Gas, Trump, dazi
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Perché acquistare gnl dagli Stati Uniti potrebbe ammorbidire Trump sui dazi

Contenuto tratto dal numero di marzo 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

Quanto è serio Donald Trump nella sua guerra dei dazi? Qualcuno crede ancora che bluffi? In poche ore ha sospeso per 30 giorni le tariffe minacciate contro Canada e Messico, ma quelle nuove contro la Cina sono entrate in vigore. E nel giorno del Super Bowl ne sono arrivati di ancora più pesanti: +25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio. Per capire Trump bisogna tenere a mente due cose: crede che i dazi siano un mezzo per estorcere concessioni e favori (sia da paesi alleati che da rivali), ma è anche convinto che siano uno strumento utile di per sé.

Più dazi, secondo Trump, faranno più ricca l’America. Daranno impulso alla manifattura e aumenteranno le entrate federali. Tanto più che il governo americano ha bisogno di soldi. Il suo deficit nel 2024 era pari al 6,9% del Pil, ed è questo, secondo diversi analisti, il vero motivo per temere nuove tariffe. L’Europa è sulla linea di tiro. Tra i grandi blocchi economici, è forse quello più dipendente dal commercio estero. Ci si può difendere con una mescolanza di contromisure, avendo chiaro l’obiettivo: evitare l’escalation.

Ne soffrirebbe di più l’economia europea rispetto a quella americana. Dunque un gioco di sponda tra ritorsioni protezioniste, diplomazia, concessioni. Colpire Trump dove può far male – come nel 2018, quando l’Ue prese di mira con i dazi il bourbon, i jeans Levi’s, le Harley Davidson, industrie basate in stati tradizionalmente repubblicani. Ma anche blandirlo, serrando i ranghi e prendendo decisioni difficili. Si arriva così a due temi centrali per l’Unione europea: Difesa ed energia. A fronte di minacce esterne, i paesi europei dovrebbero unirsi. Gli arsenali vanno rafforzati, anche per aiutare l’Ucraina, e i serbatoi di gas vanno riempiti. Il gas, in particolare, è stato uno degli ingredienti della crisi con la Russia e ancora oggi è un nodo cruciale per la sua evoluzione. Tagliando le forniture, Putin era convinto di piegare l’Europa e farla desistere dal sostegno all’Ucraina. Questa strategia era già in atto ben prima dell’invasione. Ammassava le truppe, e al tempo stesso chiudeva i rubinetti.

A dicembre 2021 il prezzo del gas in Europa raggiunse i 180 euro per megawattora al mercato Ttf di Amsterdam, per poi schizzare a più di 300 euro a marzo 2022. È molto facile capire perché: l’Europa dipendeva dalla Russia per circa il 40% del suo consumo. La strozzatura nell’offerta di gas – una mossa di Putin, che non dipendeva dalle sanzioni – ha spinto in alto i prezzi. Sappiamo che alla fine il ricatto non ha funzionato. L’Unione europea è riuscita a diversificare le sue fonti, comprando di più dalla Norvegia, dagli Stati Uniti, dal Qatar. Anche il costo del gas è sceso molto rispetto all’apice della crisi.

Dalla primavera del 2022 l’Europa ha cominciato ad attrarre navi su navi di gas naturale liquefatto (gnl), tradizionalmente spedito in Asia, ma dirottato sul nostro continente per via di prezzi favorevoli. Va detto che i prezzi si sono abbassati, ma senza tornare veramente alla normalità – e la normalità pre-crisi era di circa 20 euro per megawattora.

Ridotte di molto le forniture russe, l’Ue è rimasta esposta alle turbolenze del mercato. Per due motivi: su 350 miliardi di metri cubi di gas all’anno, molti sono importati, e una gran quantità di combustibile è comprata sul mercato spot invece che con contratti a lungo termine. Il prezzo europeo, così, resta volatile, basta poco per farlo salire: un aumento della domanda a causa di inverni più freddi, oppure un calo dell’offerta di rinnovabili perché c’è stato poco vento o non abbastanza sole. Nel 2023 il prezzo Ttf del gas è sceso anche a 30 euro per megawattora, ma è tornato a crescere nella seconda parte dello scorso anno. All’inizio di febbraio 2025 ha toccato 55 euro per megawattora, dunque più del doppio dei livelli pre-crisi.

A contribuire all’incertezza c’è ancora la variabile del gas di Mosca. È vero che ne consumiamo molto meno, ma il consumo non si è azzerato. Mentre si assottigliava la fornitura via tubo, l’Europa l’anno scorso ha acquistato quantità record di gas russo trasportato dalle navi.

E così si arriva a uno dei nodi delle trattative con Trump. L’accordo con il tycoon potrebbe essere questo: l’America limita i dazi contro l’Europa a patto che questa, tra le altre cose (l’acquisto di armi, ad esempio, sarebbe una leva efficace), si impegni a comprare più gas naturale liquefatto americano, riducendo ulteriormente la dipendenza da Mosca – tanto più che Kiev all’inizio dell’anno ha chiuso il gasdotto russo che passa attraverso l’Ucraina (circa il 5% del consumo europeo). L’Europa deve trovare la volontà politica per muoversi in questa direzione, ha dichiarato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea.

Ma non è facile. Il gas segue le leggi del mercato, che non sono sempre quelle della politica. “Le società dell’energia americane sono private e vendono dove per loro è più conveniente”, spiega a Forbes Italia Pier Paolo Raimondi, senior researcher all’Istituto Affari Internazionali, un think tank italiano. “Se non ci sono contratti a lungo termine, queste società vendono spot al prezzo più alto. Il 50% del gnl che riceviamo in Europa viene dall’America, ma è largamente comprato spot”.

È vero che in Qatar le compagnie europee hanno firmato contratti a lungo termine, ma la Cina ne chiude di più. Finora Pechino ha adottato un approccio forse più pragmatico di quello dell’Europa. C’è una spinta forte verso le tecnologie verdi; al tempo stesso, però, si consuma molto fossile per garantire la competitività dell’industria. L’Europa ha fissato limiti più stringenti. Il consumo di gas potrebbe quasi dimezzarsi entro il 2030, se davvero si tenesse fede al piano verde REPowerEU. È questa l’incognita su cui riflettono le utilities europee, ed è per questo che sono riluttanti a stringere contratti di lungo periodo: non vogliono legarsi le mani con il rischio che in futuro la domanda scenda troppo. Quindi c’è un uso massiccio del mercato spot, più flessibile ma più esposto alla competizione globale.

Bisogna avere fortuna, e per un paio di anni l’Europa l’ha avuta: il clima è stato piuttosto mite. Ma il freddo di quest’inverno ha abbassato gli stoccaggi di gas, con una pressione al rialzo sui prezzi che durerà nei prossimi mesi, probabilmente per tutto l’anno. Le previsioni, del resto, non sono molto rassicuranti. “La nostra stima è che gli stoccaggi europei a fine marzo scenderanno al 35%, contro il 55% dell’anno scorso”, ha detto a Forbes Italia Massimo di Odoardo, vice presidente del comparto gas della multinazionale di consulenza e ricerca Wood Mackenzie. “E c’è il rischio che si arrivi a ottobre con stoccaggi all’80%, quando l’anno scorso erano pieni al 95%”.

I prezzi alti, tuttavia, hanno almeno un vantaggio: rendere l’Europa un mercato appetibile. Potrebbe essere più facile dirottare gnl americano, aiutando la trattativa con Trump. E c’è un altro fatto da considerare: in Europa la politica può spingere di più sulle compagnie energetiche, che spesso sono a partecipazione statale. Inoltre le sanzioni contro il gnl russo si sono dimostrate più efficaci di quelle contro il petrolio. Il grande progetto di Belokamenka, una località oltre il circolo polare artico, si è praticamente fermato dopo che Stati Uniti ed Europa hanno imposto restrizioni. Yamal, il primo impianto di gnl russo, può essere colpito altrettanto duramente. E con meno gas russo in circolazione, l’Europa potrebbe importare di più dagli Stati Uniti.

Tutto questo, però, non risolve il problema dei prezzi alti. Anzi, nel breve termine rischia di aggravarlo. Il vero sollievo, secondo di Odoardo, arriverà nei prossimi anni, e dipenderà da un aumento consistente dell’offerta. Su un mercato globale di 400 milioni di tonnellate, spiega, l’offerta di gnl crescerà di 16 milioni di tonnellate quest’anno e di 36 milioni nel 2026. Il suo pronostico è che solo nel 2026, dopo l’inverno, la pressione sui prezzi inizierà a calare, ma l’entità della discesa dipenderà dal livello degli stoccaggi. L’offerta, poi, continuerà a crescere nel 2027 e 2028, con incrementi medi di 32-33 milioni di tonnellate l’anno, perché entreranno a regime nuovi progetti negli Stati Uniti, in Canada e in Qatar. Dal 2027 in poi i prezzi potrebbero scendere fino a 30 euro per megawattora, dice di Odoardo. Fino ad allora l’Europa dovrà stringere i denti. Inverni incerti, mercato spot volatile e pressioni americane.

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