“A mio parere il concetto chiave sta nell’evoluzione del significato che i clienti stanno dando al concetto di esclusività: una cosa accomuna brand come Gucci, Prada, Balenciaga o Valentino e cioè che tutti spostano il significato di inaccessibile dalla sfera del prezzo a quella del significato”. Il nuovo volto del lusso sta tutto nelle parole di Marco Semeghini, docente di Fashion Business presso l’Istituto Marangoni Firenze. Se in passato i luxury goods erano destinati a una limitata cerchia di persone, oggi infatti si sente sempre più spesso parlare di “democratizzazione del lusso” come di quel processo di apertura del settore verso un numero più ampio di consumatori. Sviluppare contenuti nuovi capaci di regalare una nuova esperienza di marca (il cosiddetto brand content) sembra essere diventato il nuovo imperativo per i brand di alta gamma, che nel corso degli ultimi vent’anni hanno sperimentato nuove strategie di marketing.
“Il prodotto offerto è oggi più complesso, richiede uno sforzo anche intellettuale”, prosegue Semenghini. “L’ago della bilancia si sposta quindi dal potere dei soldi a quello della conoscenza. Per tanti anni l’imperativo è stato essere coerenti, non confondere il cliente, anzi, tranquillizzarlo con collezioni e campagne di comunicazione sostanzialmente uniformi. Anche a costo di sembrare ripetitivi”.
Un’esigenza di storytelling che ha portato Gucci ad aprire lo scorso gennaio il suo giardino delle meraviglie all’interno dello storico Palazzo della Mercanzia di Firenze. Ideato dal direttore creativo Alessandro Michele, il Gucci Garden ospita al suo interno una selezione di articoli tratti dalle collezioni della maison che risalgono alle sue origini fiorentine nel 1921, il ristorante Gucci Osteria da Massimo Bottura, chef premiato con tre stelle Michelin, un’area espositiva curata dal critico Maria Luisa Frisa, due sale De Rerum Natura che richiamano i musei di storia naturale ed esplorano la passione di Alessandro Michele per gli animali e i giardini e persino un auditorium con proiezioni di film sperimentali.
“Il cambio di attitudini e priorità generato da internet richiede oggi uno sforzo ulteriore; puntare sul sensoriale, come il cibo, il profumo, e quindi portare il cliente a vivere un’esperienza fisica in una dimensione più raccolta, più intima, è forse l’unica cosa che internet – almeno per ora – non può offrire”, aggiunge Semeghini, che dopo aver lavorato come buyer per Rinascente e Gucci, ha ricoperto per quattro anni il ruolo di direttore creativo di prodotto per Canali.
Anche Prada ha sperimentato di recente nuove forme di coinvolgimento. A un anno di distanza dal successo di Prada Silver Line, pop-up store itinerante dedicato al tema del viaggio, il marchio ha presentato il secondo capitolo dell’innovativo progetto retail, che consiste nella ricostruzione di un tradizionale bar tipicamente italiano dove la clientela del Galaxy Mall di Macao potrà acquistare esclusivi accessori in pelle aspettando il proprio turno su sofisticati divanetti in velluto rosso.
Ma quali, alla fine, i risvolti di un simile approccio da parte dei leader del lusso? Secondo il professore la risposta è semplice: “I brand che in questi anni hanno fatto leva sull’heritage e sulla trasmissione martellante della propria identità devono prepararsi a costruire una personalità più sfaccettata. Contaminarsi con territori inaspettati, come succede ora con l’arte e il cibo, deve diventare una regola e non una semplice trovata. L’importante è che il brand «viva» questo cambio culturale, che tale cambio sia assimilato da tutti i responsabili, del prodotto, del marketing, delle pubbliche relazioni, della comunicazione. In altre parole è importante che il cambiamento corrisponda a un vero e proprio allargamento culturale anche dell’organizzazione interna. Altrimenti il rischio è che rimanga una formula vuota, alla moda, ma poco credibile”.
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