Mai sentito parlare di “curva dell’oblio“? Il concetto risale alla fine dell’Ottocento, e in particolare agli sforzi del pioniere tedesco degli studi sulla memoria Hermann Ebbinghaus, e illustra efficacemente come il passare del tempo influenza la memoria di un dato evento. La curva è più ripida nelle ventiquattr’ore seguenti l’apprendimento di una nuova informazione, e il motivo è che il nostro cervello tende a distruggere in breve tempo i dati non-vitali, per non sovraccaricarsi di lavoro. Ricordate la trama (o il finale, o i personaggi) di quel libro che avete letto l’estate scorsa? No? Beh, tranquilli, è del tutto normale.
Gli studi di Ebbinghaus hanno dimostrato che la memoria, di per se, è un contenitore che non è sufficiente riempire, ma che va allenato a riportare a galla le informazioni. Lo spunto è utile per porsi una domanda: noi uomini iperconnessi del 2018 siamo ancora in grado di ricordare? D’altronde, è nostra abitudine quotidiana accedere a database praticamente infiniti con semplici tocchi su uno schermo: alla memoria cosiddetta rievocativa – che permette di richiamare subito alla mente i ricordi – si è sostituita per importanza quella riconoscitiva, che si basa su un senso di familiarità verso gli oggetti che incontriamo. Ecco perché, se guardiamo l’ultima serie tv su Netflix è verosimile che ce ne dimenticheremo (in tutto o in parte) poco dopo, riportandone alla mente solo vaghe reminiscenze se qualcuno la nomina a un aperitivo a mesi di distanza.
A dirla tutta, è stata dimostrata l’esistenza di un legame causa-effetto tra l’affermazione della vita sul web e l’evoluzione delle nostre capacità mnemoniche: perché ricordarsi del titolo di quella poesia di Shelley, o il risultato di quella finale di Coppa Italia, o il colpo di scena presente in quel film, se so di poterlo chiedere agevolmente a Google? Uno studio pubblicato su Science qualche anno fa afferma: “Quando le persone si aspettano di avere un accesso futuro alle informazioni, presentano tassi più bassi di ricordo dell’informazione stessa”. Eppure, questo fenomeno non è una novità dell’era di internet: Jared Horvath, ricercatore all’Università di Melbourne intervistato dall’Atlantic, ha spiegato che anche l’introduzione della scrittura, millenni fa, ha avuto un effetto simile sulla memoria umana, “distruggendola”.
L’anno scorso, Horvath e il suo team hanno provato empiricamente che gli amanti del binge-watching delle serie tv ne dimenticano il contenuto molto più repentinamente di chi guarda solo un episodio alla settimana. In buona sostanza, il modo in cui consumiamo la cultura oggi – in un’epoca di proliferazione incontrollata di contenuti – ha modificato ulteriormente la curva dell’oblio, facendoci dimenticare più in fretta scene televisive, nomi di personaggi e trame di bestseller.
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