POSTIGNANO
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Gennaro Matacena, l’artefice del risanamento di un borgo umbro disabitato dal 1963

Sono 6.000 i borghi italiani in stato d’abbandono. Così secondo l’Istat che ha passato in rassegna i luoghi fantasma il cui tramonto, e talvolta qualcosa di più, immalinconisce noi italiani, poiché pezzi di storia che si sbriciola, mentre è motivo di fascino per i turisti, specie d’Oltreoceano, dunque sprovvisti di lunghe tradizioni. Fa fede il New York Times che regolarmente ne scrive in termini di mete imperdibili.

Fra i due estremi, lo struggimento improduttivo e la magia che promana un sito remoto, c’è chi si industria per recuperare o almeno ravvivare tanta storia e dove il sogno, la follia e lo slancio imprenditoriale sconfinano l’uno nell’altro. Così è risorto Monteverdi Tuscany, a Castiglioncello del Trinoro, grazie all’iniziativa e a dollari a cascata dell’americano Michael Cioffi; così rinacque Castiglion del Bosco, a Montalcino, su sprono di Massimo Ferragamo che poi ha venduto la tenuta nel 2022 a un family office, pare che la “family” sia quella dell’emiro del Qatar.

Così è rinato anche Castello di Postignano, in Umbria, tra Foligno e Spoleto: un grappolo di case medievali costruite l’una sull’altra, salde alla collina, con botteghe e una chiesetta con affreschi del Quattro e Cinquecento. Un affastellamento di case-torri da quadro cubista. Negli anni Novanta la guida del Touring ne scriveva in termini di ruderi, ora è luogo in parte di residenza, con unità ancora in vendita, e in parte di turismo poiché convertito in hotel diffuso.

L’artefice del progetto

È inoltre un gran contenitore di arte, con mostre di fotografia e di quadri, incontri letterari e un festival musicale che ha la direzione artistica di Luigi Piovano, primo violoncello dell’Orchestra di Santa Cecilia di Roma e direttore d’orchestra. Perché “va bene rimettere a posto le pietre, però poi bisogna dare un’anima a un borgo non più abitato da contadini e da artigiani; tale funzione è perfettamente assolta dalla cultura”, spiega Gennaro Matacena, l’artefice del progetto.

Napoletano, classe 1945, Matacena è architetto e armatore di seconda generazione, guida la Caronte & Tourist, 5milioni di passeggeri l’anno, e la RA Consulting srl che progetta edifici moderni, restauri, musei, si va dall’Acquario storico e Museo del Mare di Napoli all’Università di Trieste, di Catania, Messina e di Napoli, dai Mercati di Traiano di Roma all’area archeologica di Saint-Martin de Corléans ad Aosta.

Postignano non è il borgo 5 stelle superior, un po’ finto-antico e un po’ finta-Italia, di quelli che piacciono ai billionaire di prima generazione. È un luogo autentico con residenti che assaporano le quiete del ritiro e turisti colti in cerca dell’Italia scrigno d’arte e di cultura, quella autentica, oltre i selfie al Colosseo e in Piazza San Marco di Venezia. Più che un borgo vetrina, è un luogo dove coltivare relazioni, con sale e salette di condivisione, spazi per lezioni di scrittura creativa e di cucina, e una sala da biliardo che è un tuffo negli anni Cinquanta.

I lavori di risanamento

La rinascita del luogo è talmente rocambolesca che merita d’essere raccontata. Nel 1992 Matacena s’imbatté in questo borgo disabitato dal 1963, le ultime otto famiglie dovettero sgomberare per un’ordinanza del sindaco intimorito dal rischio di crolli e smottamenti. Da quel momento, l’abitato venne ampiamente saccheggiato: via oggetti, manufatti ma pure stipiti delle porte se di legno pregiato. Ma l’imprenditore, con pazienza certosina e con l’aiuto di Matteo Scaramella, amico e collega, riuscì ad acquistare l’intero abitato superando le Colonne d’Ercole di 250 rogiti. A pochi mesi dall’inizio dei lavori, il terremoto del 1997 sbriciolava il luogo e con esso i sogni. Sfumava il progetto di partenza dell’acquisto-restauro-vendita di unità abitative, oggi una sessantina.

Che fare? Pondera e vaglia, vaglia e pondera, quindi la decisione di proseguire comunque. 2006, inizio dei lavori; 2013 consegna, secondo una ricostruzione filologica e ottemperante alle norme antisismiche al punto che il sisma del 2016 “non ha prodotto neanche una crepa” rammenta Scaramella.

“E dire che qui nel 1963 si viveva come nel 1663”, aggiunge Scaramella che nel corso dei primi sopralluoghi con gli ex abitanti, alla richiesta di indicare dove fossero i servizi igienici, vide un indice puntato verso la campagna: “Quello era il nostro bagno”, la risposta.

Il progetto rasenta la follia, ed è vero che “ci siamo lasciati prendere la mano più dal cuore che dal cervello”, ammette Scaramella, ma “ora il luogo è fruibile da tutti. Ripaga del lungo percorso fatto”, sottolinea Matacena. Senza contare che sono riprese le vendite degli appartamenti e l’hotel diffuso è definitivamente decollato al punto che un’altra struttura, questa completamente nuova, sta per essere realizzata.

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