L’avvocato Aldo Roveda ha tagliato il traguardo dei 70 anni di carriera. È l’occasione per fare il punto sui tanti cambiamenti intervenuti nella professione.
Alla luce dei 70 anni di esperienza professionale, c’è qualche figura che le è rimasta particolarmente impressa?
Voglio ricordare l’avvocato Cesare Degli Occhi (1893-1971), conosciuto agli inizi della mia vita professionale, un grande penalista, politico e monarchico, incarnando ciò che, in quell’epoca, corrispondeva alla figura dell’avvocato. Lo ammiravo perché era un penalista, ma si rifiutava di rappresentare – nei processi penali – la parte civile. Non avrebbe mai voluto tradire lo spirito e l’impegno del “difensore”. Ammiravo il suo atteggiamento coraggioso: era un contestatore in un’epoca di conservatori, un’immagine storica singolare. Da conoscere e ricordare.
Da giovane e praticante, fui affascinato da questa figura non retorica, che viveva la professione con un rigore tale da essere per me un vero e proprio maestro di vita. All’epoca, l’avvocato godeva di grande prestigio sociale: partecipava attivamente alla vita della polis, intrecciando economia e politica. Non voglio sostenere che questo ruolo sia venuto meno, ma in quell’epoca l’attività forense aveva sia aspetti formali che sostanziali forse anche raffrontabili al lavoro operaio prima dell’avvento della catena di montaggio, che alterò profondamente il rapporto umano con quello del lavoro.
Quanto è cambiata la professione nel tempo?
Tornando all’età giovanile, mi affascinava il modo in cui l’avvocato coglieva i mutamenti della vita del paese. Nessuno, meglio di un avvocato, poteva e può osservare quello che chiamiamo progresso. Forse perché, allora, l’avvocato operava in un contesto di vita più lento, caratterizzato da pochi cambiamenti. Oggi tutto è più rapido: ho iniziato con i verbali e le relative copie scritte a mano, poi sono arrivate le fotocopie, poi le registrazioni vocali. Cambiamenti, sì innovativi, ma che dovrebbero farci riflettere: non ogni novità è per forza di cose un miglioramento. E’ vero invece che, essere avvocati significa rimanere aggiornati, inseriti nella contemporaneità, pronti a fronteggiare i problemi del momento per offrire il miglior servizio ai nostri clienti.
Fino a pochi lustri fa, gli avvocati non potevano fare pubblicità; oggi marketing e comunicazione sono centrali. Secondo lei è un bene o un male?
Nel Dopoguerra e anche fino a pochi lustri fa la funzione dell’avvocato era ancora considerata sacra e l’arrivo dello studio (azienda) Pavia e Ansaldo rappresentava una realtà americana trasferita in Italia. Infatti, Pavia e Ansaldo introduceva la figura nuova dell’azienda nel mondo legale, un concetto nuovo per l’epoca.
Prima di diventare avvocati, seguivamo un percorso lungo e rigoroso: praticantato necessario (dopo la laurea), esame da procuratore e solo dopo quattro anni e dopo avere seguito una serie numerosa di cause, si diventava avvocati. La professione era accompagnata, come mi sembra di ricordare, da un’aura ancora di sacralità e che si è progressivamente trasformata.
In quel tempo si riteneva che per diventare avvocati fosse necessario provenire da famiglie ben accreditate. Ma, con il Dopoguerra, agevolati da nuove regole, giovani reduci vennero iscritti all’Albo degli Avvocati (senza o con semplificati esami), quindi senza sacralità alcuna di genere o provenienza.
Seguì anche una “americanizzazione” della professione, che provocò la perdita della sua sacralità (anche europea), soprattutto quando aprì a pratiche nuove come il marketing.
Non posso esprimermi in merito al fatto se sia un bene o un male perché credo che ciò faccia semplicemente parte della naturale evoluzione che la professione ha già subito e dovrà subire nel corso degli anni.
In chiusura torniamo al presente. Come restare innovativi a fronte di un mercato in continua evoluzione?
Ho il privilegio di essere ancora avvocato, of counsel, presso lo studio Mondini Bonora Ginevra e posso così osservare l’evoluzione della professione. Come aggiornarsi? Non esiste una formula precisa, ma credo fermamente che entusiasmo e dedizione siano fondamentali e necessari così come ogni altro impegno essenziale e dovuto a favore della vita nostra e del pianeta.
Affrontare la professione è come salire in montagna: la fatica è parte integrante del percorso. Non si tratta di sacrificio, ma di accettare lo sforzo come necessità. È nella fatica che risiede la bellezza del progresso.
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