Articolo tratto dal numero di dicembre 2018 di Forbes Italia.
Di Elisa Venco
Il futuro del trasporto potrebbe già avere un nome: “Quintero One”. Così si chiama la prima capsula in scala reale di Hyperloop TT, la società nata in California nel 2013 da un’idea di Elon Musk, il fondatore di Tesla, che ha lanciato il progetto di un treno supersonico. Presentata qualche settimana fa a Puerto de Santa Maria, in Spagna, la capsula è lunga 32 metri, larga 15, pesa cinque tonnellate e può viaggiare a una velocità di 1.200 km orari. Come fare da Milano a Roma in 25 minuti. “Entro il 2019 la capsula sarà ottimizzata e pronta per ospitare passeggeri”, ha dichiarato Gabriele ‘Bibop’ Gresta, 47 anni, nato a Terni, co-fondatore e presidente di Hyperloop TT. Un innovatore dall’eloquio velocissimo, come le tappe della sua carriera: a 15 anni, mentre frequentava le superiori ad Arezzo, era già a capo dello sviluppo software per una multinazionale canadese. A 29 creava il primo incubatore italiano di startup, Digital Magics. A 40, il trasferimento a Los Angeles per occuparsi di misurazioni dell’audience digitale. E oggi guida la società che progetta aerei senza ali: Hyperloop TT, appunto.
A che punto siamo con il treno superveloce?
Innanzitutto non è un treno. Bensì una serie di capsule dette Pod, equivalenti ai classici vagoni, che si librano all’interno di tubi a bassa pressione, per ridurre l’attrito dell’aria, grazie alla levitazione elettromagnetica. La capsula appena mostrata in Spagna è destinata a essere testata a Tolosa, in Francia, su una pista di collaudo lunga 320 metri e successivamente su un tragitto sopraelevato di un km. Al contempo stiamo procedendo verso la realizzazione di una rete di 10 km, destinata a merci e persone, che verrà utilizzata dai visitatori di Expo 2020, ad Abu Dhabi. Da pochissimo, grazie a un accordo con la compagnia assicurativa Munich Re e con la società di certificazione Tüv Süd, abbiamo presentato un framework per la certificazione di sicurezza di Hyperloop nei Paesi che hanno già accordi con noi.
L’Italia rientra nel novero?
Alla presentazione della capsula in Spagna abbiamo invitato molti rappresentanti politici italiani. L’unico che è venuto è stato Beppe Grillo, che si è fermato tutto il giorno per parlare con i tecnici e si è mostrato molto competente. Ora abbiamo trovato i primi interlocutori nel governo e una cordata di imprenditori ha espresso interesse per portare Hyperloop in Italia, dove solo il 5% delle merci viaggia su rotaia. Faremo uno studio di fattibilità.
L’arrivo di Hyperloop presenta però diverse problematicità, dal quadro legislativo ai costi delle infrastrutture.
Vero. Trattandosi di un nuovo sistema, che non è né treno, né aereo, né auto, mancano leggi che la disciplinino. Ma, grazie al nostro framework, le cose stanno cambiando. Quanto al costo, quello principale riguarda il diritto di passo, legato al valore del terreno su cui posizionare i tubi. Perciò la soluzione più logica è scegliere tratte dove già esistono autostrade e ferrovie. A questo risparmio, si aggiunge la convenienza di Hyperloop rispetto ad altri mezzi di locomozione e trasporto. Prendiamo l’alta velocità: gli investimenti per elettrificare e costruire nuove tratte non vengono mai ripagati. Ecco con Hyperloop si risparmia un quarto dell’importo per le infrastrutture e un decimo di quello per il mantenimento. I nostri costi variano tra i 20 e i 40 milioni di dollari ogni 4 Km. Ma in un tempo tra gli 8 e i 15 anni si recupera non solo tutto l’investimento, ma anche il costo del mantenimento. Per non parlare dei vantaggi ambientali.
Parliamone, invece.
Nel 2020 i costi delle fonti rinnovabili saranno inferiori a quelli dei fossili: il loro utilizzo quindi consentirà un notevole risparmio. Bene, Hyperloop non solo usa energia solare, eolica e, dove si può, geotermica, ma soprattutto produce fino al 30% di energia in più rispetto a quella consumata. In questo senso noi invertiamo il modello corrente del trasporto: da fonte di consumo a produttore di energia. Ma abbiamo innovato anche dal punto di vista del modello economico. E per questo, ad Harvard ci studiano come caso esemplare.
In cosa consiste il vostro modello di business?
Anziché raccogliere più soldi possibile e spenderli altrettanto velocemente per realizzare la nostra idea, abbiamo fatto appello a chiunque volesse parteciparvi. Si chiama crowdsourcing: una rete di aziende e soprattutto di 800 menti di eccellenza, divise tra 42 paesi che, in cambio di stock options, contribuiscono a mettere a punto il nostro sistema di trasporto con 32 milioni di finanziamenti, asset pari a 120 milioni e un valore incalcolabile rappresentato dalle competenze. Per noi lavorano anche 60 italiani: persone di grande talento che hanno compreso come, per cambiare il mondo, sia necessario accogliere l’innovazione. I romani hanno conquistato il mondo perché hanno costruito le strade. Noi lo faremo con le nostre capsule.
Lei è cresciuto ad Arezzo ma vive da tempo negli Usa. Che rapporto ha con l’Italia?
Di amore e odio. Odio verso l’arroganza di chi si sente al di sopra della legge e cerca scorciatoie. Amore per il bello che gli italiani sanno realizzare, nonostante la burocrazia, l’incertezza del diritto, la scarsità di infrastrutture. I nostri imprenditori sono degli eroi: chissà cosa potrebbero fare se non dovessero navigare nel caos.
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