Le idee migliori sono quelle che nascono di getto, magari mentre stai preparando la cena tra una chiacchiera e l’altra con la tua coinquilina. È quello che è successo nel 2011, quando due ragazze catanesi trapiantate a Milano hanno deciso di dare vita a Orange Fiber, la startup in grado di creare tessuti dalle bucce di arancia. “Quell’anno io e Adriana (Santonocito, ndr) vivevamo insieme”, racconta Enrica Arena, cofondatrice del progetto. “Lei studiava design di moda e alla fine del terzo anno decise di specializzarsi in tessuti sostenibili e preparare una tesi che fosse anche di ricerca, sperimentale, proponendo l’idea di creare un tessuto dagli agrumi. Da lì è partito tutto perché la sua relatrice l’ha messa in contatto con il Dipartimento di Chimica del Politecnico di Milano per verificarne la fattibilità”.
Una volta appurato che da uno dei tesori più preziosi della Sicilia era anche possibile ricavare un filato, le due ragazze si sono subito mosse per cercare di trovare chi potesse aiutarle a trasformare una bella idea in un lavoro concreto: “Era un momento in cui non c’era ancora tutto questo entusiasmo per le startup e quando ci proponevamo per i vari concorsi e incubatori ancora non sapevamo cosa sarebbe stato, eravamo in divenire ed era difficile far capire il potenziale. Però, pur non avendo un prototipo e con un business plan ancora acerbo, il progetto è piaciuto subito”.
Nel 2013, una volta presentata la domanda di brevetto, arrivano anche i primi riconoscimenti: “Abbiamo vinto il Change Maker for Expo, che ci ha permesso per due mesi di concentrarci solo sull’idea progettuale, parlando con persone che venivano dai mondi più disparati, digital, marketing, retail, ma che ci aiutassero a capire in cosa si sarebbe potuto trasformare il nostro progetto. Tutto questo è maturato nel 2014, quando poi siamo riusciti a costituire l’azienda, con un mix di fondi pubblici a rimborso e investimenti privati”. Un anno dopo la costituzione della società e a quattro anni da quando è maturata l’idea in quell’appartamento da fuori sede di Milano, Adriana ed Enrica presentano il loro primo campione di tessuto: “Era il 2015 e siamo state coinvolte in Expo, rappresentando la Sicilia al Padiglione Italia. In contemporanea abbiamo vinto il Global Change Award, il premio della Fondazione H&M per le idee più sostenibili, grazie al quale abbiamo avuto un anno di accelerazione e apertura al mercato internazionale, almeno dal punto di vista produttivo”.
Ma come avviene la trasformazione da arancia a tessuto? Il segreto sta negli scarti, in particolare nella cellulosa che si ricava dalle bucce dell’agrume, come spiega Enrica: “La nostra filiera parte dall’arancia spremuta per fini industriali, quindi per i succhi. Noi prendiamo il sottoprodotto, estraiamo la cellulosa, che poi viene trasformata in filato e quest’ultimo viene tessuto. Un impianto in Sicilia trasforma tra le 40mila e le 60mila tonnellate all’anno di agrumi. La metà è sottoprodotto e da questo noi estraiamo solo la cellulosa. Per fare 1 metro quadrato di tessuto servono 5 chili di arance e 2,5 chili di bucce”. Una volta estratta la cellulosa le fasi di filatura e tessitura vengono delegate rispettivamente in Spagna e a Como, grazie ad accordi con aziende partner. “Dallo stesso filato si può ricavare un tessuto simile alla seta o simile al cotone, e quindi ci rivolgiamo a un partner o a un altro. Noi forniamo un fondo stampa, qualcosa di bianco che è pronto per essere stampato”.
Il risultato sono tessuti che niente hanno da invidiare a quelli cui siamo abituati, sia in termini di estetica che di prestazioni. Motivo per cui sono molti i marchi che hanno bussato alla porta delle due ragazze per dare vita a una collaborazione. Primo fra tutti Salvatore Ferragamo, con cui lo scorso aprile è stata lanciata una capsule collection. “Con Ferragamo ci siamo conosciuti grazie alla nostra partecipazione a Expo e lì abbiamo deciso di dare vita a una mini collezione. Abbiamo portato avanti il progetto di ricerca e sviluppo insieme. Nostri i materiali, loro il design. Abbiamo lavorato per definire quale fosse il tessuto adatto, facendo tante prove per vedere come avrebbe performato il tessuto. È stato un percorso lungo, ma che ci ha dato grandi soddisfazioni. Ci tenevamo che il primo marchio fosse made in Italy e veicolasse un po’ il nostro messaggio”.
Quella con il marchio fiorentino è stata una collaborazione che ha dato visibilità a Orange Fiber, ma ha portato anche i primi grandi risultati in termini economici, con un fatturato che tra il 2016 e il 2017 si attesta sui 400mila euro. Ora per Adriana ed Erica si apre una nuova fase del progetto: rendere la produzione più fluida e meno costosa. “Quello che cerchiamo adesso sono dei partner strategici con cui collaborare lungo la filiera”, spiega Enrica. “Il vero nodo è rendere questo progetto sostenibile a livello di produzione industriale, dobbiamo ottimizzare e trovare partner che ci permettano di avere delle economie di scala e cambiare posizionamento. Per noi la priorità non è solo lavorare con grandi marchi che possano permettersi gli alti costi attuali di produzione e rimanere quindi un prodotto di nicchia. A noi interessa che Orange Fiber diventi un progetto che dia occupazione e faccia bene all’ambiente”.
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