Luigi Ferraris FiberCop
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Un manager dalla fibra forte: Luigi Ferraris racconta la sua nuova sfida alla guida di FiberCop

Articolo tratto dal numero di gennaio 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

È un top manager. Ma anche un servitore dello Stato. Luigi Ferraris, ad di FiberCop, la società che gestisce la rete in fibra ottica e rame nata dallo spin off di Tim, ha trascorso gran parte della sua carriera in importanti aziende private come la Price Waterhouse, dove ha iniziato, o la Piaggio di Pontedera ai tempi di Giovanni Agnelli Jr. Ma il percorso più intenso lo ha fatto in aziende di Stato passando, sempre in posizione apicale, da Finmeccanica a Enel, da Poste Italiane a Terna e a Ferrovie. Un esperto di infrastrutture, abituato a coniugare l’interesse degli azionisti con quello del Sistema Paese. Oggi guida un’azienda strategica per l’Italia, con un gruppo di azionisti italiani e internazionali tra cui il ministero dell’Economia con il 16% e poi il fondo Kkr che ha la maggioranza relativa al 37,8%, oltre al fondo sovrano di  Abu Dhabi Adia, il fondo pensione canadese Cpp e il fondo infrastrutturale italiano F2i. FiberCop è una startup con nemmeno un anno di vita ma con dimensioni da colosso con i suoi 20mila dipendenti, ereditati da Tim per portare avanti un progetto che vuol far crescere l’Italia e che prevede forti investimenti: 1,4 miliardi solo nel 2024, nei primi mesi di vita, e 12 miliardi di euro previsti nei prossimi cinque anni. Forbes ha intervistato Luigi Ferraris, ad di FiberCop, per capire dover può arrivare lo sviluppo digitale nel nostro Paese.

Quando si apre il sito fibercop.it, la prima cosa che viene fuori è che FiberCop è un abilitatore della transizione digitale. Che vuol dire?
Le infrastrutture sono fondamentali: per l’energia elettrica è necessaria un’infrastruttura che fornisca il kWh necessario. Per la connettività qualcuno deve trasmettere i dati o la voce. Questo è il ruolo dell’abilitatore. Come FiberCop siamo abilitatori perché gestiamo sia rete in fibra che rete in rame per comunicare e per accorciare le distanze. Sono convinto che l’utilizzo della fibra sarà ancora più rilevante per una comunicazione veloce, una gestione rapida di dati. Con 20mila persone, 150mila armadi  (cabinet) dislocati sul territorio, 25 milioni di chilometri di fibra già oggi disponibili, oltre 100 milioni di chilometri di rame, rappresentiamo l’ossatura del Paese nella gestione della multi-connettività. 

FiberCop è un’azienda giovane, quasi una startup, anzi una strartuppona, viste le dimensioni. Il vostro piano industriale cosa prevede?
(sorride) Siamo una grande startup di circa 20mila dipendenti con un’età media di 53-54 anni. Siamo nati da uno spin off di Tim, un passaggio storico nel panorama delle telecomunicazioni, con lo scopo di trasformare la rete di Tim, che era l’ex monopolista, in una rete autonoma e indipendente che diventa un operatore wholesale, quindi in grado di offrire connettività a tutti. Questo è un passaggio significativo che richiede adattamenti regolatori (ci sono dei passaggi che troveranno compimento nei prossimi mesi)  e organizzativi: dobbiamo sviluppare una struttura commerciale di vendita che non avevamo e creare nuove strutture di staff. Stiamo vivendo una fase di rinnovo, con l’assunzione di nuovi dirigenti giovani: ne abbiamo già assunti un cinquantina di alto livello per formare una struttura manageriale in grado di governare le sfide future. 

State inserendo nuove competenze?
Il nostro obiettivo è individuare le risorse interne da valorizzare. Quindi il primo passo consiste nell’integrare competenze laddove risultano carenti. Il secondo step, già in corso, è un processo di scouting interno per far emergere i più giovani che non hanno avuto l’opportunità di crescere e allo stesso tempo coinvolgere anche i collaboratori più esperti, in modo che si sentano inclusi e possano mettere a disposizione la loro esperienza. All’interno dell’azienda c’è tanto know-how che può essere sfruttato da un operatore indipendente non verticalmente integrato. La parola chiave non è più la vendita al cliente finale, sebbene importante, ma lo sono anche gli investimenti, lo sviluppo tecnologico e la capacità di diventare un abilitatore indispensabile al sistema. Pertanto, poniamo maggiore enfasi rispetto al passato sullo sviluppo della rete e sulla capacità di fungere da abilitatore. 

L’operazione con Open Fiber invece è un destino segnato oppure un’opportunità? 
La decisione di unire Open Fiber con FiberCop spetta chiaramente agli azionisti. Noi stiamo sviluppando un piano industriale on stand alone basis, come direbbero gli inglesi, cioè come operatori indipendenti senza considerare un’eventuale integrazione con Open Fiber. Questo ci permetterà di essere competitivi, efficienti e all’avanguardia anche per operare in presenza di altri competitor. 

Avete fatto molti progetti in Italia con i fondi Pnrr. Come sta andando? Siete riusciti a spenderli questi soldi, almeno voi? 
Sì, li stiamo spendendo, e stiamo rispettando pienamente i target fissati da Infratel, che è l’ente attuatore degli interventi del Pnrr. Siamo assegnatari della realizzazione della fibra ottica in sette lotti. Siamo in linea con i target: dobbiamo connettere 1,3 milioni di numeri civici, e siamo sostanzialmente a 600mila. Dobbiamo spendere 2,3 miliardi di euro e stiamo marciando secondo il cronoprogramma definito da Infratel. Quindi, a oggi, non ci sono criticità. 

Siete nati da circa un anno, ora il tempo di assestarsi, poi però dal 2026 bisogna correre. Cosa c’è all’orizzonte? 
Dopo il 2026 si continuerà finalmente a investire nello sviluppo della fibra in aree meno popolate. 

Con quali obiettivi? 
Oggi le performance della rete in rame sono già di ottimo livello, soprattutto quelle Fttc, che prevede la combinazione dei cavi in fibra ottica con quelli in rame. Sono quindi già in grado di soddisfare le esigenze di una famiglia tipo che usi una rete via cavo o abbia ad esempio una rete wi-fi. Tuttavia, è chiaro che la fibra ottica ha prestazioni superiori e in prospettiva dovremo sostituire tutto il rame con la fibra. Mantenere una copertura in rame può comunque essere saggio perché può fungere da backup per servizi essenziali in alcune aree, aggiungendo alla rete un elemento di ulteriore sicurezza. Nel mondo dell’infrastruttura la ridondanza è sinonimo di sicurezza, non di inefficienza. 

Tempi? 
Esiste un orizzonte temporale che va oltre il 2030, però è evidente che in prospettiva si deve sostituire sostanzialmente tutto con la fibra ottica. Ci saranno alcune aree che rimarranno connesse in Fttc, cioè con la fibra mista al rame, ma ci vuole un periodo di transizione. In Italia siamo già avanti rispetto ad alcuni paesi che utilizzano ancora il rame, ma per arrivare all’obiettivo ‘Zero’ ci vorranno diversi di anni.

La transizione digitale implica lo sviluppo di connettività e di data center sempre più sofisticati. Queste macchine consumano tantissima energia. Google parla addirittura di avere dei mini-impianti nucleari in prossimità di grandi centri di calcolo. È una sfida che dobbiamo raccogliere anche noi. State pensando di produrre energia in proprio? 
Tutto parte da una prima valutazione dei costi energetici dell’azienda. Il maggior consumatore di energia in Italia è Ferrovie dello Stato, seguita da Tim (comprendendo la nuova Tim, cioè la Serv-Co, e FiberCop), con un consumo annuo della rete di circa 1,9 TWh. L’attuale elevato consumo energetico rende necessaria una riflessione sullo sviluppo di impianti di autoproduzione per migliorare l’efficienza, la sicurezza nei consumi e ottenere benefici economici. FiberCop ha diecimila uffici centrali sul territorio. Con la progressiva dismissione del rame, ridurremo queste postazioni, perché la fibra non ne ha bisogno. Si libereranno degli spazi che potranno essere convertiti in luoghi in cui si possono ospitare data center e offrire connettività ed energia. 

Poi con l’avvento dell’intelligenza artificiale, il consumo di energia diventa un problema ancora più consistente.
Il tema dell’energia è fondamentale perché ormai il crescente utilizzo all’IA richiede un incremento esponenziale del consumo di capacità di calcolo ed energetica. La mole di dati che devono essere gestiti e la velocità di trasmissione determinano un aumento dei consumi energetici. Quindi nella nostra strategia dobbiamo pensare anche di avere una ‘gamba’ – che abbiamo avviato di recente – che si focalizzi sull’ autoproduzione di energia, sull’efficienza energetica e su una gestione energetica di alto livello, in linea con le nostre esigenze.

Quindi la capacità di calcolo ci porta dritti al tema dei data center…
Sì, torna il tema di data center, dell’edge computing. Il cloud ha i dati depositati in luoghi che non necessariamente sono di prossimità. Più si va avanti nella digitalizzazione, con l’uso di dati attraverso algoritmi e quindi con lo sviluppo di intelligenza artificiale, più si ha la necessità di disporre di questi dati in prossimità, per due motivi: perché se sono vicini, sono anche più rapidi nella trasmissione, e perché sono più facilmente gestibili. Attualmente si registra uno sviluppo significativo sui data center. Recentemente Amazon ha annunciato 1,3 miliardi di investimenti in data center in Italia; in Lombardia ne stanno nascendo parecchi. I data center sono luoghi dove vengono depositati dati e informazioni e che devono essere connessi a una rete.  In questo contesto dobbiamo giocare un ruolo da protagonisti come operatore infrastrutturale. Non costruiremo noi i data center, aziende specializzate lo faranno. Tuttavia, quando un data center entra nel nostro Paese, deve connettersi alla rete. L’ecosistema che ospita il data center può prevedere connettività, sviluppo di energia, gestione di spazi adeguatamente predisposti, dove noi possiamo dare il nostro contributo o direttamente o in partnership, con Tim o con altri operatori.

Parlavamo di un’iniezione di nuove competenze con 50 risorse manageriali importate dall’esterno. Quindi adesso parte una sfida manageriale perché queste persone vanno sostanzialmente formate e motivate? 
Non c’è dubbio. Sono entrate circa 50 nuove risorse con professionalità specifiche, per esempio nel settore delle vendite commerciali. Abbiamo una struttura tecnica interna, presente su tutto il territorio, che va valorizzata, ma per sviluppare l’attività commerciale abbiamo creato una squadra, e lo stesso è stato fatto nel settore finance e controllo. Stiamo acquisendo competenze esterne mancanti, perché con lo scorporo da Tim, che aveva 37mila persone di cui 20mila sono transitate in FiberCop, molte delle strutture di staff apicali sono rimaste in Tim. Senza dubbio c’è una grande sfida manageriale nel passare dall’essere un fornitore interno a diventare un’azienda stand alone sul mercato, che quindi ha un approccio diretto con gli stakeholder. Significa cambiare pelle. Questa trasformazione, con il passaggio dal rame alla fibra, la creazione di servizi a valore aggiunto innovativi, la capacità di progettare reti anche per distretti industriali al servizio della collettività e il supporto alla pubblica amministrazione richiede un importante cambiamento manageriale. 

A proposito di persone. Avete un piano nelle risorse umane per le pari opportunità? 
Purtroppo su questo fronte siamo piuttosto indietro, c’è da investire, come si fa in tutte le aziende che hanno a cuore uno sviluppo sostenibile. Sarà un’area dove ci ingaggeremo non solo assumendo, ma anche creando le condizioni, le infrastrutture. Bisogna fare in modo che anche la retribuzione non sia discriminatoria e che il tempo dedicato alla maternità o comunque alla famiglia sia opportunamente valorizzato. Ci stiamo lavorando, con dei programmi in corso, non è un obiettivo che si realizza in brevissimo tempo, ma fa parte delle nostre priorità. 

Oltre al Pnrr, c’è quest’altra parola magica: esg. Alla fine, porta dei vantaggi veri?
L’approccio esg è un modo di fare impresa orientato alla sostenibilità. Ritengo che non debba essere perseguito esclusivamente per i benefici che può comportare, ma per una questione di etica e filosofia aziendale, di valori in cui crediamo. Non è solo un tema di produzione di energia green, ma anche di sostenibilità sul lavoro, di attenzione alla diversità di genere. La cura verso i propri dipendenti e gli stakeholder rientra in un modello imprenditoriale più etico, più attento all’ambiente con cui interagiamo. Il rispetto del territorio è fondamentale. Dal punto di vista finanziario, ci sono parametri specifici con la riduzione delle emissioni di CO2 che è sicuramente un aspetto importante che può essere raggiunto attraverso un’ottimizzazione del consumo degli edifici.

Domandone finale. Come pensate di rapportavi alle nuove tecnologie satellitari come quella di Starlink? 
Venti o 30 anni fa si fa parlava del satellitare come potenziale alternativa al cellulare o al mobile ma, come abbiamo visto, si sono rivelati sistemi che non hanno avuto il successo atteso. Oggi stiamo parlando di sistemi che sono più vicini, non si tratta di satelliti geostazionari, ma di una costellazione molto importante che può offrire un servizio di connettività voce e dati a un numero limitato di utenti contemporaneamente. Pertanto, è una tecnologia che va guardata con attenzione. 

Quindi investirete?
Investiremo o faremo partnership, valuteremo attentamente; in ogni caso anche i sistemi satellitari devono operare in un contesto regolamentato. Devono esserci condizioni eque per tutti. La consideriamo una tecnologia complementare che può essere utilizzata in zone più remote.

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