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Un amplificatore costruito con gli alberi abbattuti dalla tempesta: la storia di resilienza di tre Under 30

Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Forbes. Abbonati

La pandemia in atto nel mondo ha costretto molte persone ad accettare un percorso di resilienza, a trovare delle opportunità in un periodo estremamente difficile. Se questa è stata una prerogativa dell’umanità intera, c’è chi si è fatto trovare già pronto. Nell’ottobre del 2018 la tempesta Vaia ha colpito alcune regioni del Nord, dalla Lombardia al Veneto passando per il Trentino Alto Adige, causando ingenti danni alla flora e alla fauna del luogo: 42 milioni di alberi a terra, 3 miliardi di euro di danni, 494 comuni coinvolti. “Ero scosso da quanto successo e avevo necessità di fare qualcosa per questo territorio”, racconta Federico Stefani, che grazie all’aiuto di due amici, Paolo Milan e Giuseppe Addamo, ha ideato Vaia Cube, un amplificatore passivo realizzato con il legno degli alberi abbattuti dalle violente raffiche di vento.

Coinvolgendo designer e piccoli laboratori di artigianato del territorio, hanno creato un oggetto di prestigio che può essere usato come amplificatore per la musica del proprio smartphone, porta sveglia, porta telefono o semplicemente come un raffinato complemento d’arredo. “Non esiste un pezzo uguale all’altro: le incisioni dei falegnami sono diverse per ogni amplificatore”, raccontano i tre ragazzi. “Noi vogliamo supportare l’economia circolare: recuperiamo materia prima, in particolare larici e abeti, e le doniamo una nuova vita. Per ogni Vaia Cube venduto, viene piantano un nuovo albero. L’obiettivo è quello di contribuire a ristabilire un equilibrio nel rapporto fra uomo e natura.”.

La startup Vaia è nata ufficialmente nel settembre del 2019. Parallelamente allo sviluppo del progetto, i tre fondatori hanno continuato a seguire il proprio percorso professionale. Federico Stefani è originario della provincia di Trento e attualmente fa parte nel dipartimento risorse umane della Nato. Giuseppe Addamo viene da Catania, vive Roma, dove si occupa di market development, e per Vaia della comunicazione. Paolo Milan arriva dalla provincia di Rovigo e al momento lavora a Verona come analista funzionale e per la startup gestisce gli aspetti amministrativi e finanziari. La nascita di Vaia è avvenuta senza il supporto di investitori esterni. “Ognuno di noi tre ha un lavoro. Abbiamo fatto un mutuo e utilizzato i nostri risparmi. Per ora abbiamo trovato un equilibrio finanziario: la startup sta crescendo e le cose stanno andando bene”, raccontano. “Con il Vaia Cube vogliamo amplificare un messaggio di rinascita, e al tempo stesso creare una community di persone che si riconoscono in questi valori”. Non a caso, le pagine social del progetto sono costellate di commenti positivi di utenti che hanno acquistato l’oggetto e adesso si sentono parte di una comunità resiliente, capace di trasformare un evento negativo in un’ondata di energia: Vaia era nota per essere la tempesta che ha colpito il nord-est Italia, oggi lo stesso nome sta acquisendo valenze positive. “Gli eventi negativi non sono altro che un modo per riflettere sul modello di società in cui viviamo. Dobbiamo capire se siamo all’altezza di rispondere a queste sfide”, raccontano.

Un’altra parte importante del business model è rappresentata dalle aziende, che decidono di acquistare amplificatori da regalare ai propri stakeholder, sposando la causa di Vaia. Le esperienze all’estero dei tre fondatori hanno di sicuro contribuito a forgiare una visione del futuro molto legata ai temi della sostenibilità e dell’innovazione, temi che negli ultimi mesi hanno trovato terreno fertile anche in Italia. “Le persone, soprattutto i giovani, hanno preso coscienza e questo trend è positivo. Tuttavia chi si trova nelle posizioni di vertice tende a procastinare le scelte”, spiega Federico. “Dobbiamo capire che fare l’innovazione green non significa soltanto fare qualcosa di positivo per l’ambiente, ma anche per le persone”.

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