E se dal disastro sanitario, economico e sociale che è stato la pandemia per l’Italia si imparasse a rimediare agli anni di disinvestimento in settori nevralgici come quello della sanità? Si può fare della pandemia una reale opportunità per il futuro? È in questa direzione che la Fondazione Johnson & Johnson insieme alla Fondazione Mondo Digitale ha premuto sull’acceleratore di un progetto di avvicinamento dei giovani alle carriere sanitarie già avanzato nel 2017, ma che nel corso dell’ultimo anno ha trovato il terreno fertile in cui affondare le radici. Il progetto della fondazione – con 348 progetti all’attivo in materia di responsabilità sociale e 15 milioni investiti in vent’anni – si chiama Health4U e consiste in un programma di formazione e orientamento alle carriere universitarie e al mondo del lavoro, rivolto a oltre diecimila studenti liceali, per guidarli alla scoperta dei cambiamenti che stanno trasformando il settore sanitario, dalle nuove professioni all’applicazione delle nuove tecnologie.
“Il progetto nasce da una visione strettamente connessa a una serie di problematiche del sistema sanitario nazionale, che pur essendo di eccellenza si è fatto trovare non pronto nel fronteggiare un’emergenza di quella portata” spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente della Fondazione Johnson & Johnson e amministratore delegato di Jansen Italia. “Noi eravamo impreparati anche a causa della sempre minore assistenza della medicina territoriale, del sovraccarico degli ospedali, della carenza di personale sanitario. Tutti aspetti di cui la pandemia ha svelato le carenze”. Un’iniziativa che si innesta bene nella necessità concreta del Paese di smettere di vivere in affanno: non laureare in tempi record giovani infermieri e medici per supplire ai posti vuoti frutto di anni di tagli alla sanità, né richiamare il personale già in pensione con tutti i rischi che questa pandemia comportava per la propria salute.
Secondo il rapporto Health at a Glance 2019, infatti, l’Italia ha la più alta percentuale di medici di età pari o superiore a 55 anni nei paesi Ocse, fatto che potrebbe determinare una forte carenza futura nella forza lavoro sanitaria. “Questi dati ci fanno capire che tra dieci anni questi medici andranno in pensione e noi a questo ricambio generazionale dobbiamo pensare adesso”, prosegue Scaccabarozzi. Dati rielaborati dal Centro Studi Janssen su ricerche Ocse al 2020 mostrano che nel prossimo decennio, se questo divario non dovesse essere colmato, mancheranno oltre 120.000 unità: 22.000 medici di medicina generale, oltre 47.000 medici del sistema sanitario nazionale e più di 53.000 infermieri.
In soccorso è arrivata la digitalizzazione: “Usiamo l’intelligenza artificiale a livello industriale a tutti i livelli”. Intelligenza artificiale sono la teleassistenza, il teleconsulto, la televisita. Oggi il 59% delle Asl usa il teleconsulto, il 44% la televisita, mentre l’intelligenza artificiale può far risparmiare fino al 48% del tempo di un operatore sanitario grazie al suo impatto sulla gestione delle attività amministrative o di routine. “Queste sono le armi su cui puntare anche per attirare i giovani verso un comparto che sta cambiando e farli appassionare a un mestiere impegnativo, ma che regala vita”.
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Chi si era opposto all’avanzata della digitalizzazione nella vita come nel lavoro, durante la gestione della pandemia ha dovuto ricredersi. Realizzando un ambiente digitale si possono aumentare le capacità operative senza ridurre il capitale umano, creando, invece, nuovi posti di lavoro, nuove professionalità – come data scientist, l’AI engineer, il gamification designer -, e l’attrattività di una carriera in ambito sanitario capace di trattenerli in Italia studenti e professionisti. Più digitalizzazione permette anche di avvicinare la sanità al paziente e può aiutare nell’ottimizzazione del tempo, dallo snellimento delle liste d’attesa alla dematerializzazione delle ricette. “Le professioni sanitarie costituiscono una cintura di sicurezza per la comunità nel suo insieme. Sempre di più la medicina si avvarrà di tecnologie che provengono da mondi diversi, dall’intelligenza artificiale all’ingegneria. La sfida sarà di coniugare la tecnologia con la dimensione umana della medicina”, suggerisce Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas.
Qualsiasi strada si scelga di intraprendere deve prevedere una solida visione di lungo termine non solo dell’apparato sanitario, ma anche in tema di istruzione ed economia, settori che non possono dirsi disgiunti in nessuna circostanza gli uni dagli altri, ma anzi fortemente interconnessi. Lungimiranza, investimenti e giovani sono le parole chiave di un sistema difettoso a cui è stata data un’opportunità senza precedenti: “Sarebbe un peccato non fare il massimo: per esempio costruire delle piattaforme di raccolta dati, ammodernare la medicina ospedaliera puntando sulla medicina territoriale, efficientare l’apporto di cure ai malati. Mi auguro che il Paese si assuma le sue responsabilità, che abbia il coraggio di cambiare il paradigma per passare dall’era dei tagli all’era degli investimenti e soprattutto per dare ispirazione ai giovani che vogliono far parte del settore della sanità. Dobbiamo essere ottimisti”, conclude Scacciabarozzi.
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