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Cultura

Valorizzare il patrimonio culturale italiano: intervista al presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli

Il più grande tesoro d’arte del mondo. Un patrimonio inestimabile che può e deve alimentare l’economia anche in termini di lavoro e di impresa. Avviene realmente? L’Italia sta utilizzando adeguatamente questo patrimonio? Alla domanda risponde il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli.

L’Italia è la capitale mondiale dell’arte e della cultura. Per molti un Paese-museo.

Se prendiamo come riferimento una classificazione che è considerata un benchmark internazionalmente condiviso, nel 2024, con 60 siti su un totale di 1.223, l’Italia è stata il Paese più rappresentato nella lista del patrimonio mondiale Unesco, seguita da Cina (59) e Germania (54). Tra strutture pubbliche e private, il nostro Paese conta 4.416 musei, monumenti e aree archeologiche: abbiamo 1,5 strutture culturali ogni 100 km² e 0,7 ogni diecimila abitanti. Numeri che spiegano bene come il nostro patrimonio culturale si distingua da quello di tanti altri paesi: la diffusione è capillare sul territorio, e interessa non solo le grandi città d’arte, ma anche una quantità di piccoli centri. L’Italia, oltre a vantare un patrimonio museale ricco e diversificato, si distingue poi a livello mondiale anche per la straordinaria bellezza dei suoi paesaggi, per il valore artistico e architettonico dei centri urbani e per il patrimonio immateriale che questi esprimono: elementi che autorizzano a parlare di un patrimonio culturale diffuso. Attraverso una classificazione Istat sulla base della vocazione turistica potenziale, i comuni a vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica – escludendo le grandi città con turismo multidimensionale – sono caratterizzati dalla presenza di almeno uno degli elementi distintivi che segnano l’identità culturale del Paese. Questi comuni sono pari al 5,4% del totale di quelli italiani e ospitano circa 7,2 milioni di abitanti, vale a dire il 12,3% della popolazione nazionale. Includono siti riconosciuti come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, borghi certificati dall’associazione I borghi più belli d’Italia, bandiere arancione del Touring Club, aree inserite in un parco nazionale, comuni che sono stati capitale della cultura e quelli che hanno registrato almeno diecimila visitatori annui in musei, monumenti o siti archeologici.

Quali sono le ricadute economiche di questo patrimonio?

Siamo tra le nazioni leader in Europa, con 45mila occupati nel solo settore dei musei, delle biblioteche, degli archivi. Ma questo numero rappresenta appena il 5,5% del totale degli occupati nel settore culturale, che, secondo gli ultimi dati disponibili, è invece pari a oltre 825mila addetti. Questo dato dimostra la rilevanza dell’occupazione culturale italiana, che si estende oltre il settore del patrimonio e riguarda attività come le arti visive, lo spettacolo dal vivo, l’editoria e altro, collocando il nostro Paese al terzo posto, dopo Germania (1,7 milioni di occupati) e Francia (1,2 milioni). Nel 2022 il valore aggiunto generato solo dalle imprese private attive nel comparto ha superato i 29 miliardi.

Stiamo sfruttando adeguatamente questo tesoro? O c’è una questione di competenze manageriali necessarie per alimentare l’impresa culturale?

Il patrimonio museale italiano nel 2019 contava su circa 130 milioni di visitatori, un record di utenza. Il Covid ha prodotto una drastica diminuzione durante la pandemia: -37 milioni il primo anno e -49 milioni il secondo. Tuttavia il settore ha dimostrato una grande capacità di resilienza: nel 2022, con quasi 108 milioni di visitatori, si è registrato un significativo recupero, pur rimanendo al di sotto dei numeri pre-Covid, con una riduzione del 17% rispetto al 2019. E nel 2023 i soli musei statali hanno già segnato un nuovo record assoluto, con oltre 57,7 milioni di visitatori. Escludendo i Musei vaticani, tra i luoghi della cultura più visitati ci sono le strutture statali, come il Parco archeologico del Colosseo a Roma (12,3 milioni di visitatori nel 2023), il Pantheon (5,2 milioni), le Gallerie degli Uffizi di Firenze (5,1 milioni) e il Parco archeologico di Pompei (4,1 milioni), in grado di competere con i musei record mondiali di visitatori, quali il Louvre (8,9 milioni), il British Museum di Londra (5,8 milioni) o il Metropolitan Museum of Art di New York (5,4 milioni). Ma il patrimonio culturale italiano segue un modello diverso, meno centralizzato e più diffuso. Include anche centri e strutture piccoli e piccolissimi, spesso meno conosciuti, ma di grande valore, che complessivamente nel 2022 hanno accolto un pubblico di 6,3 milioni di visitatori. Quattro visitatori su dieci nel 2022 erano stranieri, a conferma dell’attrattiva internazionale del patrimonio culturale italiano.

Il Paese-museo ha bisogno di risorse infinite per mantenersi. Anche le imprese sono chiamate a dare un contributo. L’Art Bonus, per esempio, ha funzionato?

L’Art Bonus, un credito d’imposta per enti e soggetti che supportano il settore tramite erogazioni liberali in denaro, nel triennio 2021-2023 ha generato donazioni complessive per poco meno di 355 milioni. Al termine del 2023 i soggetti registrati sulla piattaforma dedicata all’Art Bonus, e dunque potenzialmente beneficiari delle risorse, sono 2.581 (+16% dal 2021). Oltre due terzi di questi sono enti pubblici (tra le categorie più rappresentate ci sono regioni, province, comuni e concessionari o affidatari di beni culturali di proprietà pubblica), mentre più della metà ha sede nelle regioni del Nord. L’impegno pubblico per la cultura e l’arte ha una dimensione ben maggiore: nel 2022 la spesa è stata di 8,9 miliardi. Questo ci ha messo al quarto posto nell’Unione europea per volume di risorse pubbliche dedicate, preceduti da Spagna, Francia e Germania.

La transizione digitale può alimentare valorizzazione e fruizione innovativa del patrimonio?

Il digitale sta cambiando profondamente non solo l’esperienza di fruizione del patrimonio culturale, ma anche la creazione di contenuti e la loro circolazione. Il settore, anche grazie alle risorse del Pnrr, si sta attrezzando per recuperare i ritardi. Nel 2022 meno di un terzo delle strutture espositive (il 31,2%) offriva video e touch screen per consentire ai visitatori di approfondire la conoscenza del patrimonio e acquisire informazioni autonomamente e in tempo reale e il 22,4% si era dotata di allestimenti multimediali che includono ricostruzioni virtuali e realtà aumentata, per offrire un’esperienza immersiva e coinvolgente, che arricchisce e rende innovative le modalità di fruizione e partecipazione culturale. Anche opportunità digitali come i Qr code, il bluetooth e il Wi-Fi si stanno diffondendo: il 27,5% delle strutture museali li usa per fornire informazioni aggiuntive durante la visita e interagire in modo dinamico e personalizzato. La digitalizzazione del patrimonio culturale è una delle priorità e oltre una struttura su quattro (il 26,7%) ha investito ed è impegnata in tale attività. Le opportunità di fruizione online sono inferiori rispetto all’attività on-site, ma, soprattutto dopo l’esperienza Covid, stanno crescendo. Il 17,8% degli istituti offre tour virtuali online, mentre il 12,3% propone visite guidate virtuali. Queste iniziative non solo contribuiscono ad ampliare le opportunità di accesso al patrimonio culturale, favorendo chi si trova distante fisicamente o ha difficoltà a spostarsi, ma permettono di raggiungere un pubblico più giovane e tecnologicamente esperto, che spesso cerca modalità di partecipazione più interattive e innovative. La presenza sui social è un altro elemento importante della strategia di valorizzazione del patrimonio culturale. Il 67,5% degli istituti museali ha un account sui principali social network per interagire in modo diretto e informale con il pubblico, condividere informazioni, eventi, curiosità ed esperienze legate al patrimonio culturale.

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