In altri tempi sarebbe stato definito un banchiere. “E perché, che cosa sono altrimenti!?!”, risponde ridendo Andrea Isola, da fine settembre general manager southeast Europe di N26, banca digitale tedesca fondata nel 2013 e nella top ten del fintech europeo, dove è entrato alla fine del 2018 come general manager Italy. “Mi chiamano l’anziano del fintech…”, aggiunge, visto che ha 40 anni in un ambiente dove tutto è molto giovane e veloce.
Come si lavora (e si fa carriera) nelle challenger bank, le nuove banche digitali che hanno lanciato il guanto di sfida ai tradizionali protagonisti del credito e che ormai nel mondo hanno 60 milioni di clienti? Quali sono le caratteristiche e le competenze apprezzate?
Cominciamo con il dire che la natura delle aziende fintech è particolare. Noi cerchiamo di essere una banca, ma siamo anche una tech company. Tutta la parte tecnologica è importante per risolvere i problemi dei clienti con un prezzo trasparente e competitivo.
Hai lavorato per 15 anni nella consulenza. Come sei arrivato al fintech?
Ho fatto un’esperienza molto internazionale in Bain & Company. Ho lavorato in Brasile, Russia, un po’ in Asia e molto in Europa. Gli ultimi quattro anni sono stato a New York dove mi occupavo di servizi finanziari per aiutare le banche a diventare digitali. Così è nata la passione fintech e quando c’è stata l’opportunità di entrare in questo mondo e tornare in Europa non me la sono lasciata scappare.
Perché non sei tornato subito in Italia anche se sei stato ingaggiato come general manager Italy di N26?
Perché il lancio delle attività italiane è stato fatto dall’headquarter di Berlino. Quando ho cominciato non c’era ancora un team italiano. La branch italiana esiste solo da marzo 2020 e parte del team si è trasferito a Milano solo da settembre. Sono circa dieci persone più altre cinque rimaste a Berlino, dove abbiamo tutte le nostre strutture centrali. Solo a questo punto posso dire di essere rientrato in Italia dopo dieci anni in giro per il mondo.
Che cosa è cambiato nel 2020 con l’apertura dell’ufficio a Milano?
Il business è diventato più locale, è stato attivato l’Iban italiano che prima non c’era. Abbiamo lanciato i pagamenti locali con PayTipper (bollo auto, bollettini postali, Mav, Rav, ndr). Insomma N26 ha cominciato a diventare una banca mobile anche italiana.
Mentre tornavi in Italia, però, sei stato promosso e ti è stata affidata la responsabilità del Sud Europa.
L’Europa sud-orientale è una delle quattro aree in cui è stato diviso il business ma il mio impegno principale resta l’Italia, dove abbiamo grandi prospettive di crescita. L’Iban è solo l’inizio di un percorso, adesso stiamo lavorando sulla scelta dei partner giusti per lo sviluppo locale.
Quali sono gli obiettivi di crescita?
N26 ha già sei milioni di clienti e vogliamo arrivare a 50 milioni nei prossimi anni. In Italia a settembre 2019 erano 500mila ma vogliamo arrivare rapidamente a un milione. Le abitudini delle persone stanno cambiando, c’è una forte spinta al digitale, un’attenzione verso la qualità del servizio. Noi, per esempio, abbiamo attivato l’assistenza telefonica sette giorni su sette dalle 7 alle 23.
Dalla consulenza al fintech: com’è cambiato il modo di lavorare?
Alcune cose sono rimaste uguali e non l’avrei pensato, come per esempio l’intensità del ritmo. Fondamentale resta stabilire le priorità: perché non hai tutte le risorse che vorresti, capitali o persone. Vorremmo fare tante cose ma non possiamo farle tutte e subito. Quindi bisogna essere bravi a scegliere ed essere veloci.
La differenza più grande?
La cosa che cambia davvero è l’orizzonte temporale. In consulenza sei più concentrato sulle strategie e parli di long term vision. In una fintech devi invece prestare molta attenzione alla short execution. Bisogna essere più operativi. Poi c’è un tema di team. Deve essere molto variegato e con diverse competenze, mentre nella consulenza c’è più omogeneità.
Le principali novità per te?
Avere un ruolo di responsabilità e dover gestire i rapporti con le autorità di vigilanza.
Ecco perché sei un banchiere, allora, anche se hi-tech. Tu non sei l’unico italiano a guidare una neobank nel sud Europa. Nella stessa posizione c’è Elena Lavezzi nell’inglese Revolut. Un caso o il segnale di un italian touch nel fintech europeo?
Gli italiani sono visti molto bene nel mercato europeo, specie se arrivano da esperienze internazionali. Siamo flessibili, bravi nel problem solving e ci adattiamo bene ai cambiamenti. In una sola parola, siamo creativi. Questo è apprezzato in strutture agili e giovani come quelle del fintech. In N26 ci sono circa 1.500 persone di 80 nazionalità e l’Italia è seconda dopo la Germania.
Come si cresce e si fa carriera in una neobank?
La caratteristica chiave che voglio sottolineare è la curiosità: devi proprio sentire la necessità di essere sempre aggiornato su quel che succede nel tuo settore. Ti serve per avere una buona visione a medio termine su come si muoverà il mercato e sapere dove si vuole andare. Poi è sempre utile avere un buon network. La crescita comunque dipende molto dal team. Lo so che sembrano frasi rituali ma alla fine è così: per realizzare un’idea ci vuole tanta energia.
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