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Hanno ucciso Aziz Ansari, chi sia stato non si sa

Aziz Ansari al Critics’ Choice Awards l’11 gennaio 2018.

Appena una settimana fa, Aziz Ansari a 34 anni era diventato il primo americano di origine asiatica a vincere il Golden Globe riservato al Miglior attore di una serie tv comedy. Celebrità internazionale acclamata per il successo del suo Master of None, Ansari negli ultimi anni è entrato felicemente nel ruolo della star generazionale, vestendo i panni del Millennial timido, impacciato, irrisolto e in balìa di un mondo vagamente inospitale, che non capisce del tutto. Questo mondo, però, tra le altre cose crea i suoi idoli e li distrugge a una velocità inedita, tanto che oggi – sette giorni dopo – stiamo discutendo di un’accusa di molestie a suo carico. Finché il molestatore aveva il volto attempato e grezzo del sessantacinquenne Weinstein, la rivoluzione anti-patriarcato aveva un target definito anche in senso anagrafico: ma cosa succede quando a venire detronizzato è il trentenne simbolo del “modern romance” (come da titolo del suo libro sul tema delle relazioni sentimentali contemporanee, finito nei bestseller del New York Times), uno dei volti più affermati della sensibilità culturale inclusiva e gender equal? Cosa capita, insomma, quando una rivoluzione non solo fa vittime fra i nemici del popolo, ma inizia a togliere di mezzo i suoi stessi rivoluzionari?

Molte delle risposte si trovano direttamente nel pezzo d’accusa, uscito nel weekend sull’impalpabile Babe, un sito di approfondimenti figlio della nuova ondata femminista: si intitola “I went on a date with Aziz Ansari. It turned into the worst night of my life” (“sono uscita con Aziz Ansari. Si è rivelata essere la peggior serata della mia vita”). Condensandola in poche righe, la vicenda racconta di un incontro a una festa dello scorso settembre tra Ansari e Grace – il nome è di fantasia – fotografa ventiduenne di Brooklyn. I due flirtano, si scambiano i numeri di telefono, il giorno dopo continuano in forma testuale sugli schermi del loro smartphone, decidono di vedersi a cena in un ristorante di Manhattan e poi passeggiano fino al lussuoso appartamento di Ansari a Tribeca. Qui le strade, metaforicamente, si dividono: Grace, che aveva provato con gli amici diversi look in vista della grande serata con la star maschile più tenera di Hollywood, vorrebbe qualcosa; Aziz vuole fare sesso, e lo mette in chiaro fin da subito con un atteggiamento definito “aggressivo” dalla sua ospite, la quale si trova progressivamente sempre più a disagio (“non era ciò che mi aspettavo. Avevo visto alcuni dei suoi show e letto estratti del suo libro e non pensavo affatto a una brutta serata, né tantomeno a una di violenza e dolore”, scrive Babe: la fiction è diventata una realtà inaspettata, deludente e oggi quindi da denunciare).

Per un uomo è difficile immaginare ciò che una donna prova, pensa e percepisce in circostanze così delicate, e farlo spesso è un esercizio sgradevole. Tuttavia, in questa vicenda rimangono alcuni indicatori: Grace non si allontana da casa del comico indiano-americano (“credo perché ero sbalordita e sotto shock”); nel suo racconto si parla genericamente di “segnali verbali e non verbali per indicare quanto mi sentissi a disagio”, si adduce il ritrarsi, il mormorare qualcosa; poi si racconta di un momento chiarificatore seguito da un rapporto orale consensuale. Come conferma lo stesso articolo, “è impossibile per Grace dire se Ansari non abbia notato la sua reticenza o l’abbia consapevolmente ignorata”. Quel che le è stato possibile, però, è costringere il famoso di turno a difendersi da un’accusa – aleggiante e mai davvero formalizzata – gravemente infamante, di quelle che da qualche tempo pongono fine anche alle carriere più solide. Tutto, nel resoconto pubblicato e diffuso al resto del mondo, punta alla character assassination: persino il vino bianco anziché rosso (il preferito di Grace, quest’ultimo) ordinato a cena da Ansari diventa uno scivolo verso l’apposizione sul suo nome della peggiore delle etichette; la sua risposta ufficiale del comico, arrivata ad articolo già pubblicato, anziché essere posta a inizio articolo – come prassi giornalistica vorrebbe – è sepolta sotto un mare di testo.

La domanda da porsi, a questo punto, dovrebbe essere in buona sostanza una: a che pro? La fotografa Grace ha condiviso col mondo il suo ricordo doloroso di una serata finita male, con lei che si allontana in taxi, visibilmente scossa e in lacrime, da Tribeca. Lei e Aziz si sentiranno il giorno dopo, lui le scriverà un messaggio neutro, lei gli comunicherà cosa ha passato, lui chiederà scusa dicendo di aver “inteso male”. Poi nulla, fino all’uscita dell’articolo in questione. In mancanza di elementi ulteriori, viene da credere che l’intento della ragazza fosse sincero; eppure l’effetto di quelle descrizioni dettagliate, di quelle foto a corredo e soprattutto della più scontata delle equazioni mentali susseguenti, Ansari=Weinstein, è sproporzionatamente più deleterio di una serata senza la giusta dose di magia e complicità. La trama somiglia molto a quella di Cat Person – il racconto recentemente pubblicato dal New Yorker e diventato un caso per la sua rappresentazione della prospettiva di una giovane donna su un incontro amoroso – ma alla finzione letteraria sostituisce un revenge porn de facto, appena annacquato dal contesto in cui si inserisce. Cosa può guadagnare un movimento da un giacobinismo pressapochista che confonde lo spiacevole col predatorio e la sensibilizzazione col dossieraggio, finendo per mettere vittime e colpevoli nello stesso rogo? E ancora: su che strade conduce un atteggiamento del genere?

In un bel pezzo uscito sull’Atlantic, “The Humiliation of Aziz Ansari”, l’autrice Caitlin Flanagan guarda alla vicenda con l’angolo prospettico di una donna di mezza età cresciuta coi manuali di educazione sentimentale degli anni ’70, ancora intrisi dei moralismi e paternalismi più biechi, ancora propensi a colpevolizzare il sentire femminile a prescindere. Eppure, quegli stessi giornaletti e riviste le hanno insegnato, racconta, a essere più forte delle consapevoli ed emancipate Millennial odierne, a rendere più invalicabile la sua negazione del consenso: “A quanto pare c’è un intero paese pieno di giovani donne che non sanno chiamare un taxi, e che hanno passato un sacco di tempo a scegliere il vestito più carino per quelle che pensavano sarebbero state serate da ricordare. Sono arrabbiate e temporaneamente potenti, e ieri sera hanno distrutto un uomo che non se lo meritava”, si legge nel pezzo. Tutte le grandi rivoluzioni della storia hanno sepolto le loro vittime contandone parecchie fra i civili. Ma quella di Aziz Ansari – colpevole di non aver confermato le aspettative generate dal personaggio che interpreta sullo schermo – più che un effetto collaterale sembra un’esecuzione.

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