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Effetto Trump: il piano di Friedrich Merz su difesa e infrastrutture per scuotere la Germania

Benché fosse già chiara la necessità di nuovi investimenti, in campagna elettorale il leader della Cdu Friedrich Merz ha seguito la tradizione dei conservatori tedeschi: oculatezza e poche promesse di spesa. Ma dopo la vittoria ha cambiato tono. È stato l’effetto Trump: la brusca riabilitazione di Putin, la minacce di dazi e l’appoggio esplicito del suo vice JD Vance all’estrema destra di AfD, un partito euroscettico e palesemente filoputiniano. Merz ha capito che le vecchie regole erano diventate obsolete. Si è accordato con i socialdemocratici (Spd) per un grande compromesso: più prestiti per la difesa, la priorità di Merz, e più prestiti per le infrastrutture, la priorità del centro-sinistra.

Nel momento della verità per l’Europa, la Germania prova a rilanciare una coalizione pragmatica che dà risposte per uscire dalla crisi. L’accordo, che dovrà essere approvato da due terzi del parlamento, prevede questo: escludere dal limite costituzionale del debito le spese per la difesa oltre l’1% del PIL e creare un fondo da 500 miliardi di euro per gli investimenti infrastrutturali. I mercati sembrano prendere sul serio la notizia, segno che il cambiamento è reale: i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi a lungo termine sono schizzati in alto – questo perché gli investitori cominciano a scontare un aumento del debito pubblico. Aumentano anche le quotazioni azionarie, trainate da settori della difesa e delle infrastrutture.

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In cifre

Il fondo da 500 miliardi dovrebbe avere una durata di dieci anni, esentato dal freno al debito. Si tratta ogni anno di una spinta leggermente inferiore all’1% del Pil tedesco, che non è cresciuto dalla pandemia, fiaccando la domanda in tutta Europa. La seconda proposta è focalizzata sul riarmo. Al momento Berlino spende per la difesa il 2% del Pil, il minimo richiesto dalla Nato, anche quella una soglia ormai considerata obsoleta. La maggior parte degli analisti crede che il nuovo target sarà attorno al 3% del Pil – un ritorno al passato visto che durante la Guerra Fredda i paesi europei spendevano nettamente di più. Il riarmo europeo è cominciato con molta cautela nel 2014, l’anno della prima invasione russa dell’Ucraina, per poi accelerare dal 2022, l’anno dell’invasione su larga scala. Il secondo mandato di Trump darà una scossa ulteriore.

La Germania è avvantaggiata perché parte da un indebitamento relativamente basso – circa il 62% del Pil. Ma l’ultradestra di AfD è contraria a qualsiasi allentamento delle regole sul debito, mentre l’estrema sinistra di Die Linke si oppone a una crescita della spesa militare. I due partiti controlleranno più di un terzo del nuovo Bundestag, abbastanza per bloccare la riforma: il freno al debito è una legge costituzionale e per modificarla ci vuole una maggioranza di due terzi. Quindi Merz deve portare la norma in aula prima che il nuovo parlamento si insedi, il 25 marzo. Il gigante tedesco si sta svegliando.

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Gli altri Paesi

In altri paesi la sfida potrebbe essere più complicata. Alto indebitamento, come in Francia e in Italia, significa meno spazio per prendere denaro in prestito. E ciò vuol dire che il riarmo andrebbe a discapito di altre spese, ad esempio investimenti nel welfare, che l’opinione pubblica preferisce. In Italia non sarebbe possibile una cooperazione come quella tedesca: il partito democratico, l’equivalente dell’Spd, è contrario ad aumentare la spesa militare. Ma anche a destra la Lega di Salvini potrebbe mettersi di traverso.

L’ultimo punto, quello più importante. La Russia di Putin è davvero così pericolosa? Senza gli Usa l’Europa non sembra ancora attrezzata per una guerra ad alta intensità. Mancano sistemi logistici, intelligence, difesa aerea, produzione di munizioni su larga scala. E gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto le funzioni di comando e controllo. In teoria la Russia ha una spesa militare inferiore di quella combinata europea. Ma a parità di potere d’acquisto in realtà spende di più.

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