L’inquinamento da azoto è una problematica di cui si sta discutendo da diversi anni e, nell’ultimo decennio, è in crescita in tutto il mondo. L’azoto è un elemento naturale che, come noto, aiuta le piante a crescere rapidamente. Anche se già presente nella nostra atmosfera, di cui costituisce circa l’80%, le piante non sono in grado di assimilarlo nella sua forma gassosa, composta da due atomi di azoto legati. Eppure alcuni batteri sono in gradi di “fissare” l’azoto collegando l’idrogeno o le molecole di ossigeno all’azoto atmosferico. Nel corso dei millenni questi batteri si sono evoluti per fornire alle piante azoto in cambio degli zuccheri, rilasciati attraverso le radici della pianta. Un processo naturale che abbiamo sottovalutato quando, già dall’inizio del XX secolo, venne sviluppato un metodo per la produzione di azoto sintetico.
Ci pensò il chimico tedesco Fritz Haber, che contribuì allo sviluppo del metodo noto come “processo Haber-Bosch”. Fin dalla sua istituzione il processo Haber-Bosch ha supportato quasi la metà della popolazione globale ma ha anche raddoppiato la quantità di azoto fisso sul nostro pianeta. Infatti se da una parte i fertilizzanti sintetici hanno accelerato i tassi di crescita delle colture in tutto il mondo, la maggior parte dell’azoto sintetico – adoperato dagli agricoltori – non viene assorbito dalle colture ma si deposita sul terreno per poi evaporare nell’atmosfera, diventando ossido nitroso (300 volte più potente della CO2) oppure, attraverso le piogge e l’irrigazione, viene filtrato dal terreno finendo nei corsi d’acqua vicini che portano a fiumi, torrenti, laghi e mari fino a terminare negli oceani. Naturalmente è tossico anche per l’uomo, dal momento che il contatto con le acque inquinate può provocare dolorose eruzioni cutanee mentre l’ingestione può causare danni al fegato e ai reni.
Campionare i batteri e studiarne il DNA
Poiché i fertilizzanti azotati sono diventati più comuni, i batteri si sono inibiti perdendo la loro capacità di fissazione dell’azoto. Qui la sfida di Pivot Bio: studiare questo tipo di batteri che fissano l’azoto per risvegliare quella naturale sinergia con le piante che rilasciano lo zucchero. Al momento la startup si sta concentrando sulle coltivazioni di grano, mais e riso perché queste colture interessano il 50% di tutto l’azoto prodotto a livello globale e non si avvalgono di un’associazione naturale con i batteri che fissano l’azoto (come avviene per i legumi e la soia, attraverso i rizobi).
“Ciascun campione di terreno contiene migliaia e migliaia di microbi”, spiega la dottoressa Sarah Bloch, lead scientist di Pivot Bio, “ma solo alcuni di loro hanno una forte relazione con le colture a cui siamo interessati e solo alcuni sono in grado di produrre azoto”. Per trovare i microrganismi più produttivi per la determinazione dell’azoto, gli scienziati hanno prima rilevato campioni di terreno da tutti gli Stati Uniti, analizzando il DNA per identificare i produttori di azoto, poi hanno simulato il meccanismo genetico che ha causato l’inibizione dei batteri che fissano l’azoto, in un ambiente contaminato dai fertilizzanti sintetici. I ricercatori hanno poi modificato il DNA dei batteri in modo che continuassero a fornire azoto alle piante anche in presenza di fertilizzanti.
70 milioni di dollari e il cuore di Bill Gates, Jeff Bezos e Michael Bloomberg
La startup ha già raccolto 70 milioni di dollari in prevalenza da un gruppo di investitori miliardari (che include appunto anche Jeff Bezos, Bill Gates, e Michael Bloomberg) che sta raccogliendo milioni di dollari (fino ad un massimo di un miliardo) da investire in nove starup dell’energia tramite un fondo chiamato Breakthrough Energy Ventures (BEV). BEV fornisce alle imprese “capitali pazienti” o denaro che non richiede un rendimento sull’investimento per un massimo di 20 anni. Un’opportunità per scienziati e ingegneri che hanno così il tempo per perfezionare le loro tecnologie energetiche trasformative.
Con il mais sembra già funzionare
Dopo aver reso i batteri nuovamente attivi e resistenti ai fertilizzanti, Pivot Bio ha lavorato con gli agricoltori nel Midwest nella messa a punto di un processo che il co-fondatore e ceo, Karsten Temme, definisce “shovel-omics”: le radici delle piante vengono dissotterrate e, una volta analizzate, danno conferma di quali microbi geneticamente modificati si erano agganciati ad esse e quali, tra questi, producevano la maggior quantità di azoto.
Il primo prodotto messo a punto da Pivot Bio si chiama “Proven”, consiste in una sorta di spray che gli agricoltori applicano ai semi non appena questi germogliano, ed è stato specificamente progettato per il mais. I microbi nello spray producono ben 25 libbre di azoto per acro, una quantità che potrebbe ridurre di un quarto l’uso dei fertilizzanti azotati sintetici: “Se ogni agricoltore adoperasse questo prodotto ridurrebbe l’uso di azoto sintetico del 25% per acro, l’equivalente della quantità di gas serra prodotto da un milione di automobili”, sottolinea la dottoressa Bloch. Ma a guadagnarci non è solo l’ambiente: il risparmio sarebbe anche economico poiché il numero di microbi continua ad aumentare con la crescita delle piante e, di conseguenza, è sufficiente una singola applicazione di Proven, contrariamente ai fertilizzanti sintetici applicati più volte alle colture nel corso dell’anno.
Fonti:
[1] “How are humans exposed to cyanobacteria and cyanotoxins?” – United States Environmental Protection Agency
[2] “Nitrogen fertilizer is bad stuff and not just because it could blow up your town” – grist.org
[3] “Pivot Bio Secures $70M Investment For Nitrogen-Producing Microbes” – Forbes.com
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