria delicatezza e una raffinata dolcezza, accompagna formaggi, frutta secca, dolci e cioccolato fondente ed è ottimo da meditazione.

Garum: il condimento dell’Impero Romano

Nell’antica Roma, uno degli ingredienti più apprezzati e utilizzati era il garum, una salsa di pesce fermentata che veniva aggiunta a numerosi piatti per esaltarne i sapori. Oggi, il garum è quasi scomparso dalle nostre tavole, ma la sua riscoperta si inserisce in un più ampio movimento di recupero delle tecniche fermentative antiche. Sebbene il processo di produzione del garum possa sembrare arcaico, con le sue lunghe fermentazioni e, alcuni chef e produttori lo stanno riportando in auge come condimento umami per arricchire le pietanze moderne.

Ad esempio un maestro in questo è Edoardo Tilli di Podere Belvedere che lo usa per produrre un insaccato che  definisce  “violino” di pecora vecchia di 8 anni, macellata in lattazione. Solitamente i prosciutti o violini di pecora o capra vengono realizzati senza pelle con una salatura diretta, processo che porta la carne a diventa secca e scura. Nella sua preparazione invece lo chef depila la coscia, quindi la lascia immersa in un Garum di Pecora. Solo dopo procede ad una salatura di contatto del 15% (a differenza del 100%) per 8 giorni per poi asciugarla e stuccarla con il suo grasso. La pecora vecchia espone a livello gustativo una più netta complessità, il fatto della lattazione arricchisce di sentori di latte e formaggio la carne. Rimarrà morbida e fermenterà, dando profondità, complessità gusto e emozione, riportando in nuove produzioni questa tecnica ancestrale.

I grani turanici: un cereale antico per la tavola moderna

Il grano turanico è una varietà antica di frumento, le cui origini risalgono a migliaia di anni fa nella regione della Turania, che si estendeva tra l’Asia centrale e il Medio Oriente. Coltivato fin dall’antichità da popolazioni nomadi e contadine di quelle aree, questo grano ha attraversato i secoli mantenendo intatte le sue caratteristiche genetiche, resistendo così alle selezioni e manipolazioni che hanno invece modificato i grani moderni. Dopo un lungo periodo di oblio, è stato riscoperto negli ultimi anni grazie al crescente interesse per le colture tradizionali e resilienti, con un focus sulla qualità nutrizionale e ambientale. Considerato un “grano ancestrale”, è apprezzato oggi per la sua capacità di prosperare in condizioni climatiche difficili e per il suo contributo alla biodiversità agricola, mantenendo vive tecniche di coltivazione sostenibili.

Il Pastificio Mancini ha riscoperto questo grano, che un tempo cresceva spontaneamente nelle zone montuose dell’Asia centrale, integrandolo nella propria produzione di pasta artigianale. La linea di pasta di grani turanici di Mancini celebra la biodiversità e le qualità organolettiche di questo grano, caratterizzato da un sapore più rustico e una consistenza robusta, che si sposa perfettamente con condimenti corposi. Grazie a queste antiche varietà, la pasta torna a essere un alimento che non solo nutre il corpo, ma anche la memoria storica.

I vini prefillossera: un salto indietro nel tempo

La fillossera (Daktulosphaira vitifoliae) è un insetto parassita che ha causato una delle più devastanti crisi nell’agricoltura vitivinicola mondiale nel XIX secolo. Originaria del Nord America, questa minuscola afide attacca le radici delle viti, causando il progressivo deperimento della pianta. La fillossera giunse in Europa intorno al 1860, portando alla quasi totale distruzione dei vigneti, in particolare di quelli coltivati con vitigni europei (Vitis vinifera), che si rivelarono estremamente vulnerabili. La soluzione che permise di salvare la viticoltura europea fu l’innesto delle viti europee su radici di viti americane, naturalmente resistenti al parassita. Questo evento segnò un punto di svolta per la viticoltura moderna, dando vita a una pratica che ancora oggi viene utilizzata nella produzione vinicola. Tuttavia, esistono ancora pochi vigneti che sono riusciti a sopravvivere a questa crisi, ed è da questi che nascono i cosiddetti “vini prefillossera”.

Un esempio eccellente è rappresentato dai vini di Palmento Costanzo, prodotti sull’Etna da antichi ceppi che non sono mai stati attaccati dal parassita. Questi vini rappresentano un autentico ponte con il passato, offrendoci la possibilità di assaporare un vino che conserva intatte le caratteristiche organolettiche delle uve coltivate prima del disastro fillosserico, migliorata ulteriormente dal fatto che Il terroir vulcanico dell’Etna conferisce a questi vini una struttura complessa.

Grappa Proibita

Come già detto per salvare il vino in Europa per un periodo si sono sostituite le  piante del Vecchio Continente con viti americane ibride, come la Vitis Riparia e la Vitis Lambrusca,. Sebbene la qualità di questi vini fosse inferiore, riuscirono a dare respiro a un settore in ginocchio. Tuttavia, nel 1936, il regime fascista proibì la coltivazione di queste viti a causa dei rischi legati alla produzione di alcol metilico, tossico per la salute. Questo divieto, ribadito anche in epoca repubblicana e confermato dall’Unione Europea, è ancora in vigore oggi, sebbene la coltivazione clandestina per uso familiare resista in alcune zone. Un esempio di questa resistenza è la provincia di Vicenza, dove il Clinto, o Clinton, è ancora prodotto in segreto.

Questi vitigni americani sono diventati una parte radicata della tradizione contadina, e Marco Schiavo, distillatore della storica Distilleria Schiavo di Costabissara, è uno dei pochi a sfidare apertamente la legge. Se infatti il vino è potenzialmente pericoloso, assolutamente non lo è la grappa, e Marco ha scelto di continuare la produzione di una grappa ricavata da queste viti, che ha ribattezzato “La Proibita”, proprio per la sua natura illegale.

Questa grappa, distillata con vinacce di viti americane, non può essere legalmente venduta come “grappa di Clinto” secondo la normativa italiana, ma Schiavo ha trovato un modo di continuare la tradizione senza violare le leggi, descrivendola come ottenuta da “uve nere della tradizione contadina”. Questa produzione, pur rischiosa, è vista come un atto di disobbedienza civile e un tentativo di preservare il sapore autentico della grappa di un tempo. Schiavo non vuole solo garantire un prodotto di qualità, ma anche salvaguardare una tradizione che rischia di andare perduta.

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