La crisi del Covid-19 ha messo l’Italia di fronte alla necessità di utilizzare massicciamente lo smartworking, un fatto che ha avuto un impatto molto forte su tutti noi, semplicemente perché non ci eravamo affatto abituati. Solo poche centinaia di migliaia di italiani infatti ricorrevano abitualmente allo smartworking prima, con un approccio quasi “sperimentale” per lo più, tranne poche grandi aziende.
Qual è il bilancio di questa vera e propria rivoluzione? Molto positivo, ci tengo a dirlo. Passato il primo momento di smarrimento ci siamo resi conto tutti, aziende e lavoratori, dei benefici di questo nuovo modo di lavorare, che non implica solo l’adozione di nuove tecnologie e di digitalizzazione spinta, ma anche e soprattutto un rinnovamento culturale e un nuovo concetto di leadership e di misurazione dei risultati del proprio lavoro, non più legato e “certificato” dalla mera presenza in ufficio.
Come tutte le rivoluzioni, però, c’è anche un’altra faccia della medaglia, diciamo degli aspetti che vanno meglio messi a punto nei prossimi mesi: vediamone insieme alcuni.
Lavorare da casa, in appartamenti di dimensioni ristrette, con la presenza del partner e dei figli, non è proprio semplicissimo: seguire le riunioni e al tempo stesso seguire i compiti dei figli, armonizzare la propria agenda lavorativa con quella del partner non è facile, ha messo a dura prova le ottime doti di organizzazione e la resilienza dei lavoratori italiani. In particolare, va detto, delle donne italiane, cui ancora oggi purtroppo spetta una fetta più importante delle responsabilità di gestione famigliare rispetto agli uomini. Lo smartworking in questi casi ha creato uno stress addizionale.
Work life balance. Mi sono sentito dire spesso in questo periodo che lo smartworking ammazza il work life balance; chi lavora da casa lamenta che si mette al desk la mattina presto, e finisce la sera tardi. Inoltre, a volte i capi non capiscono che ci sono delle esigenze famigliari precise, esempio i pasti alle 13, o alle 20, e la vita lavorativa straborda in quella famigliare, problematizzando il tutto. Servono dei paletti, e un’ottima capacità di time management.
Lavoratori LGBT. Come sappiamo, in Italia le persone che in ufficio fanno un chiaro coming out sul proprio orientamento sessuale sono ancora una minoranza, peraltro per motivi del tutto legittimi dato il livello di omofobia (dichiarata o inconscia) che ancora resiste nel nostro Paese. Lo smartworking – con il “rischio” che i colleghi vedano durante una riunione online spuntare il proprio compagno/compagna, di cui non si è mai parlato in ufficio – ha creato vari problemi a livelli di privacy ai lavoratori LGBT. Lunga ahimè è ancora la strada dell’inclusione in Italia, e questa ne è una delle facce.
In conclusione, non stupisce che meno del 40% dei manager e delle manager italiani si senta più produttivo con lo smartworking: non è poco, certo, ma vanno create le basi per una ottimizzazione del suo uso, laddove un investimento tecnologico adeguato è la condizione necessaria ma non sufficiente. La tecnologia, se si inserisce in una cultura del lavoro “vecchia”, rischia di essere sottoutilizzata, e in modo solo cosmetico non sostanziale: è l’uso armonioso di tecnologia e di una nuova cultura del lavoro che farà la vera differenza nel futuro prossimo.
Ascolta e scarica Job Trends, il podcast di Roberto D’Incau, su Forbes.it nella sezione dedicata ai podcast, ma anche su Spreaker, Spotify, Apple Podcast e Google Podcast.
Tutte le puntate di Forbes Job Trends:
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .