Nel balletto di cifre, di proposte, di moniti alla sostenibilità dei conti, la prossima Legge di Bilancio assume sempre più i contorni di un rebus. Cosa conterrà? E cosa invece resterà fuori? E quando si potrà dare per finito il tira e molla sui numeri di questi giorni?
Partiamo da quest’ultimo punto: i tempi. Per chiudere la partita resta poco meno di un mese. Si parte dal 27 settembre, data entro cui la nota di aggiornamento al Def (Documento di Economia e Finanza), il documento in cui sono delineate le previsioni e le strategie fiscali per i prossimi anni, dovrà essere sottoposta al giudizio del parlamento. Il 15 ottobre la Legge di Bilancio verrà inviata alla Commissione europea (che esprimerà successivamente un parere), solo cinque giorni prima di approdare alle Camere.
A quel punto il cantiere non sarà ancora del tutto chiuso. A fine novembre, il 30, scade infatti il termine massimo entro il quale verranno comunicati i rilievi della Commissione europea sulla Legge di Bilancio (che dovrà poi essere approvata dal Parlamento entro il 31 dicembre). Va ricordato che la Commissione non ha comunque il potere di porre un veto.
In mezzo c’è anche il vaglio del presidente della Repubblica, che ha il potere di rinviare la Legge alle Camere se non rispetta la Costituzione che, dal 2012, prevede all’Articolo 81 il rispetto del pareggio di bilancio (al netto delle componenti cicliche).
E qui, su coperture e sforamento di quota 1,6% sul deficit, il confronto diventa infuocato. Perché, se da un lato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti è cosciente che “non possiamo trascurare i vincoli e gli impegni che ci vengono dall’Europa per non esporre la finanza pubblica ad altri rischi” dall’altro ecco comparire l’audio del portavoce del presidente del Consiglio, Rocco Casalino, contro i tecnici del ministero dell’Economia, accusati di remare contro la possibilità di trovare i 10 miliardi di euro necessari per far partire nel 2019 il reddito di cittadinanza. Sul piatto, oltre alla misura cardine per i Cinque Stelle, restano poi flat tax (che potrebbe inizialmente essere applicata almeno ai professionisti), riforma della Legge Fornero (con la soluzione identificata nella quota 100 composta da 62 anni di età più 38 di contributi), pensioni di cittadinanza (portando le minime a 780 euro), taglio dell’Ires (sugli utili reinvestiti in azienda).
Ce n’è abbastanza per far sì che far quadrare tutte queste spinte in una Legge di Bilancio che possa anche ricevere il placet europeo e dei mercati finanziari rischi di essere un vero rompicapo. A dare una soluzione è chiamato il ministro dell’Economia Giovanni Tria, senza dubbio in questo momento uno degli uomini meno invidiati d’Italia.
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