Sono le ore 9.23 del 27 febbraio 1958 quando un furgone blindato della Banca Popolare di Milano viene assaltato in via Osoppo. Il colpo è perfetto, orchestrato nei minimi dettagli. Una Fiat 1400 taglia la strada al portavalori e si schianta a tutta velocità contro un muro, disorientando il conducente. Passano pochi istanti e il furgone viene speronato da un un camion OM Leoncino, subito seguito da una Giulietta Sprint. Dalle vetture escono sette banditi armati e mascherati. Non sparano un colpo, ma riescono ad appropriarsi del carico intimidendo i dipendenti della banca. Bastano pochi minuti e i ladri scappano con la refurtiva nello sbigottimento generale. Il bottino è da capogiro: 614 milioni di lire.
Milano è al contempo scioccata e ammirata. I giornali lo definiscono “il colpo del secolo”, “la più sensazionale rapina che mai la cronaca milanese abbia registrato”, mentre Indro Montanelli parla di una “stupefacente organizzazione in un paese che, di suo, è normalmente disorganizzato”. I milanesi si appassionano alle indagini, tifano per i gangster. Un mese dopo, il 1° aprile, vengono arrestati i responsabili del furto. Sono uomini come tanti, delinquentelli comuni. Uomini come Enrico Cesaroni, gestore di una drogheria, che riesce a fuggire in Venezuela facendosi incastrare pochi mesi più tardi da un errore fatale: una cartolina inviata in Italia. Quella di via Osoppo fu l’ultima grande rapina romantica della Ligéra, la malavita milanese del tempo. Una malavita galante, che non amava la violenza, radicata sul territorio e diffusa nei quartieri più poveri della città – il Giambellino, Isola, il Ticinese, via Conca del Naviglio – romanzata nelle osterie e cantata da Nanni Svampa e dai suoi Gufi, da Ornella Vanoni, Enzo Iannacci e Giorgio Gaber.
“Una sera in una strada scura/occhio c’è una lambretta/fingendo di non aver paura/il Cerutti monta in fretta/ma che rogna nera quella sera! Qualcuno vede e chiama/veloce arriva la pantera”, cantava Gaber ne La Ballata del Cerutti. Così era la Ligéra, una piccola delinquenza capace di ispirare la simpatia delle forze dell’ordine e dei milanesi stessi. Come nel caso della Banda della Aprilia nera e di Ezio Barbieri, il Robin Hood di via Borsieri, che redistribuiva la refurtiva tra i poveri del quartiere e si vantava di non aver mai ucciso nessuno. La sua celebre “rapina della donna nuda”, in cui una ragazza svestita attirava l’attenzione dei dipendenti della banca mentre la banda svaligiava le casse, fu una delle azioni più originali e spregiudicate che si ricordano nella storia della città.
Dopo via Osoppo, e più in generale negli anni ’60-’70, si assistette a un incremento dell’efferatezza delle rapine. La malavita si strutturò in gruppi organizzati, anche di stampo mafioso, che controllavano il gioco d’azzardo, la prostituzione, il traffico di droga. La Milano del boom economico, del Pirellone e dei cantieri della metropolitana, iniziò a chiudersi nella socialità privata, nelle feste borghesi del centro, mentre le strade diventavano un Far West animato da personaggi come Francis Turatello, Angelo Epaminonda e la sua banda Apaches, che terrorizzava la città nei primi anni Ottanta, e non in ultimo Renato Vallanzasca, il celeberrimo bel Renè.
Oggi, a raccontare il volto violento della Milano dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta è una mostra: Milano e la Mala. Storia criminale della città, dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca, in arrivo a Palazzo Morando dal 9 novembre al 11 febbraio 2018. Un racconto per immagini – 140 le fotografie in esposizione – e per “strumenti del mestiere” (come i dadi usati dalle bische e le armi usate dai criminali e dalla polizia) della malavita milanese e dei suoi personaggi più celebri, in un viaggio che ripercorre le trasformazioni della città e delle sue periferie. La mostra si chiude con una sezione dedicata a Renato Vallanzasca, l’ultimo esponente di una criminalità che affascinava, e affascina ancora oggi, i milanesi e non solo.
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