Tra qualche anno vivremo in case Google, Amazon o Apple. E potrebbe essere il nostro microonde a decidere se siamo a dieta. Parola della futurologa americana Amy Webb, professoressa della NYU Stern School of Business. Nel libro “The Big Nine”, Webb denuncia i rischi di un’intelligenza artificiale attualmente in mano solo a 9 aziende: 3 cinesi, Baidu, Alibaba e Tencent definite con l’acronimo BAT e 6 statunitensi, che qualcuno ha ribattezzato G-MAFIA (Google, Microsoft, Amazon, Facebook, IBM and Apple). L’unica alternativa a un presente controllato dai giganti del tech, afferma Webb, è la nascita di un ente internazionale per l’AI simile all’Agenzia per l’Energia Atomica (AIEA). Un organismo capace di garantire sia il controllo delle aziende che la difesa dei diritti umani, e di promuovere il progresso pacifico della scienza e dell’ingegneria.
Intelligenza artificiale: se i regolamenti sono inutili
Un’idea che le autorità europee e statunitensi starebbero prendendo in considerazione, secondo la studiosa, ma non secondo fonti interne alla Casa Bianca, da cui non arrivano conferme. La proposta imporrebbe infatti una svolta strategica sull’AI molto radicale rispetto all’attuale immobilismo del governo americano e alla timidezza delle iniziative europee. Lo scorso 8 aprile, la Commissione Europea ha emanato le linee guida su quella che viene definita la “Trustworthy AI”, l’intelligenza artificiale “di cui ti puoi fidare”. La strategia europea sceglie così di puntare tutto sui temi etici: centralità umana, trasparenza, privacy, benessere sociale e rispetto dell’ambiente. L’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), inoltre, ha già annunciato l’arrivo di raccomandazioni. Secondo alcune voci critiche, questi regolamenti servono a poco, perché la guerra per il dominio dell’AI tra Usa e Cina è combattuta su ben altri fronti e a colpi di innovazione tecnologica. Nell’attuale contesto competitivo, l’unico governo che riesce ad imporre le proprie regole sulle aziende nazionali, quello di Pechino, ha già scelto da tempo tutt’altra strada rispetto a quella europea, puntando alla leadership mondiale.
Uno sviluppo etico dell’intelligenza artificiale, la mossa “naive” dell’Ue
L’Europa sta cercando di “unire le forze, per restare all’avanguardia nella rivoluzione tecnologica nel rispetto dei valori UE” si legge sul sito web della Commissione, attraverso la conquista della fiducia dei consumatori. C’è però chi la pensa diversamente. “I consumatori si preoccupano innanzitutto dell’efficacia della tecnologia” afferma Daniel Castro, vice presidente dell’Information Technology and Innovation Foundation (ITIF), un think tank che include membri di alcune Big tech. Castro mette in guardia l’Europa dal perseguire regole che definisce “naive”: “L’approccio europeo “ethics-first” impedirà lo sviluppo di prodotti competitivi” afferma. Oltre alla voce di esperti vicini ai grandi investitori americani, la rivista Politico.eu riporta il commento di un analista di Bruxelles, secondo il quale “l’ethic Ai” sarebbe “il nuovo Green”.
L’intelligenza artificiale etica ha una sola chance: la rivolta dei consumatori
E se l’approccio UE riuscisse a conquistare davvero i consumatori? Tra i requisiti previsti dalle linee guida europee c’è la “trasparenza”. Chi fruisce della tecnologia, si legge nel rapporto, deve essere informato in modo chiaro che sta interagendo con un sistema di intelligenza artificiale e non con un essere umano. La richiesta dell’UE sfida il noto “test di Turing” alla base dell’AI, secondo il quale, semplificando, una macchina diventa “intelligente” se è in grado di spacciarsi per una persona. A 70 anni di distanza da Alan Turing, i consumatori hanno sperimentato anche gli effetti emotivi di questa sovrapposizione artificiale tra uomo e macchina. Forse non ci siamo ancora innamorati delle voci di Siri, Alexa o Tiān Māo (l’assistente vocale cinese), ma ci sarà capitato sicuramente di litigare per sbaglio con il chatbot di un ristorante o di una compagnia telefonica. Come consumatori, quindi, prima ancora che come cittadini, potremmo stancarci di questa confusione e optare per prodotti “di cui poterci fidare”.
La sfida dell’invisibilità dell’intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale si sviluppa grazie alla sua invisibilità. La scrittrice Pamela McCorduck l’ha definito “paradosso di odd” oppure “effetto AI”: ogni innovazione introdotta diventa dopo poco tempo familiare a tal punto che le persone dimenticano si tratti di intelligenza artificiale. E’ questa la sfida più grande che ogni tentativo di regolamentazione deve superare.
Il test del “contributo significativo” per misurare l’efficacia dell’AI
Una buona notizia per gli umani, però, c’è: è sempre più difficile per un robot mostrarsi “intelligente”. “La nuova sfida per un sistema di AI sarà riuscire a sedere in un meeting e dare un contributo significativo al dibattito, senza essere interpellato da qualcuno e ovviamente prima che il meeting finisca” scrive Amy Webb. La capacità di leggere il contesto, capire l’opportunità e misurare l’efficacia di un contributo intellettuale, dopo tutto, resta ancora una prerogativa tutta umana.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .